Tempo di lettura: 10 minuti

Che cos’è la chiesa?

 

A qualcuno potrebbe sembrare strana una domanda del genere.

Ma sta di fatto che, meno di due secoli dopo l’epoca apostolica, Origene (185 ca. – 254 ca. d.C.) insegnava che tutti i credenti, da Adamo alla fine dei tempi, appartengono alla Chiesa!

Per sostenere quest’idea, chi la pensa come Origene deve allegorizzare le Scritture dell’Antico Testamento.

 

Altri pensano che l’idea della Chiesa si sia sviluppata dopo il presunto ritardo nel ritorno di Cristo:bisognava dare una forma a quello che era destinato a durare nel tempo.

 

Altri ancora trovano “la sua radice nel fatto che alcuni dei discepoli divennero testimoni delle apparizioni di Gesù avvenute dopo la sua risurrezione”.

 

Tutte queste opinioni trascurano un pronunciamento molto chiaro di Gesù: “Io edificherò la mia chiesa” (Mt 16:18; cfr. Gv 10:16). Secondo questa profezia, la Chiesa avrebbe dovuto nascere dopo il ministero pubblico di Cristo e avrebbe avuto una stretta relazione con lui stesso.

 

Conoscere l’origine di una cosa aiuta a comprenderne la natura. Per esempio, se la Chiesa fosse stata il frutto di un presunto ritardo del ritorno di Cristo in gloria, sarebbe naturale aspettarsi un graduale sviluppo organizzativo, a mano a mano che le esigenze di questo tipo si fossero fatte sentire. Inoltre, in mancanza di un progetto preciso, si potrebbero considerare legittimi ulteriori sviluppi nella sua struttura e nel concetto di ministero cristiano, oltre a quelli descritti nel Nuovo Testamento.

 

D’altra parte però, se davvero, come crediamo, la Chiesa dà espressione a un progetto preciso che risale a Cristo, come risulta dal Nuovo Testamento, essa deve rispettare le linee guida da lui stabilite.

 

Nel desiderio di dare una definizione chiara al termine ekklēsia (“chiesa”) non c’è bisogno di lasciarci intimidire dalla molteplicità dei significati attribuiti al termine.

Questo termine veniva usato nel mondo greco per indicare la convocazione di un esercito, di un’assemblea legale di cittadini (At 19:39) persino un raduno illegale (At 19:40).

 

In campo biblico, nella traduzione greca dell’Antico Testamento (LXX), ekklēsia viene usato per rendere il senso della parola ebraica qahal, che si pensa derivi da qol (“voce”).

Qahal si riferisce a una convocazione pubblica, per lo più solenne (Es 35:1; Le 23:1-3; Nu 20:8; De 4:10; 1 Cr 15:3).

Ad esempio:

“Il SIGNORE disse ancora a Mosè: «Parla ai figli d’Israele e di’ loro: Ecco le solennità del SIGNORE, che voicelebrerete come sante convocazioni»” (Le 23:1-2).

 

Per stabilire il significato del termine ekklēsia (gr. ek “fuori di”, kaleō, “io chiamo”) nell’ambito del nuovo patto, appaiono decisive le parole con le quali Gesù qualifica questo termine: “la mia [chiesa]” (Mt 16:18).

La puntualizzazione: “la mia chiesa” esige che essa venga concepita come qualcosa di distinto sia dalla comunità giudaica in generale sia dalle comunità più ristrette come quella esistente a Qumran.

Ne consegue che, per non perdere di vista la specificità di questa “santa convocazione”, quando si parla della Chiesa di Cristo è utile parlare della “chiesa cristiana”. A motivo della sua natura spirituale, questa chiesa non sarebbe potuta esistere senza che fosse entrato in vigore il nuovo Patto e prima che fosse stato mandato lo Spirito Santo sui discepoli di Gesù nel giorno della Pentecoste (Mr 1:8: Gv 7:37-39; 14:16-17; 16:7-15).

 

L’immagine del gregge che Gesù usa (Gv 10:16) serve a definire l’estensione della sua Chiesa. Partendo dall’idea che Israele è l’ovile di YHWH, Gesù informa i Giudei che egli ha delle “altre pecore” che intende raccogliere insieme a quelle provenienti da Israele. Ne consegue che la sua Chiesa (o “gregge”) comprenderà persone provenienti da tutto il mondo (cfr. Gv 1:29; 4:42).

 

La seconda volta che Gesù usò il termine ekklēsia, di cui esiste una documentazione, egli fece comprendere che la sua Chiesa si rende visibile nella forma di assemblee locali di persone (Mt 18:17). Tali assemblee sono composte di persone che riconoscono l’autorità di Cristo e quindi godono della sua presenza (Mt 18:20; 28:20).

In quest’ambito, chi non rispetta la disciplina di vita richiesta da Gesù, deve essere sottoposto a sanzioni disciplinari (18:15-18), perché il comportamento normativo è quello che si addice a persone santificate dallo Spirito Santo (si veda 1P 1:1-2; 1Co 1:1-2; 5:9-11; 6:9-11). Le sanzioni disciplinari non vanno confuse con delle condanne. Infatti proprio nel contesto nel quale se ne parla, Gesù insiste sul bisogno di perdonare coloro che si ravvedono (Mt 18:21-35; cfr. Ga 6:1-4).

 

 

Cristo “cammina in mezzo alle chiese”

 

Cristo è presente nella sua Chiesa per mezzo dello Spirito. Infatti alla seconda menzione di “chiesa”, oltre a descrivere la procedura da seguire quando un fratello pecca contro un altro, dichiara: “dove due o tre sono riuniti nel mio nome, lì sono io in mezzo a loro” (Mt 18:20). La presenza di Gesù ovunque i suoi discepoli si radunino presuppone il battesimo con lo Spirito Santo. La presenza dello Spirito “di Cristo” (si veda Gv 16:14; Ro 8:9) fa sì che Cristo “cammina in mezzo alle chiese” (Ap 2:1).

 

Nell’insegnamento di Gesù troviamo diverse immagini che si riferiscono all’edificazione della sua Chiesa.

Rientrano in questa categoria: l’invito alle nozze (Mt 25:1-13 [Ap 19:6-9], l’immagine di un edificio (Mt 16:18) e il suggerimento che i suoi discepoli assomiglino a una città posta su un monte (Mt 5:14).

Ma forse l’immagine più congeniale a Gesù era quella della famiglia (Mt 12:46-50) il cui “padre” è il Padre celeste mentre Gesù stesso figura come il padrone di casa (Mt 10:25).

 

Nel libro degli Atti il termine “Chiesa” viene usato per definire sia la Chiesa vista nella sua totalità (9:31) sia le chiese locali (11:22; 16:5).

Anche Paolo usa il termine in entrambi questi sensi, ad esempio scrive “alle chiese della Galazia” (Ga 1:2) mentre, in Efesini, usa il termine “chiesa” al singolare con riferimento alla Chiesa vista nella sua totalità, per definirne lo scopo globale:

“A lui sia la gloria nella chiesa, e in Cristo Gesù, per tutte le età, nei secoli dei secoli. Amen” (Ef 3:21).

 

Il termine “chiesa” si riferisce alle persone che compongono il corpo mistico di Cristo (si veda Ef 2:19-22) emai all’edificio in cui i discepoli di Gesù si riuniscono.

Vari luoghi di incontro sono menzionati nel Nuovo Testamento: il portico di Salomone, case e scuole. Ma forse quello più significativo è la sinagoga (Gm 2:2), il che rispecchia il fatto che l’organizzazione delle chiese locali assomiglia a quella della sinagoga giudaica.

 

Quindi non è strano che alcune delle prime chiese, particolarmente nell’ambito giudaico, trovassero congeniale incontrarsi in una sinagoga. Ma anche nel caso citato sopra, Giacomo distingue fra il luogo (synagogē,“adunanza”) e la chiesa stessa. Infatti, quando descrive la procedura da seguire quando qualcuno è malato, dice: “chiami gli anziani della chiesa [ekklēsia]” (5:14), non già della sinagoga.

 

 

LE CARATTERISTICHE DISTINTIVE

DELLA CHIESA CRISTIANA

 

Per conoscere la natura della Chiesa che Gesù sta edificando, è utile tener presente gli aspetti che, secondo lui, dovevano caratterizzarla. Ne considereremo cinque.

 

 

1. Un clima di perdono

 

Quando si ricorda che la Chiesa è la comunità la cui relazione con Dio viene regolata dal nuovo Patto, ne consegue che la sua prima caratteristica, in ordine logico, è la comune esperienza del perdono di Dio e la pratica del perdono reciproco (si veda Gr 31:34; Ef 4:32).

 

Un’altra ragione per considerare il clima di perdono la prima caratteristica della chiesa è l’enfasi che Gesù stesso pone sull’obbligo del perdono reciproco (Mt 6:14-15; 18:15-35).

Laddove i singoli membri possono contare su uno spirito di perdono da parte degli altri, sono maggiormente spronati a confessare i propri errori, senza la paura di esserne marchiati per il resto della vita. Nella pratica dal perdono la Chiesa si distingue nettamente dalla cultura di vendetta che vige nel mondo circostante.

Inoltre la pratica del perdono facilita un più alto livello di santità fra i discepoli di Cristo proprio perché questi possono ammettere, senza paura, i propri sbagli.

 

L’effetto della cultura del perdono, che nasce con il nuovo Patto, viene descritto molto bene da Pietro, che a suo tempo aveva chiesto a Gesù:

“Signore, quante volte perdonerò mio fratello se pecca contro di me? Fino a sette volte?” (Mt 18:21).

Gesù gli aveva risposto:

“Non ti dico fino a sette volte, ma fino a settanta volte sette” (v. 22).

 

Nella sua prima lettera, Pietro stesso scrive: “Soprattutto, abbiate amore intenso gli uni per gli altri, perché l’amore copre una gran quantità di peccati” (1 P 4:8).

L’amore “copre” i peccati nel senso che ne favorisce la confessione e la cancellazione; infatti, ciò che rende possibile la pratica del perdono è proprio l’esperienza e la manifestazione dell’amore di Dio.

 

 

2. Ubbidienza al mandato missionario

 

Una seconda caratteristica della Chiesa è l’ubbidienza al mandato missionario.

Per comprendere quanto sia fondamentale per la Chiesa impegnarsi in questo senso, vale la pena considerare le parole di Gesù in Matteo 21:42-44.

Gesù parla qui del passaggio del ruolo di strumento del regno di Dio, da Israele alla “gente che ne faccia i frutti”(Mt 21:42-44).

Alla luce della storia apostolica, possiamo identificare questa “gente” nella Chiesa composta sia da Giudei sia da Gentili, a partire dagli apostoli stessi.

 

Alla domanda “In che senso la Chiesa agisce con l’autorità di Dio?”, la risposta va ricercata in primo luogo nell’incarico ricevuto di predicare il Vangelo a ogni creatura e così fare discepoli (Mr 16:15-16; Mt 28:18-20).

A questo proposito, le parole finali del Grande mandato: “fino alla fine dell’età presente”, fanno comprendere chetale mandato rimane in vigore fino al ritorno di Cristo.

Questa caratteristica della Chiesa era molto in evidenza nel periodo descritto nel libro degli Atti (1:8; 2:41; 8:1-4, 11:19-20; 28:28).

In secondo luogo la Chiesa esercita autorità che ha origine celeste quando segue diligentemente la procedura indicata da Gesù nel caso che un fratello pecca contro un altro (Mt 18:15-20).

 

 

3. L’essere “colonna

e sostegno della verità”

 

Una terza caratteristica, strettamente legata all’ubbidienza al mandato missionario, è quella della trasmissione dell’insegnamento di Gesù a tutti i nuovi discepoli.

Infatti, dopo aver parlato dell’autorità universale conferitagli – “in cielo e sulla terra” – Gesù mandò i suoi apostoli nel mondo per fare altri discepoli, per battezzarli e per insegnare loro “a osservare tutte quante le cose che”essi stessi avevano imparato da lui (Mt 28:20).

 

A questo proposito leggiamo che i membri della Chiesa primitiva “erano perseveranti nell’ascoltare l’insegnamento degli apostoli” (At 2:42; cfr. 6:4).

Anche in seguito i dodici apostoli si dedicarono al “ministero della parola” (si veda At capp. 3–5; 6:1-4).

Un aspetto particolarmente importante di questo compito è quello di sostenere la verità riguardante la Persona di Cristo e la via della salvezza, contro i contraddittori (si veda Tt 1:9; 1Gv 2:18-19; 4:1-10; cfr. 2Gv v. 9).

 

Anche l’apostolato di Paolo comprendeva l’incarico di “dottore dei Gentili” (1Ti 2:7). Come tale, oltre ad avvertire“solennemente Giudei e Greci di ravvedersi davanti a Dio e di credere nel Signore nostro Gesù Cristo”, Paoloannunziò “tutto il consiglio di Dio” (At 20:21, 27).

Inoltre, ordinò che le verità da lui insegnate venissero trasmesse “a uomini fedeli, che siano capaci anche di istruire altri (2 Ti 2:1-2, trad. mia). Che la responsabilità di trasmettere la verità sia della Chiesa nel suo insieme si può constatare dal fatto che fra le varie definizioni della Chiesa c’è: “colonna e sostegno della verità”, in particolare della “verità” riguardante la persona e l’opera di Cristo (1Ti 3:12-16).

 

 

4. La Cena del Signore

 

La quarta caratteristica consiste nel ricordo del trionfo di Cristo per mezzo del memoriale denominato sia “lo spezzare il pane” sia “la cena del Signore” (At 20:7; 1Co 11:20).

La Bibbia insegna che Dio “ha lasciato il ricordo dei suoi prodigi” (Sl 111:4). Dal momento che non c’è alcun prodigio paragonabile, per grandezza, all’incarnazione e all’opera di salvezza compiuta dal Figlio di Dio, ci saremmo potuti aspettare che anche in questo caso, Dio ne avesse lasciato il ricordo.

 

Nell’istituire questo memoriale, Gesù fece riferimento al nuovo Patto anche perché fece dipendere l’operatività di questo Patto dallo spargimento del suo sangue (Lu 22:20).

Il rapporto fra la morte di Cristo e l’istituzione del nuovo Patto fu confermato in modo palese nel momento in cui Gesù “avendo di nuovo gridato con gran voce, rese lo spirito” (Mt 27:50). Tutti e tre i Vangeli sinottici ci informano che in quel momento “la cortina del tempio si squarciò in due, da cima a fondo” (Mt 27:51; Mr 15:38; Lu 23:45), il che dimostrò in modo drammatico il superamento del Patto mosaico come modo di accostarsi a Dio.

 

Il fatto che la frase “questo calice è il nuovo patto nel mio sangue” fu trasmessa a persone convertite dal paganesimo (1Co 11:23-26), le conferì nuovo valore, in quanto fa comprendere che il nuovo Patto, sebbene fatto in un primo momento con Israele, si estende anche a persone “in Cristo” provenienti da altri popoli (cfr. Lu 44:47; At 10:43-48; 11:18). Inoltre, è significativo che, prima ancora di scrivere ai Corinzi, Paolo avesse già trasmesso alla Chiesa le istruzioni lasciate da Gesù (v. 23).

Da ciò deduciamo che la trasmissione di queste istruzioni facesse parte del processo di consolidamento di tutte le chiese.

 

 

5. Una comunità di persone che pregano

 

Infine, la Chiesa è una comunità di persone che pregano (si veda At 2:42).

Quest’aspetto della vita di Chiesa si fonda tanto sull’insegnamento e sull’esempio di Gesù (Mt 6:6-15; 7:7-11; Gv 14:12-14; 16:23-24), quanto sul fatto che coloro che entrano nel nuovo Patto formano un sacerdozio regale (1P 2:4-5, 9; cfr. Eb 10:19-23).

 

Tanto gli apostoli quanto la Chiesa apostolica hanno seguito l’insegnamento e l’esempio di Gesù, diventandoun popolo di intercessori. Nell’era apostolica la pratica della preghiera era talmente rilevante che quasi ogni decisione, rivelazione della volontà di Dio o passo avanti, avveniva in un contesto di preghiera (si veda At 1:12-15; 1:21-26; 2:21; 4:23-31; 6:4-6; 8:14-17; 10:2-6, 9-16, 30; 12:1-16; 13:1-4; 14:20-23; 13:1-4).

 

Quindi quello che si afferma in riferimento ai membri della chiesa di Gerusalemme, che “erano perseveranti… nelle preghiere”, oltre a caratterizzare i membri di quella Chiesa, descrive la “comunità” del nuovo Patto in generale. Sapendosi perdonati e accettati da Dio, per mezzo del sangue di Cristo, ed essendo consapevoli che egli sta alla destra del Padre in qualità di Mediatore e Sommo Sacerdote, i suoi discepoli trovano nella preghiera uno degli elementi fondamentali della loro vita.

 

Rimane da ribadire che lo scopo generale della Chiesa è quello di glorificare Dio (Ef 3:21).

Talvolta questo scopo viene posto come il primo scopo della Chiesa. In realtà esso fu definito parecchi anni dopo che Gesù aveva affidato il mandato missionario alla Chiesa.

Infatti non ci sarebbe stata nessuna Chiesa in grado di glorificare Dio se gli apostoli, insieme ai primi convertiti, non avessero dato la priorità alla missione che era stata affidata loro e se non avessero battezzato i nuovi discepoli, insegnando loro a osservare tutto quanto era stato ordinato da Cristo.

 

 

Il tempio dello Spirito

 

La dimensione comunitaria della chiesa si manifestò subito dopo la discesa dello Spirito Santo e la conversione di tremila persone (At 2:37-47). Questo improvviso senso di comunità fu il risultato del “dono dello Spirito Santo” che Pietro aveva promesso a tutti i nuovi credenti (v. 38). I risultati pratici colpirono fortemente l’opinione pubblica (vv. 43-47).

 

La Chiesa deve considerarsi anche una comunità a livello internazionale. Lo si vede nel fatto che lo Spirito Santo spronò i “discepoli” di Antiochia di Siria a mandare un aiuto ai loro “fratelli” nella Giudea (11:27-30).

Infatti tutti i discepoli di Gesù formano, nel loro insieme, “l’edificio che ha da servire come dimora a Dio per mezzo dello Spirito” (Ef 2:22-23).

 

Gesù insiste che la sua Chiesa ha carattere laico. In pratica, anziché ricalcare gli schemi di potere di questo mondo, deve predominare uno spirito di servizio (Mr 10:42-45), un amore pronto al sacrificio e all’abnegazione (Gv 13:1-17, 34-35) e la sottomissione reciproca (Ef 5:18-21). Ciò che regge questo tipo di vita comunitaria è l’opera dello Spirito Santo in tutti i membri, anche in coloro che sono chiamati ad assumere ruoli di conduzione (1 Co 12:7-11,28; Ro 12:4; Ef 4:7-12; 1 P 5:1-4).

 

Oltre a ricevere l’unzione dello Spirito (1Gv 2:20,27), tutti i membri della Chiesa ricevono almeno un carisma, distribuito sovranamente dallo Spirito, e sono chiamati a impegnarsi in qualche modo per favorire il bene comune (Ro 8:9; Ro 12:4-8; 1 Co 12:7-13, 28; 1 P 4:10-11; Eb 2:4; 2 Co 5:17-21). La differenziazione dei ruoli non dipende dal fatto che gli uni abbiano ricevuto un’unzione speciale e gli altri no, né da fattori culturali, razziali o sociali. Piuttosto dipenderà dai carismi specifici che i vari membri avranno ricevuto.

 

 

Un avvertimento solenne

 

Come nel caso delle tre istituzioni create da Dio considerate in precedenza (la famiglia, il governo e Israele), anche nel caso della Chiesa, la Bibbia contiene un avvertimento solenne per chi tratta questa istituzione senza il dovuto rispetto. Paolo avvertì coloro che erano colpevoli di fomentare divisioni nella chiesa di Corinto in questi termini:

“Non sapete che siete il tempio di Dio e che lo Spirito di Dio abita in voi? Se uno guasta il tempio di Dio, Dio guasterà lui; poiché il tempio di Dio è santo; e questo tempio siete voi (1 Co 3:16-17).

 

Non viene specificato in che modo “Dio guasterà lui”, ma visto il rapporto stretto fra la vita di chiesa e quella di famiglia, è lecito pensare che, se non viene guastato personalmente chi tratta la Chiesa con leggerezza, questo suo comportamento potrebbe avere ripercussioni nella vita della sua famiglia.

Per la riflessione personale

o lo studio di gruppo

 

1. Chi ha istituito la chiesa e in quale modo?

 

2. Quali sono le caratteristiche della chiesa secondo il pensiero di Dio?

 

3. Perché bisogna trattare la chiesa con rispetto?




NOTADesidero innanzitutto ringraziare il fratello Rinaldo perché non è facile esprimere in modo sintetico, ma allo stesso tempo completo ed efficace, la realtà della Chiesa nel progetto divino, così come illustrato dalla Parola.

Aggiungo solo una piccola considerazione personale che nasce da una testimonianza e lo faccio perché qualcuno non abbia ad equivocare l’affermazione secondo la quale “la sua Chiesa ha carattere laico”. Come ben sappiamo, “laico” è termine abusato nel linguaggio attuale e spesso viene utilizzato per indicare realtà che nulla hanno a che fare con la fede o con la “religione”.

Quello che il fratello Rinaldo vuole affermare con forza – e lo fa utilizzando l’aggettivo “laico” – è che nella Chiesa progettata da Dio, della quale Cristo è l’unico Capo e nella quale opera lo Spirito Santo, non esiste una presenza sacerdotale intesa in senso ministeriale, clericale: cattolico, tanto per intendersi. Ricordo che alcuni anni fa una trasmissione televisiva della rubrica “Protestantesimo” dedicata al movimento delle Assemblee, queste ultime furono presentate come “comunità di soli laici”. Per contestare un’affermazione non chiara, mi permisi di scrivere ai responsabili con una lettera aperta di testimonianza nella quale sostenevo, con un linguaggio volutamente provocatorio, che in realtà le Assemblee sono “comunità di tutti sacerdoti”, proprio in virtù della convinzione che tutti abbiamo “la libertà di entrare nel luogo santissimo per mezzo del sangue di Gesù…” (Eb 10:19). (P.M.)