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La visione del futuro, terzo, tempio di Gerusalemme ricevuta da Ezechiele è talmente ricca ed affascinante da suggerire di non limitarci ad una sua comprensione esclusivamente profetica, dal momento che la realtà della santità, della maestà e della gloria di Dio richiamano con forza la nostra vita ad un cammino di santificazione e di umile ubbidienza. Un cammino che deve nascere ogni giorno dalla consapevolezza che, in questo tempo della grazia, siamo chiamati, noi che abbiamo creduto, ad essere il tempio di Dio in mezzo agli uomini.

Prima del giudizio: appelli alla salvezza

Ezechiele era un sacerdote che durante la seconda ondata di deportazione del popolo di Israele a Babilonia fu condotto insieme al suo popolo in esilio, circa nel 600 a.C.

Il libro che porta il suo nome è stato scritto da lui stesso e, oltre alle profezie, contiene numerose visioni paragonabili a quelle che ci sono anche nell’Apocalisse.

Di recente ho avuto un forte desiderio di approfondire e studiare più a fondo questo libro.

Quando Gesù apparve ai discepoli sulla via di Emmaus disse:

«O insensati e tardi di cuore a credere a tutte le cose che i profeti hanno detto! Non doveva il Cristo soffrire tali cose, e così entrare nella sua “gloria?». E cominciando da Mosè e da tutti i profeti, spiegò loro in tutte le Scritture le cose che lo riguardavano.

Lu 24:25-27


Tutte le Scritture ci parlano del Cristo e della sua gloria. Quindi
anche questo testo ci può insegnare molto sulla gloria di Dio e di Cristo. Contemplare nella Scrittura questa gloria non ci serve solo ad avere una panoramica sul futuro, ma anche ad avere prima di tutto una concezione più precisa di Dio e poi a ricevere consapevolezza e forza per la nostra vita quotidiana, assai importanti per la mi6,00a fede e per la nostra fede oggi. 

Il libro di Ezechiele ha 48 capitoli; gli ultimi otto descrivono la gloria futura del tempio.

Mi focalizzerò su un passo che ritengo il fulcro dell’intera visione:

Quando ebbe finito di misurare così l’interno della casa, egli mi condusse fuori per la porta del lato orientale e misurò il recinto tutto intorno. Misurò il lato orientale con la canna da misurare: cinquecento cubiti della canna da misurare, tutto intorno.

Misurò il lato settentrionale: cinquecento cubiti della canna da misurare, tutto intorno. Misurò il lato meridionale con la canna da misurare: cinquecento cubiti. Si volse al lato occidentale e misurò: cinquecento cubiti della canna da misurare. Misurò dai quattro lati il muro che formava il recinto: tutto intorno la lunghezza era di cinquecento e la larghezza di cinquecento; il muro faceva la separazione fra il sacro e il profano.

Poi mi condusse alla porta, alla porta che guardava a oriente. Ecco, la gloria del Dio d’Israele veniva dal lato orientale. La sua voce era come il rumore di grandi acque e la terra risplendeva della sua gloria. La visione che io ebbi era simile a quella che io ebbi quando venni per distruggere la città; queste visioni erano simili a quella che avevo avuta presso il fiume Chebar; e io caddi sulla mia faccia. La gloria del Signore entrò nella casa per la via della porta che guardava a oriente. Lo Spirito mi portò in alto e mi condusse nel cortile interno; ed ecco, la gloria del Signore riempiva la casa. Io udii qualcuno che mi parlava dalla casa; un uomo era in piedi presso di me. Egli mi disse: «Figlio d’uomo, questo è il luogo del mio trono, il luogo dove poserò la pianta dei miei piedi; io vi abiterò per sempre in mezzo ai figli d’Israele. La casa d’Israele e i suoi re non contamineranno più il mio santo nome con le loro prostituzioni e con i cadaveri dei loro re sui loro alti luoghi, come facevano quando mettevano la loro soglia presso la mia soglia, i loro stipiti presso i miei stipiti, così che non c’era che una parete fra me e loro. Essi contaminavano così il mio santo nome con le abominazioni che commettevano; perciò io li consumai, nella mia ira. Ora allontaneranno da me le loro prostituzioni e i cadaveri dei loro re, e io abiterò in mezzo a loro per sempre. Tu, figlio d’uomo, mostra questa casa alla casa d’Israele e si vergognino delle loro iniquità. Ne misurino il piano e, se si vergognano di tutto quello che hanno fatto, fa’ loro conoscere la forma di questa casa, la sua disposizione, le sue uscite e i suoi ingressi, tutti i suoi disegni e tutti i suoi regolamenti, tutti i suoi riti e tutte le sue leggi; mettili per iscritto sotto i loro occhi affinché osservino tutti i suoi riti e tutti i suoi regolamenti e li mettano in pratica. Questa è la legge della casa. Sulla sommità del monte, tutto lo spazio che deve occupare tutto intorno sarà santissimo. Ecco, questa è la legge della casa”

Ez 42:15-43:12

Ezechiele ha ricevuto la visione del tempio in un preciso momento storico: durante la deportazione di Israele in Babilonia, il quattordicesimo anno dopo che la città di Gerusalemme era stata definitivamente distrutta dai Babilonesi, nel 587 a.C. Il messaggio era rivolto al popolo di Israele che si trovava in esilio a Babilonia. La deportazione era stata la conseguenza di un giudizio di Dio molto severo e drastico. I motivi del giudizio furono l’infedeltà e le continue ribellioni. Dio aveva già decretato il suo giudizio su Israele al tempo di Manasse, ma, prima della deportazione effettiva in Babilonia, aveva poi fatto passare molti anni per offrire al suo popolo una possibilità di salvezza: pur avendo già decretato il giudizio, cercò fino all’ultimo tramite i suoi profeti di richiamare il suo popolo al ravvedimento e alla salvezza:

“Di’ loro: «Com’è vero che io vivo», dice il Signore, l’Eterno, «io non mi compiaccio della morte dell’empio, ma che l’empio si converta dalla sua via e viva; convertitevi, convertitevi dalle vostre vie malvagie. Perché mai dovreste morire, o casa d’Israele?”

Ez 33:11

Gli esuli non avevano il cuore aperto ad ascoltare la riprensione. Erano convinti di pagare il prezzo delle colpe dei loro padri, ma Dio voleva far loro capire che non era per niente così. Essi dovevano abbandonare la loro malvagità e tornare a Dio. Non potevano incolpare i padri della loro sventura. Dio qui li richiamava alla responsabilità personale.Anche nel bel mezzo del giudizio ci poteva essere salvezza per chi si fosse ravveduto e avesse riconosciuto le proprie colpe. Infatti, anche dopo la deportazione, Dio continuava ad offrire sempre la sua salvezza e a richiamare il suo popolo alla conversione, pur sapendo che la maggior parte avrebbe rifiutato di ravvedersi. Ezechiele quindi, aveva un compito molto difficile: era la sentinella che Dio aveva messo per richiamare ancora il suo popolo. Il compito del profeta era duro perché Dio sapeva che gli uditori erano duri di cuore (Ez 2:3-7).

Certo che l’ambiente, l’educazione, o la vicinanza di certe persone ci possono influenzare negativamente, ma la responsabilità finale delle scelte che compiamo è sempre nostra (Ez 18:1-4, 26-32).

Il compito che aveva Ezechiele è quello che abbiamo anche noi oggi. Gesù disse: “Voi siete la luce del mondo, una lampada non può essere messa sotto un moggio”. È un compito arduo, perché il mondo non è aperto al messaggio del Vangelo, il suo cuore è duro come quello di Israele.

Poco prima della distruzione finale di Gerusalemme Dio aveva abbandonato il suo tempio, in cui aveva promesso a Salomone di abitare e di cui gli Israeliti andavano tanto orgogliosi. Poi ha permesso la distruzione di Gerusalemme e la deportazione in schiavitù del suo popolo. Ma la cosa meravigliosa e incredibile è che nel bel mezzo di questa catastrofe è già data una promessa, una speranza: non è tutto perduto per coloro che si ravvedono (Ez 11:16-21).

Dio ha abbandonato il tempio di Salomone, ma ha seguito coloro che erano dispersi in esilio e non li ha abbandonati, continuando a richiamarli a sé! Per questo Ezechiele descrisse Dio come un pastore che va a cercare le sue pecore smarrite per curarle e riportarle indietro:

“Come un pastore va in cerca del suo gregge il giorno che si trova in mezzo alle sue pecore disperse, così io andrò in cerca delle mie pecore e le ricondurrò da tutti i luoghi dove sono state disperse in un giorno di nuvole e di tenebre”

Ez 34:12

Dio sta facendo tutto per richiamare il suo popolo al ravvedimento. Questo carattere di Dio è attribuito anche a Gesù: il buon Pastore che è venuto a cercarci, uno per uno.

Nel tempio: il muro di separazione

In questo contesto si colloca la visione del tempio. Quindi questa visione rappresenta la conclusione e l’apice di tutto ciò che Dio voleva comunicare al popolo tramite Ezechiele. Dio stava compiendo un giudizio sul suo popolo, ma c’era sempre la speranza: se si fosse ravveduto, il suo ravvedimento avrebbe avuto come mèta la piena comunione con la maestà di Dio. E questa volta non sarebbe successo più come per il tempio di Salomone, che Dio ha dovuto abbandonare e lasciar distruggere. Questa volta Dio avrebbe operato in maniera definitiva, abitando per sempre col suo popolo. Il cuore del suo popolo sarebbe tornato a lui veramente mutato e rinnovato.

Dio garantisce la sua presenza eternamente: non permetterà più che il patto venga violato, e opererà questa volta in maniera definitiva.

Il primo aspetto di questa azione definitiva di Dio lo comprendiamo leggendo che il muro di separazione del tempio sarebbe stato ben solido

“per separare il sacro dal profano” (Ez 42:15 e 20): “Terminato di misurare l’interno del tempio, mi fece uscire per la porta che guarda a est e misurò il recinto tutt’intorno […] Misurò l’area ai quattro lati; aveva tutt’intorno un muro, lungo cinquecento cubiti e largo cinquecento cubiti, per separare il luogo sacro da quello profano”.

Con il muro Dio compie una separazione, ciò che è male e ciò che è bene verranno chiaramente distinti.

Trasferiamo questo concetto alla nostra vita quotidiana. Non sono chiamato certamente a separarmi dalle persone. La prima cosa da cui devo separarmi è il peccato in sé. Se io mi separo da questo allora avrò posto in quel luogo separato che Dio sta preparando per i suoi fedeli, quello promesso da Gesù: “Io vado ora a prepararvi un posto così dove sono io sarete anche voi”. Il poter entrare in questo posto o il restarne fuori ricordano chiaramente che c’è una differenza tra chi è santo e chi non lo è. Chi crede in Cristo è definito santo cioè “separato, messo a parte”. L’essere santo è il risultato di una reale separazione di cuore da ciò che mi può allontanare da Dio. È avvenuta una vera separazione tra sacro e profano nel mio cuore? C’è qualcosa di profano ancora presente? Non dovrebbero esserci idolatrie nascoste, come quelle che i sacerdoti al tempo di Ezechiele praticavano in segreto dentro le stanze del tempio, pensando addirittura che Dio non vedesse. Dio ci ricorda:

“Non sapete voi che siete il tempio di Dio e che lo Spirito di Dio abita in voi? Se alcuno guasta il tempio di Dio, Dio guasterà lui, perché il tempio di Dio, che siete voi, è santo”

1Co 3:16-17

Non possiamo pensare di violare questa sacralità e non pagarne le conseguenze. La domanda nasce dalla triste realtà della carnalità dovuta sia a contese tra fratelli in fede che all’attenzione rivolta alla sapienza di questo mondo. Proprio quest’ultima se ci influenza così tanto determinerà anche la nascita di contese e rivalità o invidie tra fratelli in fede, perché sarà lo spirito del mondo a guidarci e non quello di Cristo. Può accadere che cose di per sé importanti (il lavoro, la ricerca di una casa o la risoluzione di un problema specifico…) possano diventare soffocanti, proprio come le spine di cui parla Gesù nella parabola del seminatore? Quando la Bibbia dice che “l’uomo non vivrà di solo pane, ma di ogni parola che uscirà dalla bocca di Dio” non vuol dire che io debba smettere di mangiare o di lavorare. Bisognerebbe operare questa separazione e non trascurare o addirittura disonorare Dio con preoccupazioni e affanni.

Il concetto di separazione di sacro e profano è importante: il muro di separazione è la prima cosa che Dio mostra a Ezechiele all’inizio della visione del tempio.

Nel tempio: la gloria di Dio che dona speranza

In seguito viene mostrata ad Ezechiele la gloria di Dio che riempie il tempio. Siamo di fronte qui a qualcosa di nuovo: quando la gloria di Dio riempiva il tabernacolo, al tempo di Mosè, non era possibile per Mosè entrare, anche se Mosè aveva avuto in alcune circostanze un contatto speciale con Dio. Quando la gloria di Dio riempì il luogo santissimo del tempio di Salomone, i sacerdoti non potevano entrare. Qui la gloria di Dio riempie il luogo santo accessibile ai suoi redenti e per di più risplende su tutta la terra. Ezechiele ha avuto una visione di Dio (cap. 1), ma nel seguito del libro, la gloria di Dio abbandona il tempio per lasciarlo in balia della distruzione.

Ora la gloria di Dio fa il suo ritorno. E questo è importantissimo per il popolo che si trova come prigioniero in esilio. Si parte col giudizio, ma la speranza della restaurazione e del perdono è all’orizzonte. E in un modo tutto nuovo e definitivo.

C’è speranza anche per noi, per tutti. Se ci siamo allontanati da Dio, torniamo a lui confessandogli il nostro peccato. Se siamo sotto giudizio, ravvediamoci. Chiediamo perdono a Dio e invitiamo tutti al ravvedimento.

Nel messaggio dell’uomo che parlava ad Ezechiele, mi colpiscono due aspetti.

Il primo è la rivelazione dell’azione definitiva di Dio nel ristabilire il suo popolo.

Dio aveva permesso l’infedeltà di Israele, lasciandolo agire nella libertà. Dio sa perché permette certe cose e non possiamo comprendere pienamente i suoi piani. Da questo testo capiamo invece che ora l’azione di Dio è definitiva, nulla permetterà più al residuo del suo popolo di comportarsi di nuovo infedelmente sì da essere separato da lui: Dio non si allontanerà mai più dal suo popolo.

Questo modo di agire di Dio con il popolo di Israele che si realizzerà alla fine dei tempi in realtà è lo stesso modo in cui Dio agisce ora con i suoi riscattati che compongono la chiesa di Cristo:

“In lui anche voi, dopo aver udita la parola della verità, l’evangelo della vostra salvezza, e aver creduto, siete stati sigillati con lo Spirito Santo della promessa il quale è la garanzia della nostra eredità, in vista della piena redenzione dell’acquistata proprietà a lode della sua gloria”

Ef 1:13-14

Siamo stati riscattati, salvati e sigillati in maniera definitiva mediante lo Spirito Santo. Questo è l’amen che Dio pronuncia per i suoi riscattati. Pietro ci ricorda che siamo “dalla potenza di Dio custoditi mediante la fede” (cfr. 1P 1: 3-9). Lo Spirito Santo e la potenza di Dio sono in grado di preservare i credenti. Preservare da cosa? La vita sulla terra continua e il cammino dei credenti ha una mèta che è davanti ma che non è ancora raggiunta e nel cammino ci saranno prove e difficoltà. Ma il sigillo che Dio ci ha dato, ci farà trovare e ricevere forza per raggiungere la meta che è il cielo. La meta non è qui, visibile, intorno a noi, ci aspetta lassù e per questo dobbiamo avere e mantenere viva speranza, anche nelle difficoltà, come anche Paolo ci ricorda:

“Perché noi siamo stati salvati in speranza; or la speranza che si vede non è speranza, poiché ciò che uno vede come può sperarlo ancora?”

Ro 8:24

Dio compie in noi una azione definitiva mediante la redenzione e il perdono dei peccati, ma rimane per noi un cammino da compiere, durante il quale i credenti possono ancora oggi essere perseguitati e soffrire molto a causa della loro fede. La potenza di Dio e la fede nella sua azione definitiva devono rappresentare la nostra forza, quella luce che va davanti e che non dobbiamo mai perdere di vista:

“Chi ci separerà dall’amore di Cristo? Sarà l’afflizione, o la distretta, o la persecuzione, o la fame, o la nudità, o il pericolo, o la spada?”

Ro 8:35

Se una persona soffre perché direttamente perseguitata a causa della fede ha qui una promessa ferma. L’apostolo Paolo che scrisse queste parole viveva della grazia del Signore, che gli era sufficiente. Non nego che personalmente temo le difficoltà, ma so dove posso trovare la fonte della mia forza.

Il secondo aspetto che mi colpisce è il tornare di nuovo sul concetto di separazione:

“«Figlio d’uomo, questo è il luogo del mio trono e il luogo delle piante dei miei piedi, dove abiterò in mezzo ai figli d’Israele per sempre. E la casa d’Israele non contaminerà più il mio santo nome, né essi né i loro re, con le loro prostituzioni e con i cadaveri dei loro re sui loro alti luoghi, mettendo la loro soglia accanto alla mia soglia e i loro stipiti accanto ai miei stipiti, con solamente una parete fra me e loro, contaminando così il mio santo nome con le abominazioni che commettevano; perciò nella mia ira li ho distrutti”

Ez 43:7-8

La casa del re al tempo di Salomone e nei tempi successivi era adiacente al tempio. Nella visione di Ezechiele lo spazio riservato al principe è completamente separato. Anche sotto questo aspetto non ci sarà più il pericolo di mischiare sacro e profano. Quando Salomone ha costruito il tempio, era col cuore vicino al Signore. Ma quanto tempo ha impiegato a costruire il tempio? Sette anni. Quanto ha impiegato a costruire la sua casa? Tredici. Significa che ha impiegato quasi il doppio del tempo per la propria casa. Questo dimostra che anche un cuore vicino al Signore può comunque avere evidenti sbilanciamenti, forse anche il nostro stesso cuore. Salomone in seguito si è sviato e molti re dopo Salomone hanno compiuto abominazioni terribili. E tutto questo a fianco della casa di Dio.

Salomone nel corso della sua vita si è allontanato da Dio; la maggior parte dei suoi successori hanno compiuto abominazioni di ogni tipo, essendo idolatri e malvagi e, tutto questo, a un passo dalla casa di Dio. Ciò non si ripeterà più, perché Dio darà un cuore nuovo al suo popolo, Dio dimorerà CON il suo popolo, ma questa nuova dimora avrà tutt’altro significato rispetto a quello che aveva in passato o che possiamo immaginare oggi. Per questo motivo, leggendo queste pagine non possiamo solo limitarci alla prospettiva milleniale di questi eventi. Dovremmo prima di tutto rimanere timorosi e gioiosi ed avere un’idea precisa della santità e della maestà di Dio in paragone alla nostra piccolezza.

La separazione tra figura del re/principe e Dio è anche importante per ribadire la signoria di Dio nel cuore del popolo. Israele al tempo del profeta Samuele ha voluto un re, non gli bastava Dio, voleva essere come tutte le altre nazioni. Ora l’unico Signore sarà veramente solo Dio.

E per noi? Purtroppo devo rendermi conto che più volte ho affidato la signoria della mia vita, anche se solo parzialmente, a qualcos’altro oltre che Dio. E quando ciò è successo, ho dovuto rendermi conto che c’è un prezzo da pagare, proprio come il prezzo che ha pagato il popolo d’Israele volendo un re. È possibile accettare la signoria completa di Dio su di noi e godere la benedizione di questa signoria di Dio su di noi già da ora!

“Tu, figlio d’uomo, descrivi il tempio alla casa d’Israele, perché si vergognino delle loro iniquità. Ne misurino le dimensioni e, se si vergognano di tutto ciò che hanno fatto, fa’ loro conoscere il modello del tempio e la sua disposizione, le sue uscite e i suoi ingressi, l’intero suo modello e tutti i suoi statuti, tutte le sue forme e tutte le sue leggi; mettili per iscritto sotto i loro occhi affinché osservino l’intero suo modello e tutti i suoi statuti e li mettano in pratica”

Ez 43:10-11

Cosa vuol dire descrivere il tempio perché si vergognino delle loro iniquità misurandone le dimensioni? Una descrizione simile ci dà un’idea della santità di Dio e di conseguenza ci rivela quanto ogni nostro pensiero e azione siano infimi in paragone alla gloria e santità di Dio. Essere messi di fronte a una tale magnificenza dovrebbe indurci all’umiltà e al pentimento, sempre.

Sono molto significative le parole “Se si vergognano fa’ conoscere loro il modello del tempio”.

Il renderci conto della grandezza di Dio e della nostra piccolezza non ci serve a nulla se non ci conduce a ravvedimento. Questo ravvedimento può essere il ravvedimento di chi non crede in Dio e lo accetta nella propria vita; ma anche il ravvedimento di cui tante volte anche noi credenti abbiamo bisogno, quando non manteniamo Dio sempre al centro della nostra vita.

È interessante la sequenza:

Posso attualizzarlo per il giorno d’oggi con:

È il percorso che normalmente avviene quando ci si converte al Signore. Anche se sono già credente, venire a contatto con la maestà di Dio non può non spingermi all’umiltà e ad una sorta di continuo ravvedimento per poter far diventare Dio parte sempre più integrante della mia esistenza.

Perché Ezechiele riferendosi al modello del tempio dice che deve essere messo in pratica? Forse che i destinatari del suo messaggio dovevano costruire materialmente un tempio?

Gli esuli di Babilonia erano chiamati al ravvedimento e a mettere in pratica i comandamenti di Dio. E la stessa cosa vale per noi oggi. Mettere in pratica il modello del tempio vuol dire mettere in pratica continuamente il ravvedimento, la convinzione di peccato sperimentati mediante la conoscenza di Dio. Se vengo a contatto con la maestà di Dio, se mi ravvedo, vivrò quindi come Dio desidera.

Alla fine vengono quindi nuovamente ripetuti due concetti fondamentali: santità, separazione:

“Questa è la legge del tempio. Tutto il territorio che sta attorno alla sommità del monte sarà santissimo. Ecco, questa è la legge del tempio”

Ez 43:12

In chiave milleniale, questo ci anticipa la gloria del Cristo che assumerà il regno di questo mondo definitivamente. Ma non dimentichiamo che il Cristo è venuto come uomo sulla terra non solo per morire per i nostri peccati, ma anche per manifestare la gloria, la santità del Padre. Tante volte possiamo leggere nei Vangeli che le persone si avvicinavano a Gesù gettandosi ai suoi piedi e adorandolo. Quindi: non dobbiamo vedere in Gesù solo il nostro amico. Non devo pensare che il fatto che la morte di Gesù ha aperto il velo di accesso al luogo santissimo, mi dia la libertà di fare “l’amicone” alla presenza di un Dio tre volte santo. Per il merito di Cristo possiamo accedere alla presenza di Dio, ma non possiamo farlo con leggerezza.

Questo brano della Parola mi ha aiutato a comprendere chi è veramente il nostro Dio, la sua santità, la sua maestà. Accostiamoci a lui non solo, come si usa dire, “in libertà”, ma soprattutto con santo timore e meraviglia.