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Inviamo la testimonianza di una sorella dell’assemblea che lavora come infermiera in ospedale, il cui contenuto crediamo essere particolarmente significativo e stimolante. Come sicuramente accade in questo periodo in tutte le chiese, lei e tutti gli operatori sanitari sono costantemente nelle nostre preghiere!

Ho sempre pensato che il mio lavoro non fosse pericoloso. I vigili del fuoco fanno un lavoro pericoloso, non gli infermieri! Basta mettere i guanti, saper schivare i pugni dei pazienti più agitati ed il gioco è fatto, mi dicevo. Il 5 marzo ho dovuto ricredermi: avrei fatto il turno di notte per la prima volta con un paziente con sospetto COVID19. Questo virus, di cui tanti parlavano, e che si trasmetteva con così tanta facilità, era arrivato fino a noi! Così partii da casa armata di coraggio e con la consapevolezza che anni prima avevo scelto un lavoro pericoloso, che poteva mettere a rischio la mia vita e quella delle persone a cui volevo bene. Da quel giorno il mio lavoro è irrimediabilmente cambiato: devo avvicinarmi ai pazienti il meno possibile, non posso più lasciar prendere la mia mano nella loro in segno di riconoscenza e lo stress è alle stelle. Ormai la prima cosa che mi chiedo all’arrivo in reparto di un paziente è: «Avrà eseguito il tampone? Sarà negativo?» Il COVID19 ha preso il posto di tutte le altre patologie. La cosa a cui non riesco ad abituarmi è vedere pazienti che muoiono completamente soli perché i parenti non possono venire in reparto ad assisterli.

Molti sono i versetti che mi accompagnano in questo periodo; il più forte è sicuramente 2 Corinzi 4:17-18:

«La nostra momentanea, leggera afflizione ci produce un sempre più grande, smisurato peso eterno di gloria, mentre abbiamo lo sguardo non alle cose che si vedono, ma a quelle che non si vedono; perché le cose che si vedono sono per un tempo, ma quelle che non si vedono sono eterne»”.