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Ogni volta in cui pronuncio il nome di Dio dovrei essere consapevole che questo comporta la responsabilità di discernere la sua persona con le sue qualità e con la sua volontà. Nel modello di preghiera che Gesù propose ai suoi discepoli, il primo desiderio che egli li invitò a esprimere nel pensare a Dio e nel rivolgersi a lui è infatti quello di santificare il suo nome (Mt 6:9b). Quando anche io gli rivolgo questa richiesta, esprimo il desiderio di vedere riconosciuta nel mondo la santità della sua Persona. Sarei però incoerente se questa richiesta non nascesse dalla mia personale consapevolezza della gloria e dell’assoluta perfezione di Dio nella santità, nella giustizia, nell’amore. Non posso quindi pronunciare il nome di Dio, con leggerezza e superficialità. Ma indubbiamente il modo peggiore di usare il suo nome è quello di strumentalizzarlo come giustificazione o paravento per le mie scelte. Quante volte ho attribuito a lui scelte che erano soltanto mie! Ho capito quanto sia grave per me e offensivo per lui attribuire alla sua volontà una scelta che ho compiuto io, di testa mia, nascondendo dietro una maschera di spiritualità la realizzazione di desideri che in realtà erano i miei. Chiamare Dio in causa per giustificare la propria condotta equivale a un vero e proprio abuso del suo nome. Questo accade quando si pronunciano con leggerezza e superficialità frasi tipo “Il Signore mi ha guidato… l’ha voluto il Signore…”, peggio ancora: “il Signore mi ha detto”. La giustificazione delle proprie scelte non deve passare attraverso un superficiale riferimento al nome del Signore, ma piuttosto attraverso l’obbedienza alla sua Parola che rivela la mia sottomissione reale alla sua signoria nella mia vita.

Ricordo non senza timore e tremore il forte e solenne avvertimento di Gesù: “Non chiunque mi dice: Signore, Signore! entrerà nel regno dei cieli, ma chi fa la volontà del Padre mio che è nei cieli. Molti mi diranno in quel giorno: «Signore, Signore, non abbiamo noi profetizzato in nome tuo e in nome tuo cacciato demòni e fatto in nome tuo molte opere potenti?» Allora dichiarerò loro: «Io non vi ho mai conosciuti; allontanatevi da me, malfattori!»” (Mt 7:21-23).

Ci sono persone la cui condotta rivela scelte determinate non dalla volontà del Padre ma dalla loro volontà. Quest’avvertimento di Gesù richiama alla mente quello rivolto dal profeta Geremia al popolo di Israele che, pur avendo un comportamento immorale che trasgrediva in tutto la volontà di Dio, credeva di essere al riparo di ogni giudizio grazie alla presenza a Gerusalemme del tempio del Signore: “Cambiate le vostre vie e le vostre opere, e io vi farò abitare in questo luogo. Non ponete la vostra fiducia in parole false, dicendo: «Questo è il tempio del SIGNORE, il tempio del SIGNORE, il tempio del SIGNORE!»… voi mettete la vostra fiducia in parole false, che non giovano a nulla. Voi rubate, uccidete, commettete adulteri, giurate il falso, offrite profumi a Baal, andate dietro ad altri dèi che prima non conoscevate, e poi venite a presentarvi davanti a me, in questa casa sulla quale è invocato il mio nome. Voi dite: «Siamo salvi!»” (Gr 7:1-10).

Molti Giudei erano idolatri e agivano senza alcuna morale, trasgredendo in modo scandaloso la Legge, ma si sentivano come protetti dalla fiducia (falsa!) che la presenza di Dio era pur sempre in mezzo a loro. Devo ricordare prima di tutto a me stesso che chi, pur avendo vissuto una vita pia e devota, durante la quale però ha utilizzato il nome di Dio per i propri scopi e non per la sua sola gloria, è per lui come uno sconosciuto (“Io non vi ho mai conosciuto”) e addirittura come un “malfattore”. Pronunciare il nome di Dio esige una coerente condotta di vita: lui dev’essere il Signore dei miei pensieri, delle mie scelte, delle mie azioni e non solo… delle mie parole!