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Chissà quante volte abbiamo letto o abbiamo ascoltato la lettura del Salmo 100! I tanti imperativi che contiene sono particolarmente adatti agli incontri di lode e non sono certo difficili da accogliere, come figli di Dio, anzi ci sembrano forse addirittura scontati, superflui: “Mandate grida al Signore… servite il Signore… presentatevi a lui… riconoscete che egli solo è Dio… entrate nelle sue porte… celebratelo… benedite il suo nome”. Ma, fra questi imperativi, ce n’è uno che mi mette particolarmente in crisi:

“SERVITE IL SIGNORE CON LETIZIA” (v. 2).

Il riferimento alla gioia è presente ben tre volte nei primi due versetti del Salmo: “Mandate grida di gioia… Servite il Signore con letizia… presentatevi gioiosi a lui”. Se l’invito a servire il Signore con gioia riguardasse esclusivamente l’espressione della nostra lode e della nostra adorazione, lo accoglieremmo con minore difficoltà (anche se talvolta durante i culti si vedono visi tristi, volti corrucciati, sguardi an- noiati). Ma il verbo qui tradotto con “servire” è lo stesso usato altrove nell’Antico Testamento per indicare una vita di servizio (il servizio dei Leviti nel tabernacolo, di Giacobbe presso Labano, di ogni uomo durante i sei giorni della settimana prima del riposo del sabato…).

L’invito a servire con gioia non può quindi essere limitato al momento che noi chiamiamo “culto” ma deve essere esteso a tutta la nostra vita. È l’invito a quel culto globale evocato da Paolo: “Sia dunque che beviate, sia che mangiate, sia che facciate qualche altra cosa, fate tutto alla gloria di Dio” (1Co 10:31); “Qualunque cosa facciate, in parole o in opere, fare ogni cosa nel nome del Signore Gesù, ringraziando Dio Padre per mezzo di lui” (Cl 3:17).

L’invito a servire quindi riguarda la nostra vita professionale, la nostra vita familiare, la nostra vita di chiesa, la nostra vita di relazioni in ogni ambito e in ogni situazione. Non è cioè un invito relativo ad un ambito ristretto della nostra vita, ma va vissuto in tutti gli ambiti! Servire “con gioia”: è evidente l’intenzione del Signore di ricordarci che il nostro servizio per lui non deve essere sentito come un peso e neppure come una formale abitudine religiosa. Il nostro servizio deve essere vissuto con la gioia che viene dalla consapevolezza che servirlo è un dono, servirlo è un privilegio, che servirlo è possibile perché siamo diventati suoi figli. Se mi chiedo: “Perché servo il Signore?”, non posso che rispondere: “Perché sono un suo figlio!” e già il richiamo a questa nuova condizione della mia vita, che è esclusivo frutto della sua grazia, non può che procurarmi GIOIA!

Ma dove trovare questa gioia? Possiamo servirlo con gioia ricordando che è “lui che ci ha fatti” e soprattutto che “noi siamo suoi”: non soltanto egli ci ha creato e, soprattutto, ri creato di nuovo, ma ora apparteniamo a lui. Possiamo servirlo con gioia perché “siamo suo popolo e gregge di cui egli ha cura”. È straordinario: lui, il Signore, si prende cura dei suoi servi.

Noi serviamo un Signore che, per fare in modo che noi possiamo essere suoi servitori, ci serve!

È, questa, la pazzia di Dio, senza comprendere la quale nessuno può servirlo e, soprattutto, nessuno può servirlo con gioia. La gioia nasce proprio dalla consapevolezza che serviamo perché siamo stati e perché siamo serviti da colui che “ha cura di noi”. Ma c’è un altro motivo per servire Dio con gioia: la sua Persona! Infatti egli “è buono; la sua bontà dura in eterno; la sua fedeltà per ogni generazione” (v. 5). Il Signore ci invita quindi a servirlo, ma a servirlo con gioia in tutta la nostra vita! Ci saranno situazioni in cui serviremo “con lacrime”, ma anche lì, talvolta soprattutto lì, scopriremo dei motivi di gioia. Sappiamo infatti che il nostro servire e seminare con lacrime precede il nostro mietere “con canti di gioia” (Sl 126:5).