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Il 12 e 13 maggio 1974 si svolse in Italia il primo referendum abrogativo. L’obiettivo dei promotori era quello di abrogare la legge n.898/1.12.1970, che introduceva in Italia la Disciplina dei casi di scioglimento del matrimonio”. Il 59,26% degli elettori si espresse contro l’abrogazione per cui il divorzio divenne definitivamente legittimato anche nel nostro Paese. Da notare che si recò alle urne l’87,72% degli aventi diritto: altri tempi!

La legge si era resa oggettivamente necessaria per regolamentare incresciose situazioni di mescolanze familiari le cui conseguenze negative ricadevano soprattutto sui figli. Si doveva cioè arginare una situazione assai confusa e non dissimile da quella evocata da Gesù nella sua articolata risposta ai farisei: “Fu per la durezza dei vostri cuori che Mosè vi permise di mandare via le vostre mogli; ma da principio non era così” (Mt 19:8). Ma si era reso necessario anche superare la sperequazione fra le norme del diritto civile dello Stato italiano, che non prevedevano il divorzio, e quelle del diritto ecclesiastico della chiesa cattolica che consentivano addirittura l’annullamento dell’atto matrimoniale attraverso il discusso Tribunale della Sacra Rota. L’entrata in vigore della legge permise quindi alle coppie in realtà separate, ma risultanti ancora unite solo sui registri dello stato civile, di uscire da una situazione di forzata ipocrisia. Allo stesso tempo tolse alla chiesa cattolica l’esclusività del potere di sciogliere i matrimoni.

A distanza di cinquant’anni dobbiamo constatare che norme, che si erano rese necessarie per regolare l’eccezionalità, sono utilizzate per affrontare una quasi normalità. In questi anni si è sempre più diffusa la cultura del divorzio a scapito evidente della cultura del matrimonio, per non parlare dell’espandersi esponenziale del fenomeno delle convivenze. Ci si sposa sempre meno, si divorzia sempre più soprattutto dopo l’entrata in vigore della legge “del divorzio breve” (n.55/6.05.2015). E sempre più si va a convivere evitando il matrimonio! Quindi si evita il patto oppure lo si considera a tempo determinato. Oggi chi si sposa non lo fa più avendo in mente il “per sempre”, ma piuttosto il “fino a quando”. L’amore, da comandamento che dà sicurezza e stabilità, è stato trasformato in sentimento che provoca incertezza e volubilità.

Purtroppo anche all’interno delle chiese si sta facendo strada un pericoloso tarlo che intacca i principi della Parola, ai quali dovremmo sempre fare riferimento, per cui stiamo assistendo a un lento processo di assuefazione al mondo. Così, davanti al verificarsi di conflittualità, scelte dirompenti che un tempo non avremmo esitato a definire come “male”, oggi vengono addirittura indicate talvolta come la soluzione. Ma non possiamo assistere da spettatori passivi allo sfascio che si sta verificando intorno a noi. Anche se questo ci porterà ad andare controcorrente, sono le parole di Gesù che dobbiamo con coerenza testimoniare: “Nel principio non era così”. Cioè: “nel principio” il progetto divino per la relazione fra uomo e donna prevedeva non soltanto la stipula di un patto, ma l’impegno reciproco a essere legati l’uno all’altra per sempre, vivendo l’amore non soltanto come sentimento ma come comandamento. Pur in un contesto oggettivamente problematico, siamo chiamati a valorizzare e proteggere l’istituto del matrimonio, testimoniando e insegnando con convinzione che il matrimonio ha valore ancora oggi, dando in questo modo un seguito concreto all’esortazione della Parola: “Il matrimonio sia tenuto in onore da tutti” (Ebrei 14:3).

Il matrimonio non è un istituto tramontato, obsoleto, da buttare nel cestino dei rifiuti sociali; è l’istituzione voluta da Dio “nel principio”. Evitare il matrimonio e disonorarlo sono conseguenze del rifiuto di ascoltare gli insegnamenti di Dio contenuti nella sua Parola.