Introduzione
Con il grande miracolo dell’Incarnazione, si ebbe non solo la piena rivelazione della grazia e della verità di Dio, ma anche di Dio stesso (Gv 1:14-18). Quanto all’ultimo di questi aspetti, Giovanni lo riassume con queste parole:
“Nessuno ha mai visto Dio; l’unigenito Dio, che è nel seno del Padre, è quello che l’ha fatto conoscere” (v. 18).
Leggendo il resto del Vangelo si viene a sapere che il vero Dio è una trinità di Persone.
In questo studio ci limiteremo quasi esclusivamente a citare brani di questo Vangelo, per dimostrare quanto sia sostanziale e determinante il suo contributo alla dottrina della Trinità. Infatti le definizioni che risalgono ai secoli successivi su quest’argomento non sono altro che tentativi di articolare una verità già evidente nel quarto Vangelo.
Gesù, vero Dio e vero uomo
Il prologo del Vangelo di Giovanni, pur non dando notizia della nascita di Gesù, rende particolarmente palpabile la verità dell’umanità del Figlio di Dio. Infatti dopo l’esordio in cui la deità eterna e l’attività creatrice della Parola vengono presentate in modo memorabile, Giovanni fa quest’affermazione sorprendente: “la Parola è diventata carne” (1:14).
Più avanti in questo Vangelo leggiamo che Gesú pianse, a motivo della morte di un caro amico e il dolore dei suoi familiari (11:35). A ciò si aggiungono molte altre circostanze tendenti a manifestare la vera umanità di Gesù, Figlio di Dio. Fra queste vanno segnalate la sua partecipazione a una festa di nozze, insieme con sua madre e i suoi fratelli (2:1-2) e la stanchezza provata dopo un lungo cammino (4:6).
Allo stesso tempo Giovanni fa sapere che la possibilità del vangelo della grazia dipende dalla relazione eterna che esiste fra il Padre e il Figlio, un fatto testimoniato anche nei Vangeli Sinottici. Fra i molti esempi di brani in cui Giovanni afferma questo fatto, ci sono i seguenti: Giovanni 1:49-51 (cfr. Mr 14:61-62) e Giovanni 14:6-9; 10:30 (cfr. Mt 11:27 e Lu 10:16,22). La differenza fra i Vangeli Sinottici e il quarto Vangelo, su questo punto, è che faceva parte dello scopo particolare di Giovanni scandire il fatto che Gesù possedeva due nature, una divina e una umana: “affinché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio” (20:31).
A proposito della relazione fra il Padre e il Figlio, possiamo osservare:
1. La sua naturale ascendenza: l’incarnazione figura come una discesa mirante a ricostituire la comunione fra Dio e l’uomo per mezzo della rivelazione della grazia di Dio (1:14,17; 16:28)
2. La sua preesistenza: egli condivideva la gloria del Padre “prima che il mondo fosse” (17:3-5; cfr. 1:1) e poté dire: “prima che Abraamo fosse nato, io sono” (8:58; cfr. Es 3:14).
3. La sua deità: oltre alle dichiarazioni già citate a questo riguardo, la sua deità fu confermata da molte affermazioni di Gesù, quale “Io e il Padre siamo uno” (10:30) e dalle parole di riconoscimento di Tommaso: “Signor mio e Dio mio!” (20:28).
4. Tale relazione determinò il valore unico dell’Incarnazione come rivelazione (1:18; 14:6-10). Questo viene ulteriormente confermato dalla serie di affermazioni in cui Gesù usa l’espressione “Io sono” con metafore significative quali “io sono il pane che è sceso dal cielo” (6:41) “io sono la porta” (10:9; ; si veda anche 8:12; 10:11; 11:25; 14:6; 15:1), e in senso assoluto in 8:58.
La tri-unità di Dio
Il Padre e il Figlio
Il Prologo (1:1-18) e molti altri brani citati sopra indicano l’eterna esistenza del Figlio divino, sussistente in una relazione, anch’essa eterna, con il Padre. Particolarmente significative in questo senso sono le parole che Gesù indirizza al Padre nella sua preghiera sacerdotale:
“Ora, o Padre, glorificami tu presso di te della gloria che avevo presso di te prima che il mondo esistesse” (17:5).
Ecco perché, chi conosce il Figlio, acquisisce anche la conoscenza del Padre (v. 3; 14:6-9).
È proprio a motivo di questa conoscenza più intima di Dio, resa possibile dal Figlio incarnato, che non appare in alcuno scritto del Nuovo Testamento il nome YHWH o altri nomi con i quali Dio si era rivelato nei tempi veterotestamentari.
Nella vita di Cristo, Dio si è rivelato in termini personali e da questa rivelazione scopriamo che c’è un gerarchia fra le persone divine.
Il Figlio apre la via, una via unica, alla comunione con il Padre:
“Io sono la via, la verità e la vita; nessuno viene al Padre se non per mezzo di me” (14:6).
E quando preghiamo, Gesù ci istruisce a rivolgerci a Dio come Padre: “Quando pregate, dite: «Padre»” (Lu 11:2) e ancora: “In verità, in verità vi dico che qualsiasi cosa domanderete al Padre nel mio nome, egli ve la darà” (Gv 16:23).
Sarebbe un passo indietro, pregare Dio usando uno dei nomi con cui si è fatto conoscere nei tempi precedenti all’Incarnazione del Figlio. Sapere, invece, che per mezzo di Gesù ci si può rivolgere al Dio dell’universo come“Padre” induce a pregare con fiducia e semplicità di cuore.
Padre, Figlio e Spirito Santo
Nel Vangelo di Giovanni i principali insegnamenti sullo Spirito Santo sono contenuti nei discorsi del Cenacolo riportati nei capitoli 13 a 16. In questi discorsi Gesù descrive quelli che sarebbero stati i rapporti dei suoi discepoli dopo il ritorno al Padre.
Gli Undici erano tristi, oltre che di fronte alla prospettiva della morte del loro Maestro, anche per la prossima partenza annunciata da Gesù (14:28-29). Al che egli li sorprende con parole quali:
“io vi dico la verità: è utile per voi che io me ne vada; perché, se non me ne vado, non verrà a voi il Consolatore; ma se me ne vado, io ve lo manderò” (16:7).
Giovanni il Battista aveva indicato come punto di arrivo del ministero di Gesù, durante il primo avvento, la venuta dello Spirito Santo (Gv 1:33; cfr. Mr 1:8). Da parte sua Gesù aveva detto che sarebbe stato lo Spirito Santo a operare la nuova nascita con cui si accede al regno di Dio (3:3-8). Ora nei discorsi del Cenacolo, Gesù torna a parlare dello Spirito in termini che non lasciano dubbi che egli sia una Persona divina, alla stregua del Figlio. Infatti in 14:16-17, dove conferma il prossimo battesimo dello Spirito Santo (cfr. 7:37-39), lo definisce un “altro consolatore”. Il termine tradotto “altro” significa “un altro dello stesso genere”. In 1Giovanni 2:1 Gesù viene definito il nostro“paraklēton” quando pecchiamo. Lo Spirito Santo che, dal momento del battesimo storico avvenuto il giorno della Pentecoste, dimora “in noi” è un paraklēton (consigliere, avvocato, consolatore) alla stregua del Figlio che svolge il ministero di mediatore fra Dio e gli uomini presso il Padre.
Oltre a definire lo Spirito Santo come una Persona divina, il termine greco allon (“un altro”) fa comprendere che esiste un rapporto paritario fra il Figlio e lo Spirito. Questo viene evidenziato dai ministeri dello Spirito, che comprendono quelli di testimone speciale del Figlio (15:26; cfr. At 1:8) e agente della rivelazione che si origina nel Padre e nel Figlio (16:12-15).
Il primo di questi versetti, in cui Gesù conferma la promessa dell’invio dello Spirito Santo sugli apostoli, provvede un’ulteriore testimonianza della stretta relazione fra le tre Persone della Trinità divina.
Però testimonia anche ciò che si usa definire l’ordine economico che caratterizza la Trinità. Ecco le parole di Gesù:
“Ma quando sarà venuto il Consolatore che io vi manderò da parte del Padre, lo Spirito della verità che procede dal Padre, egli testimonierà di me”.
Mentre le tre Persone sono ontologicamente uguali, quanto alle attività delle Persone, il Figlio e lo Spirito Santo rispondono al Padre. Il secondo di questi versetti ci ricorda che lo scopo dello Spirito Santo è quello di rivelare e portare gloria al Figlio che è anche il centro e il punto più alto della rivelazione.
Riassumendo: lo Spirito Santo procedette dal Padre, per mezzo del Figlio, dopo l’Ascensione di Cristo e potenziò la testimonianza degli apostoli. A questo proposito, Pietro disse alla folla: “Questo Gesù, Dio lo ha risuscitato; di ciò, noi tutti siamo testimoni. Egli dunque, essendo stato esaltato dalla destra di Dio e avendo ricevuto dal Padre lo Spirito Santo promesso, ha sparso quello che ora vedete e udite” (At 2:32-33).
Ora lo Spirito testimonia di Cristo, Figlio di Dio, e convince il mondo di peccato, di giustizia e di giudizio in base all’opera che il Figlio ha compiuto sulla croce. Inoltre rivelò agli apostoli il senso e le implicazioni escatologiche dell’opera compiuta dal Figlio, favorendo così la formazione di un canone di scritti neotestamentari.
Infine lo Spirito glorifica il Figlio nella vita dei discepoli e trasforma questi ultimi “nella sua stessa immagine, di gloria in gloria” (2 Co 3:17-18). Questo permette ai discepoli di sperimentare e manifestare un’unità analoga a quella che caratterizza le tre Persone della Trinità (Gv 17:20-21).
Conclusione
Noi veniamo a conoscere Dio come esistente in tre Persone quando lasciamo che lo Spirito Santo ci convinca di peccato (16:7-11) e poniamo fede in Cristo come Salvatore, per diventare così figli di Dio.
Il fatto che sia lo Spirito Santo a operare in noi la nuova nascita e che il Figlio di Dio sia il nostro Buon Pastore e che beneficiamo dell’amore del Padre, rende sicura la nostra posizione nella grazia (1:12-13; 3:3-16; 10:27-30).
La nostra risposta, se abbiamo ben capito la relazione in cui veniamo introdotti, sarà di provare meraviglia, come quella espressa dall’apostolo Giovanni quando scrive:
“Vedete quale genere d’amore ci ha manifestato il Padre, dandoci di essere chiamati figli di Dio! E tali siamo” (1 Gv 3:1).
Per la riflessione personale
o lo studio di gruppo
1. È possibile diventare figli di Dio senza sperimentare Dio come una Trinità? Spiega perché.
2. Che cosa insegna il Vangelo di Giovanni a proposito del rapporto fra le tre Persone della trinità: a. sul piano ontologico (della sostanza); b. sul piano economico (quello delle attività di ciascuna persona).