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Perché l’amore è importante?

 

Un anno dopo l’inizio delle disastrose guerre d’indipendenza nei territori della ex-Jugoslavia, un croato fece questa dichiarazione:

“Ciò di cui i paesi Balcanici hanno bisogno è un battesimo d’amore; noi non sappiamo fare altro che odiare e fare vendetta”.

Le guerre di secessione nei Balcani, in parte a sfondo religioso, con centinaia di migliaia di morti, molti dei quali dovuti ad atti di “pulizia etnica”, continuarono fino al 1995.

 

Qualche anno dopo ho potuto vedere di persona i segni della distruzione causata dalla guerra d’indipendenza della Croazia.

Poi, nel 1999, ho visto in Kosovo i terribili effetti prodotti dalla vendetta dei Serbi per una sconfitta subita nella Guerra di Kosovo del 1389! La vendetta non produce altro che odio, distruzione e morte.

 

Alla luce di questi esempi di storia recente dell’uomo, nonché delle piccole vendette testimoniate nei massmedia di tutti i giorni, appare in tutta la sua straordinaria eccezionalità e importanza il comandamento di Gesù:

 

“…che vi amiate gli uni gli altri. Come io vi ho amati, anche voi amatevi gli uni gli altri. Da questo conosceranno tutti che siete miei discepoli, se avete amore gli uni per gli altri” (Gv 13:34-35).

Naturalmente Gesù non stava parlando di un amore sentimentale, bensì del tipo di amore (gr. agapē) che Dio Padre ha manifestato nei nostri confronti mandando suo Figlio nel mondo affinché noi, che eravamo suoi nemici, potessimo essere salvati dal peccato ed ereditare la vita eterna (Gv 3:16; Ro 5:8; 1Gv 4:10).

A proposito di questo amore, Paolo scrive:

 

“Non abbiate altro debito con nessuno, se non di amarvi gli uni gli altri; perché chi ama il prossimo ha adempiuto la legge. Infatti il «non commettere adulterio», «non uccidere», «non rubare», «non concupire» e qualsiasi altro comandamento si riassumono in questa parola: «Ama il tuo prossimo come te stesso».L’amore non fa nessun male al prossimo: l’amore quindi è l’adempimento della legge (Ro 13:8-10).

 

Fa riflettere che l’unica fonte umana da cui può prendere origine ciò che il croato ha chiamato “un battesimo di amore” è la comunità dei discepoli di Gesù.

Si tratta dell’unico ambito, dopo quello del popolo d’Israele, in cui la norma di convivenza è l’amore.

 

Soltanto qui vige, come priorità, il volere il vero bene dell’altro e la tendenza ad adoperarsi a tal fine. Dove manca questo amore ci vuole poco per scivolare in una guerra come quella etnico-religiosa che caratterizzava il conflitto serbo-kosovaro durante l’ultimo decennio del secolo scorso con il suo tragico epilogo nel 1999.

 

Nel caso in cui i discepoli di Cristo dovessero venir meno nella manifestazione dell’amore, non rimarrebbe alcuna speranza per il mondo, affondato com’è nell’odio e verrebbe meno la possibilità di comunicare in modo convincente il Vangelo della grazia di Dio.

 

 

Il comandamento

dell’amore nell’insegnamento di Gesù

 

Se qualcuno considera esagerato includere il comandamento di amare fra le cose fondamentali della rivelazione biblica, presti attenzione alle parole di comando di Gesù che i suoi discepoli sono tenuti a osservare (Mt 28:20).

 

Innanzitutto dovrebbe rileggere le conversazioni del cenacolo con cui Gesù preparò gli apostoli al suo imminente esodo dal mondo e al loro ruolo dopo la Pentecoste (Gv capp. 13-16);  il comandamento: “Amatevi gli uni gli altri” ricorre tre volte in queste conversazioni (13:34; 15:12, 17).

A ciò si aggiunge la frase ripetuta: “Se voi mi amate, osserverete i miei comandamenti” (14:15; cfr. 14:23-24; 15:10).

 

Inoltre Gesù indica nell’ubbidienza al comandamento di amare l’unico modo di essere riconosciuti come suoi discepoli (13:35) e indica nell’unità dei suoi discepoli, che è il prodotto dell’esercizio dell’amore reciproco,l’unico modo per convincere il mondo che egli è stato mandato nel mondo dal Padre (17:20-23).

 

Gesù riprende questo tema nella lettera alla chiesa di Efeso riportata in Apocalisse 2:1-8.

Chi concepisce l’ortodossia soltanto in termini di adesione alle verità proposizionali contenute nella rivelazione speciale, dovrebbe prendere molto sul serio il modo in cui Gesù valuta questa chiesa.

Gesù riconosce tanto la sua ortodossia dottrinale quanto la sua costanza eppure avverte:

 

Ma ho questo contro di te: che hai abbandonato il tuo primo amore. Ricorda dunque da dove sei caduto, ravvediti, e compi le opere di prima; altrimenti verrò presto da te e rimuoverò il tuo candelabro dal suo posto, se non ti ravvedi” (Ap 1:4-5).

 

Qui abbiamo la valutazione del Capo della Chiesa. Il suo criterio di valutazione è: dove mancano le opere che esprimono amore per lui e per il prossimo, quella chiesa è un ostacolo alla testimonianza e quindi non merita di rimanere nel suo progetto dell’edificazione della sua Chiesa (cfr. Mt 16:18).

 

Se non bastasse la valutazione del Capo della Chiesa – una chiesa che non manifesta amore è caduta e deve ravvedersene subito pena la sua squalificazione – anche l’apostolo delle Genti, sebbene molto interessato al mantenimento della sana dottrina, usa lo stesso criterio di valutazione.

Nella prima delle sue lettere, dopo aver confermato la propria attenzione per i poveri (Ga 2:10), scrive la frase memorabile:

 

“Quello che vale è la fede che opera per mezzo dell’amore” (5:6).

 

Ancora nella sua prima lettera canonica alla chiesa di Corinto ritorna sull’importanza fondamentale dell’amore dove afferma che in assenza di esso ogni dono e ogni sacrificio, anche il più estremo, non ha alcun valore (1Co 13:1-3)!

 

Quindi è evidente che, dopo la salvezza, la cosa più fondamentale per ogni discepolo di Cristo è l’ubbidienza al comandamento di Gesù di manifestare l’amore di Dio ai propri fratelli e al mondo esterno.

Ciò che ci mette in grado di amare

 

Non dimenticherò mai la bella ragazza di Valona, in Albania, che non riusciva a sorridere.

Era poco dopo la caduta del regime comunista e mi raccontò la storia di come suo zio era stato trattato dal regime. Era una storia molto triste, anche perché la ragazza era stata particolarmente legata a questo zio e il ricordo di come era morto era rimasto inciso nella sua memoria. Lei mi disse:

“Non riesco a non odiare, è più forte di me!”.

Per superare questo blocco emotivo, questa ragazza doveva non soltanto rinunciare all’odio ma anche lasciare operare in lei lo Spirito Santo, spandendo nel suo cuore l’amore di Dio.

 

A questo proposito, Paolo scrive:

“L’afflizione produce pazienza, la pazienza esperienza, e l’esperienza speranza. Or la speranza non delude, perché l’amore di Dio è stato sparso nei nostri cuori mediante lo Spirito Santo che ci è stato dato” (Ro 5:3-5).

 

Lo Spirito Santo fornisce la capacità soprannaturale di amare là dove, senza il suo aiuto, afflizioni e ingiustizia produrrebbero soltanto odio. La necessità dell’assistenza dello Spirito Santo viene ribadita nel noto brano che descrive il frutto dello Spirito, in contrapposizione alle opere della carne:

“Il frutto dello Spirito invece è amore, gioia, pace, pazienza, benevolenza, bontà, fedeltà, mansuetudine, autocontrollo” (Ga 5:22; cfr. vv. 16-21).

 

È possibile per i figli di Dio amare in ogni circostanza, anche i nemici, soltanto quando si lasciano controllare dallo Spirito Santo e quindi amano con l’amore di Dio.

Ecco perché Paolo esorta:

“Se viviamo dello Spirito, camminiamo anche guidati dallo Spirito” (v. 25).

Chi si lascia controllare dallo Spirito diventa una fonte di amore; chi invece contrista lo Spirito Santo per il quale è stato suggellato per il giorno della redenzione (Ef 4:30), rischia di trovarsi sopraffatto dall’odio e dal desiderio di fare vendetta.

 

 

Come l’amore si esprime

nella chiesa locale

 

Nell’ambito della chiesa locale, l’ubbidienza al comandamento di amare produce l’amore reciproco perché tutti i veri discepoli di Gesù hanno ricevuto dallo Spirito Santo, senza eccezione, un battesimo di amore.

Tale amore reciproco si manifesta in particolare in due cose: la solidarietà nelle cose pratiche e in una cultura di perdono.

 

È noto che la solidarietà negli aspetti pratici, quotidiani, della vita costituiva un aspetto importante della testimonianza della prima chiesa (si veda At 2:42-47; 4:32-37; 6:1-7). Ma lo è ancora oggi, anche a livello della fratellanza internazionale, come accadde già fra i discepoli siriani e giudei nei tempi apostolici (At 11:27-30).

 

Ricordo con riconoscenza la solidarietà della giovane assemblea di Fuorigrotta, a Napoli, quando ero stato derubato di praticamente tutti i soldi che avevamo a disposizione come famiglia per l’affitto e altro. Saputo del fatto, i fratelli ci chiesero la cifra dei soldi rubati e fecero subito una colletta che ammontò alla stessa somma! I cosiddetti “ladri onesti” restituirono i miei documenti mentre il Signore, per mezzo del suo popolo, restituì il denaro.

In un altro contesto, nel vedere come la fratellanza si prese cura dei nostri bisogni pratici, gli osservatori credettero che avessimo dei parenti nei paraggi! Effettivamente avevamo i nostri fratelli e sorelle in Cristo!

 

Credo che ogni chiesa locale dovrebbe, come Paolo, “ricordarsi dei poveri” e quindi avere un fondo d’emergenza pronto per ogni bisogno di questo tipo.

Dobbiamo ubbidire in modo pratico a Gesù quando dice:

“Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri, come io ho amato voi” (Gv 15:12).

 

L’altro modo in cui l’amore agapē si esprime all’interno della chiesa locale è in una cultura di perdono. Dal momento che il processo della santificazione progressiva rimane incompiuto fino al termine del nostro cammino terreno (si veda Fl 1:6; 1 Te 5:23-24), immancabilmente ci saranno delle occasioni in cui i nostri difetti disturbano la comunione fraterna.

Gesù prevedeva questo e quindi provvide anche una procedura da seguire quando i peccati di un fratello creano danni per un altro (Mt 18:15-20). Seguendo il discorso di Gesù, Pietro capì che, il più delle volte, il caso si sarebbe risolto al primo stadio, che prevede un contatto diretto fra chi ritiene di aver subito un’azione peccaminosa e chi è ritenuto esserne la causa. Quindi Pietro fa la seguente domanda a Gesù: “Signore, quante volte perdonerò mio fratello se pecca contro di me? Fino a sette volte?” (v. 21).

La risposta di Gesù mette in chiaro la natura radicale del perdono secondo il pensiero di Dio:

“Non ti dico fino a sette volte, ma fino a settanta volte sette” (v. 22).

 

Segue una parabola con cui Gesù mette in evidenza che qualsiasi cosa siamo chiamati a perdonare è poca cosa rispetto a quanto Dio ci ha perdonati in Cristo (vv. 23-34).

L’aspetto più importante di questa parabola è la lezione che Gesù ne trae. Con riferimento alla reazione del re verso il servo che rifiutò di condonare il piccolo debito del suo conservo, Gesù disse:

“E il suo signore, adirato, lo diede in mano degli aguzzini fino a quando non avesse pagato tutto quello che gli doveva. Così vi farà anche il Padre mio celeste, se ognuno di voi non perdona di cuore al proprio fratello” (vv. 34-35).

Le parole “di cuore” arricchiscono il concetto già reso con la risposta alla domanda di quante volte bisogna concedere il perdono, facendo comprendere che ciò che Gesù richiede dalla sua chiesa è una cultura di perdono.

 

Troviamo lo stesso insegnamento in Efesini 4:32, dove la formula “perdonandovi [charizomenoi] a vicenda come anche Dio vi ha perdonati [echarisato] in Cristo” fa riferimento alla grazia di Dio, prima sperimentata da chi è stato perdonato da Dio e poi operante fra coloro che sono stati perdonati.

Non è un caso che Paolo abbia scelto di usare il participio presente di un verbo derivato dalla parola “grazia”(charis) nell’insistere sulla pratica continua del perdono reciproco. Come l’amore agapē è sempre pronto a donare, è anche sempre pronto a perdonare, senza contare le volte che è stato fatto.

 

 

Conclusione

 

L’amore che lo Spirito Santo infonde nel cuore delle persone rigenerate non aspetta che l’altro faccia qualcosa o sia meritevole, prima di agire; inoltre, dopo aver agito, non pretende gesti di gratitudine.

Esso pensa al bene dell’altro e agisce in modo disinteressato, come Cristo ci ha amati. 

 

 

Per la riflessione personale

o lo studio di gruppo

 

1. Perché il comandamento di Gesù di amare è la cosa più importante dopo aver sperimentato la giustificazione per grazia mediante la fede?

 

2. Perché Gesù può pretendere che i suoi discepoli amino come Egli ha amato loro?

 

3. Con quali criteri Gesù valuterà il nostro operato?