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Che tipo di salvezza?

 

Quando Paolo e Sila gridarono per distogliere il carceriere di Filippi dall’intenzione di suicidarsi, egli si precipitò nella parte più interna del carcere dove Paolo e Sila erano stati rinchiusi e pose loro la domanda:

“Signori, che debbo fare per essere salvato?” (At 16:30).

 

Il carceriere, a giudicare dall’intenzione di togliersi la vita piuttosto che subire la pena capitale per mano di altri, era uno stoico.

Intanto aveva constatato che Paolo e Sila, sebbene avessero la schiena sanguinante dalle molte vergate subite, possedevano una forza d’animo che niente poteva intaccare.

Prima del terremoto li avrà sentiti cantare e pregare e poi aveva visto che in mezzo al terremoto erano rimasti calmi.

 

Dopo il terremoto avevano addirittura pensato al suo bene, informandolo che non era il caso di suicidarsi perché ciò che lui temeva non era successo: nessun prigioniero era scappato

Colpito da questa forza d’animo e sapendo che essa non dipendeva in alcun modo dalle circostanze drammatiche in cui questi uomini si trovavano, il carceriere sentì un forte desiderio di sperimentare lo stesso tipo di benessere (sōtēria“salute” in Diodati, “salvezza” nella Nuova Riveduta) che caratterizzava la vita di questi due carcerati.

La risposta di Paolo e Sila, “Credi nel Signore [gr kyrios] Gesù, e sarai salvato tu e la tua famiglia” (At 16:31), conteneva una doppia sfida per il carceriere.

 

Innanzitutto, per ottenere il tipo di salute che loro possedevano, al posto di mettere la sua fiducia nei “kyrioi”conosciuti nel mondo greco-romano, ovvero uomini con la pretesa di possedere poteri sovrannaturali (si veda 1Co 8:5), il carceriere doveva porre fede in un altro kyrios di nome Gesù.

Inoltre, non si trattava di qualcosa per soli uomini di un certo rango; la “salute” promessa per mezzo di Gesù era destinata anche alla sua famiglia!

 

Il carceriere diede ascolto ai due testimoni di Gesù e radunò tutti i membri della sua casa e Paolo e Sila“annunziarono la Parola del Signore a lui e a tutti quelli che erano in casa sua” (v. 32). Seguì una festa perché il carceriere aveva creduto in Dio con tutta la sua famiglia. Avevano ottenuto la vera salute: salvezza eterna.

 

La conoscenza che riceviamo leggendo la Bibbia serve per darci “la sapienza che conduce alla salvezza mediante la fede in Cristo Gesù” (2Ti 3:14-15).

Mentre molte religioni e molti centri di benessere hanno la pretesa di aumentare le speranze di poter sperimentare uno stato di benessere, la salute di cui parla la Bibbia è senza paragoni. Informare il lettore di questa verità è il primo scopo di tutta la Bibbia, dalla Genesi all’Apocalisse.

 

Mentre la ricerca di benessere, fuori della rivelazione biblica, sorvola la vera causa delle malattie e del disagio che affligge il cuore umano, il filo conduttore del racconto biblico riguarda proprio il modo in cui il Creatore ha operato nella storia per porvi rimedio.

 

 

Gli uomini sono “privi della gloria di Dio”

 

Quando gli apostoli parlavano di salvezza, partivano dal fatto che gli uomini, nello stato in cui nascono, sono “privi della gloria di Dio” (Ro 3:23).

Tacito, uno storico romano (morto nel 110 ca. d.C.), disprezzava il cristianesimo proprio a motivo di ciò che lui riteneva fosse il suo concetto meschino dell’uomo. Mentre lo stoicismo idealizzava l’uomo, gli apostoli lo ritenevano un essere fatalmente compromesso a motivo del suo stato di peccato.

 

Per sapere chi avesse ragione, basta leggere in Romani 1:24-32 la descrizione di ciò che l’allontanamento da Dio produsse nella vita dell’uomo e confrontare tale descrizione con la società contemporanea.

 

È vano tentare di attribuire all’uomo una forza innata di bontà e giustizia. Tutta la storia racconta il contrario:l’uomo è un essere moralmente depravato che continua a peggiorare la propria situazione facendo scelte egoistiche e malvagie.

 

La Bibbia attribuisce questa condizione a un fatto storico: i progenitori dell’intera umanità caddero dal loro stato primordiale di comunione con il Creatore ribellandosi a Lui (Ge 3) e così tutti i loro discendenti hanno ereditato la loro condizione di peccato e morte spirituale (Ro 5:12-14; cfr. 1Gv 3:4).

L’essere “privi della gloria di Dio” ha determinato la spirale di degenerazione descritta in Romani 1:18-32.

 

 

Ciò che rende possibile la salvezza

 

Nel suo discorso profetico, Zaccaria, il padre di Giovanni il battista, esordisce così:

“Benedetto sia il Signore, il Dio dì Israele, perché ha visitato e riscattato il suo popolo, e ci ha suscitato un potente Salvatore nella casa di Davide suo servo, come aveva promesso da tempo per bocca dei suoi profeti” (Lu 1:68-70).

Il Nuovo Testamento ci informa anche del modo in cui Gesù compì la salvezza, spiega come tale salvezza possa essere sperimentata e ne descrive i frutti.

 

Giovanni il battista disse di Gesù:

“Ecco l’Agnello di Dio, che toglie il peccato del mondo!” (Gv 1:29).

 

Gesù stesso disse di sé stesso:

“Il figlio dell’uomo non è venuto per essere servito, ma per servire, e per dare la sua vita come prezzo di riscatto per molti (Mr 10:45).

 

L’apostolo Giovanni scrisse:

“In questo è l’amore: non che noi abbiamo amato Dio, ma che egli ha amato noi, e ha mandato suo Figlio per essere il sacrificio propiziatorio per i nostri peccati” (1 Gv 4:10).

 

E Pietro:

“Cristo ha sofferto una volta per i peccati, lui giusto per gli ingiusti, per condurci a Dio” (1 P 3:18).

 

Nella sua Lettera ai Romani l’apostolo Paolo si sofferma sul fatto che il sacrificio di Cristo ha soddisfatto la giustizia di Dio, rendendo possibile una salvezza offerta sul principio della grazia:

“Ora però, indipendentemente dalla legge, è stata manifestata la giustizia di Dio, della quale danno testimonianza la legge e i profeti: vale a dire la giustizia di Dio mediante la fede in Gesù Cristo, per tutti coloro che credono – infatti non c’è distinzione: tutti hanno peccato e sono privi della gloria di Dio – ma sono giustificati gratuitamente per la sua grazia, mediante la redenzione che è in Cristo Gesù. Dio lo ha prestabilito come sacrificio propiziatorio mediante la fede nel suo sangue, per dimostrare la sua giustizia, avendo usato tolleranza verso i peccati commessi in passato, al tempo della sua divina pazienza; e per dimostrare la sua giustizia nel tempo presente affinché egli sia giusto e giustifichi colui che ha fede in Gesù”(Ro 3:21-26).

 

L’autore della Lettera agli Ebrei sottolinea il rapporto fra la risurrezione di Cristo e la possibilità di ottenere una salvezza perfetta ed eterna:

Egli può salvare perfettamente quelli che per mezzo di lui si avvicinano a Dio, dal momento che vive sempre per intercedere per loro” (Eb 7:25).

 

Infine l’apostolo Pietro avverte:

In nessuno altro è la salvezza; perché non vi è sotto il cielo nessun altro nome che sia stato dato agli uomini, per mezzo del quale noi dobbiamo essere salvati” (At 4:12).

 

 

Come avviene la salvezza?

 

Questa fu la domanda a cui gli anziani e apostoli dovettero dare una risposta all’incontro di Gerusalemme di cui abbiamo notizie in Atti 15:1-29. Alcuni farisei che avevano riconosciuto Gesù come il Messia e Salvatore stavano insegnando che, per poter considerare “salvati” i pagani che si stavano convertendo a Dio: “bisogna circonciderli, e comandar loro di osservare la legge di Mosè” (v. 5).

Dopo una vivace discussione, fu Pietro a chiarire la questione una volta per sempre. Ecco parte del suo discorso:

“Fratelli, voi sapete che dall’inizio Dio scelse tra voi me, affinché dalla mia bocca gli stranieri udissero la Parola del vangelo e credessero. E Dio, che conosce i cuori, rese testimonianza in loro favore, dando lo Spirito Santo a loro, come a noi; e non fece alcuna discriminazione fra noi e loro, purificando i loro cuori mediante la fede” (At 15:7-9).

 

La circostanza a cui Pietro fa riferimento qui era ciò che era successo in casa di Cornelio.

In quell’occasione gli stranieri che avevano creduto all’annuncio del Vangelo furono battezzati (10:43-48), però a Gerusalemme Pietro non menziona il battesimo come una concausa della salvezza. Evidentemente il battesimo ha una funzione di confessione e testimonianza ma non va considerato uno strumento attraverso il quale Dio trasmette la grazia salvifica.

 

Dai brani citati è chiaro che ci si appropria della salvezza per fede.

Ecco perché Cristo mandò i suoi apostoli nel mondo per predicare il Vangelo della grazia (Mr 16:15-16; Lu 24:47).

Mentre gli apostoli predicavano nella potenza dello Spirito Santo (1P 1:12) lo Spirito operava il convincimento di peccato (Gv 16:7-11) e, in tutti coloro che si lasciavano illuminare, la Parola produceva fede a salvezza (Ro 10:14-17; 2 Ti 3:14-15).

In questo modo, e solo in questo modo, le persone diventavano, e diventano tutt’ora, parte della nuova creazione (2 Co 5:17-21).

 

 

La giustificazione

e il processo della salvezza

 

Quando si parla di salvezza, talvolta l’accento viene messo quasi esclusivamente sulla giustificazione. Non c’è dubbio che la giustificazione “per grazia mediante la fede” è l’evento decisivo nel processo della salvezza:

“Non c’è dunque più alcuna condanna per quelli che sono in Cristo Gesù” perché sono rivestiti della giustizia di Gesù (Ro 8:1; 5:1; 2 Co 5:21).

Ma non bisogna dimenticare che la salvezza eterna è molto di più della giustificazione, sia nel presente sia nel futuro.

Quanto al presente:

“Se infatti, mentre eravamo nemici, siamo stati riconciliati con Dio mediante la morte del Figlio suo, tanto più ora, che siamo riconciliati, saremo salvati mediante la sua vita” (Ro 5:10).

L’esperienza attuale della salvezza dipende dal ministero che Gesù svolge in qualità di sommo sacerdote del nuovo patto, un ruolo che non trasmette a nessuno (Eb 7:24):

“Perciò egli può salvare perfettamente quelli che per mezzo di lui si avvicinano a Dio, dal momento che vive sempre per intercedere per loro” (Eb 7:25).

 

Quanto all’aspetto futuro della salvezza: essa si completerà con la redenzione del nostro corpo: “Sappiamo infatti che fino a ora tutta la creazione geme ed è in travaglio; non solo essa, ma anche noi, che abbiamo le primizie dello Spirito, gemiamo dentro di noi, aspettando l’adozione, la redenzione del nostro corpo (Ro 8:22-23). Quest’ultima dimensione della salvezza è definita “glorificazione” (v. 30).

Era di questa salvezza che Paolo e Sila parlavano quando indicarono in Gesù colui che può dare la salute che egli cercava.

Si tratta di una salvezza perfetta ed eterna, che fa del Dio Creatore anche il Redentore di tutti coloro che tornano a lui, mettendo la loro fede nel Cristo risorto.

 

 

Per la riflessione personale

o lo studio di gruppo

 

1. Che cosa intendiamo per “salvezza”?

2. Perché dobbiamo parlare dell’opera della croce, ovvero del modo in cui la grazia di Dio ha operato per rendere possibile la salvezza, quando presentiamo il Vangelo?

3. Perché gli apostoli sottolinearono la necessità sia del ravvedimento sia della fede, come il modo di appropriarsi della salvezza?

4. L’errore più grave dell’insegnamento cattolico-romano è di considerare i sacramenti, anziché la fede personale in Cristo, la causa strumentale della salvezza.

Qual è il modo migliore per correggere questo errore?