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Ad un certo punto del suo “testamento spirituale”, l’apostolo Paolo parla della condizione morale e spirituale che caratterizza il periodo fra la prima venuta di Cristo e la fine dei tempi (2Ti 3:1-9). Oggi assistiamo all’aumento vertiginoso di questo stato di cose, perché tutto è lecito e i principi della Parola di Dio vengono calpestati quotidianamente a tutti i livelli nella società.

Per questo motivo Paolo ricorda il suo insegnamento e la sua condotta che Timoteo aveva seguito da vicino in occasione dei diversi viaggi fatti con lui e nei quali aveva potuto rendersi conto del modo in cui l’apostolo viveva il cristianesimo. Infine Paolo lo invita a “perseverare” nelle verità che aveva imparato a conoscere fin da piccolo e che erano rivelate nelle Scritture “che possono dare la sapienza che conduce alla salvezza mediante la fede in Cristo” (2 Ti 3:14-15). 

L’utilità e lo scopo finale della Scrittura (2 Timoteo 3:16-17)

La Scrittura è ispirata, quindi è vera e autorevole, è utile, aiuta e dà risultati vantaggiosi. Inoltre, fornisce qualcosa di cui si ha bisogno per raggiungere un certo obiettivo, che è lo scopo finale. Questo testo presenta quattro verbi retti nell’originale da una stessa preposizione (letteralmente “in favore di”, “per”) che si ripete per ogni singolo verbo. Sarebbe stato sufficiente inserirla la prima volta, ma questa ripetizione è significativa dal punto di vista retorico perché serve a porre l’attenzione su ogni funzione della Scrittura ispirata.

Quindi, in primo luogo la Scrittura è utile a insegnare. Qui il termine usato indica l’insegnamento, l’istruzione in senso generale ed è sia l’atto dell’insegnare sia ciò che viene insegnato, ovvero la dottrina. Nella seconda lettera a Timoteo, ma già anche nella prima, l’apostolo Paolo definisce la dottrina o l’insegnamento in modo vario: il “deposito”, il “buon deposito”, la “sana dottrina”. Non è quindi un caso che l’apostolo usi termini diversi per indicare l’intero corpo dottrinale.

Il secondo verbo è riprendere, usato solo qui nel Nuovo Testamento. Esso indica l’opera di convinzione dello Spirito Santo mediante la quale qualcosa è portato alla luce, è oggetto di un esame attento. Qui indica una forte disapprovazione. Lo Spirito Santo, per mezzo della Scrittura, dimostra la necessità di essere ripresi per un peccato. Per fare un esempio: è come quando uno si rompe un arto e i raggi X lo evidenziano in modo netto.

Un terzo verbo è correggere, anche questo si trova solo qui nel Nuovo Testamento, e ha il senso di restaurare, rimettere nella giusta posizione. Nel greco secolare era un termine usato nell’ortopedia per indicare la “riparazione” di un braccio rotto che veniva “rimesso” in sesto. Infine la Scrittura è utile a “educare alla giustizia”. Ha a che fare con l’intento di istruire e guidare un bambino nella sua condotta, nel suo percorso verso la maturità. Indica il modo ripetitivo e paziente con il quale i bambini imparano. 

Una possibile illustrazione di questo testo la possiamo individuare nella vita del re Davide (2 Sa 11-12; Sl 51 e 32). Egli era a conoscenza dei vari comandamenti di Dio, quello di “non desiderare la moglie del tuo prossimo”, “non commettere adulterio” e “non uccidere”. Tuttavia una sera fu attratto da una bellissima donna con la quale si unì. A questo atto ne seguirono altri estremamente negativi. Tempo dopo, il Signore gli mandò il profeta Natan per fargli capire che aveva peccato. Il profeta gli raccontò una parabola che Davide non gli fece nemmeno finire perché disse che, per le azioni che aveva compiuto, il protagonista del racconto era degno di morte. Al che Natan gli rispose dicendo che quel tale era lui! La sua era stata una forte riprensione, che potremmo paragonare ai raggi X, la dimostrazione che Davide aveva peccato.

Ma il problema era tutt’altro che risolto. Davide si pentì della sua azione e allora il Signore lo restaurò correggendolo. Ed è in quel contesto che Davide scrisse: “Beato l’uomo a cui la trasgressione è perdonata e il cui peccato è coperto” e poi, rivolgendosi a Dio: “Davanti a te ho ammesso il mio peccato, non ho taciuto la mia iniquità. Ho detto: «Confesserò le mie trasgressioni al Signore», e tu hai perdonato il mio peccato” (Sl 32:1, 5).

La Scrittura è quindi utile per formare il carattere spirituale. Infatti nella conclusione Paolo afferma che lo scopo finale di tutto quanto precede è duplice: rendere completi, ovvero essere a conoscenza di tutto quello di cui abbiamo bisogno ed essere sia uditori sia facitori della Parola e poi essere ben equipaggiati per vivere la vita cristiana e quindi capaci di adempiere tutto ciò che si è chiamati a fare, ovvero essere ben preparati per il servizio cristiano a seconda del dono o dei doni ricevuti.

Dio, nella Scrittura, si fa conoscere in molti modi

Dio si rivela e si fa conoscere per mezzo di due dei suoi nomi principali: Dio e Signore.

Il primo è menzionato nelle prime parole della Scrittura: “Nel principio Dio creò i cieli e la terra” (Ge 1:1). In questa prima affermazione biblica, l’enorme potenza di Dio è evidente proprio dal significato del suo nome: il potente, il forte, il grande. Non è a caso che questo sia il nome con il quale in Genesi 1 viene descritta la sua opera creatrice.

Nel libro dell’Esodo (3:14), si legge l’altro nome principale: “Dio disse a Mosè: «Io sono colui che sono». Poi disse: «Dirai così ai figli d’Israele: ‘L’io sono mi ha mandato da voi’».”

L’IO SONO diventa, da questo momento in poi, il nome del patto di Dio con Israele. Egli è l’IO SONO: l’auto-sufficiente, che ha il dominio su tutto, il Dio che era, è e sarà. Questo nome, YHWH, il Signore, l’Eterno, si ritrova più di qualsiasi altro, migliaia di volte, quasi settemila volte nell’Antico Testamento!

Poi ci sono degli esempi di come Dio si fece conoscere ad Abraamo, il capostipite di Israele, per mezzo dei suoi nomi composti. Come Dio onnipotente, egli è in grado di far concepire Sara che, oltre a essere sterile, era avanti negli anni. Si è rivelato sempre ad Abramo come Dio Altissimo, possessore dei cieli e della terra, quando lo aiutò a liberare suo nipote Lot e come Signore degli eserciti, nome con il quale si rivela esclusivamente nei momenti critici della storia di Israele e il Salmo 46 dà un esempio di questo.

Dio si fa conoscere: per mezzo della creazione, un atto straordinario della Sua potenza descritto nei primi due capitoli della Genesi e poi tramite i suoi giudizi: il diluvio, la distruzione di Sodoma e Gomorra e le piaghe, causati rispettivamente dall’aumento vertiginoso della malvagità e dell’immoralità umana e dall’arroganza e insolenza del Faraone (Ge 6:6-7; 19; Es 5:2). Il diluvio doveva servire da monito a coloro che sarebbero sopravvissuti, i tre figli di Noè, e ai loro discendenti. Il secondo giudizio (su Sodoma e Gomorra) manifesta il suo richiamo al mondo estremamente immorale di allora; la cosa non è dissimile a quanto si vede oggi nel nostro mondo. Anzi, direi che la situazione sta degenerando. Il terzo giudizio è stato quello delle piaghe, dimostrazione con la quale Dio voleva farsi conoscere al Faraone del tempo e a tutti gli Egiziani. E gli Israeliti, scampati, avrebbero potuto raccontare ai loro figli questo grande evento.

Dio si fece conoscere tramite le sue opere potenti manifestate a Israele, ad esempio, facendolo attraversare il Mar Rosso all’asciutto, guidandolo durante la traversata nel deserto e nella conquista della Terra Promessa. Dio si fece conoscere per mezzo dei suoi attributi quali la sua unicità e fedeltà. “Sappi dunque oggi e ritieni bene nel tuo cuore che il Signore è Dio lassù nei cieli, e quaggiù sulla terra; e che non ve n’è alcun altro”; “Riconosci dunque che il tuo Dio, è Dio: il Dio fedele, che mantiene il suo patto…” (De 4:35-39; 7:9).

E nel Nuovo Testamento Dio si fa conoscere in modo definitivo e completo con la venuta del Figlio, il Signore Gesù Cristo (Ga 4:4). “Nessuno ha mai visto Dio; l’unigenito Dio, che è nel seno del Padre, è quello che l’ha fatto conoscere” (Gv 1:18).

Dio, nella Scrittura, fa conoscere l’origine di tutto

Attraverso le pagine della Bibbia Dio ci rivela le origini dell’universo e del suo capolavoro: l’uomo (Genesi capp. 1, 2). I vari elementi della creazione sono collegati fra di loro in modo straordinario. Infatti c’è una correlazione fra il primo giorno, con la creazione della luce, e il quarto, con la creazione del sole, della luna e delle stelle. C’è correlazione fra il secondo giorno, quando Dio ha separato la distesa del cielo da quella delle acque della terra dando origine ai mari e il quinto, con la creazione degli animali acquatici e degli uccelli. C’è un collegamento fra il terzo giorno, con la creazione della vegetazione, e il sesto, con la creazione degli animali e, infine, del capolavoro di Dio: l’uomo, maschio e femmina: “Poi Dio disse: «Facciamo l’uomo a nostra immagine, conforme alla nostra somiglianza, e abbiano dominio sui pesci del mare, sugli uccelli del cielo, sul bestiame, su tutta la terra e su tutti i rettili che strisciano sulla terra»” (Ge 1:26).

Dio, nella Scrittura, fa conoscere la nostra responsabilità

Tutti gli uomini sono responsabili verso Dio. Siamo tutti peccatori per natura e per azione, infatti: “Tutti hanno peccato e sono privi della gloria di Dio… Abbiamo già dimostrato che tutti, Giudei e Greci sono sottoposti al peccato” (Ro 3:23, 9). Il peccato ci separa inesorabilmente da Dio e questo vale indistintamente per tutti, da Adamo in poi.

Ci sono una trentina di parole che vengono usate dagli scrittori biblici per indicare questa scomoda verità, ad esempio ribellione, trasgressione, violazione della legge di Dio, mancare il bersaglio, iniquità, ecc. E ognuna di queste parole dà una sfumatura particolare a ciò che è il peccato e alla sua esistenza.  Dio, però, presenta il suo piano di salvezza in cui la morte di Cristo ha la centralità come afferma Paolo: “Poiché vi ho prima di tutto trasmesso, come l’ho ricevuto anch’io, che Cristo morì per i nostri peccati, secondo le Scritture” (1Co 15:3). E l’apostolo Pietro anni prima aveva detto che “In nessun altro (Gesù) è la salvezza; perché non vi è sotto il cielo nessun altro nome che sia stato dato agli uomini per mezzo del quale noi dobbiamo essere salvati” (At 4:12). Il terzo aspetto di questa nostra responsabilità è quella di rispondere positivamente a quest’opera di Cristo sulla base della fede, acquisendo così il diritto di diventare figli di Dio. Infatti la Scrittura afferma che non è possibile ottenere la salvezza con i nostri propri sforzi né con le nostre opere meritorie (Ef 2:8-9). Una volta esercitata la fede, acquisiamo un importantissimo diritto: “… a tutti quelli che l’hanno ricevuto, egli (Gesù Cristo) ha dato il diritto di diventare figli di Dio: a quelli cioè, che credono nel suo nome” (Gv 1:12). 

Dio, nella Scrittura, fa conoscere il futuro

Sempre attraverso la Scrittura Dio rivela il futuro prima di tutto del credente, quindi dell’incredulo e dell’universo. Il futuro, come d’altronde anche il presente, non ci appartiene. Non siamo padroni del prossimo millesimo di secondo della nostra vita. Figurarsi dei giorni o degli anni a venire. Molte persone credono in qualcosa di profondamente peccaminoso e negativo: l’oroscopo, o vogliono scoprire il loro futuro con pratiche che Dio condanna severamente.

Solo Dio, attraverso la Scrittura, fa conoscere il futuro. Prima di tutto del credente. È scritto che quelli che Dio “ha giustificati… li ha pure glorificati” (Ro 8:30). Il credente ha l’assoluta certezza della gloria. Ecco perché l’apostolo Paolo scriveva “Per me il vivere è Cristo e il morire guadagno” (Fl 1:21) e poteva affermare “siamo pieni di fiducia e preferiamo partire dal corpo e abitare con il Signore” (2Co 5:8) e questo perché il credente quando muore va subito spiritualmente alla presenza del Signore, mentre il corpo rimane in attesa della risurrezione che avverrà al momento in cui Gesù ritornerà. In quel momento anche i credenti che saranno in vita saranno “rapiti insieme con loro … e così saremo sempre con il Signore” (1 Te 4:16-18).

Dio nella Sua Parola fa anche conoscere il futuro dell’incredulo. In Apocalisse 20:11-15 è scritto qualcosa che fa “tremare i polsi”: il giudizio di tutti i non credenti.

Infine Dio, nella Scrittura, fa conoscere il futuro dell’universo: “Il giorno del Signore verrà come un ladro; in quel giorno i cieli passeranno stridendo, gli elementi infiammati si dissolveranno, la terra e le opere che sono in essa saranno bruciate” (2P 3:10). Le cose non andranno sempre avanti così. Questa terra e l’intero universo sono stati contaminati dal peccato e aspettano il giudizio che avverrà dopo i mille anni del regno messianico. L’universo fisico, “i cieli passeranno stridendo”, sarà incenerito e ci sarà una disintegrazione di tutta la materia come noi la conosciamo. Gli elementi infiammati che si dissolveranno sono gli atomi, i componenti ultimi della materia creata. Tutto quello di cui si compone la terra nella sua forma attuale, come anche l’intero universo, saranno consumati dal fuoco. Dopodiché, come rivela Giovanni raccontando lasua visione: “… io vidi un nuovo cielo e una nuova terra… non ci sarà più la morte, né cordoglio, né grido, né dolore, perché le cose di prima sono passate” (Ap 21:1, 4).

Per tutte le ragioni di cui sopra, la Scrittura ha un valore immenso. Quindi non c’è niente di più bello nella vita che poter dire: “Oh quanto amo la tua legge! È la mia meditazione di tutto il giorno… La tua parola è una lampada al mio piede e una luce sul mio sentiero” e, di conseguenza, seguire le sue indicazioni.