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Introduzione

Stabilito il significato, la natura, il fondamento e il Capo della Chiesa, occorre ora che la Chiesa, come corpo di Cristo, cominci a crescere e a riempirsi, senza dimenticare che: “Se il Signore non costruisce la casa, invano si affaticano i costruttori” (Sl 127:1).

Una domanda cruciale è:

Come far parte della Chiesa?

Gli Atti degli apostoli ci danno la risposta. In vista della Pentecoste la prima comunità, invece di prendere l’iniziativa, di organizzarsi e di avventurarsi nel mondo, si è ritirata ad aspettare e pregare. La prossima mossa tocca al Risorto: è lui che deve mantenere la sua promessa di concedere lo Spirito Santo.

Quando lo Spirito scende su tutti i presenti nella “camera alta”, mette in grado l’assemblea di parlare. Il primo dono dello Spirito è il dono della parola, il dono di esprimersi in diverse lingue. Subito dopo la Chiesa ha il primo contatto con il mondo e il messaggio evangelico sta già arrivando alla folla: “Sappia dunque con certezza tutta la casa d’Israele che Dio ha costituito Signore e Cristo quel Gesù che voi avete crocifisso” (At 2:36). Con il relativo invito da parte di Pietro: “Ravvedetevi e ciascuno di voi sia battezzato nel nome di Gesù Cristo, per il perdono dei vostri peccati, e voi riceverete il dono dello Spirito Santo” (At 2:38).

Ecco per far parte della chiesa occorre ravvedersi dai propri peccati, credere in Gesù, essere battezzati e ricevere il dono dello Spirito. Ma chi fa tutto questo?

Le chiavi del regno dei cieli

Per la chiesa di Roma tutto questo è una sua prerogativa:

Il potere delle chiavi designa l’autorità per governare la casa di Dio, che è la Chiesa. Gesù «il Buon Pastore» (Gv 10:11), ha confermato questo incarico dopo la resurrezione: «Pasci le mie pecorelle» (Gv 21:15-17). Il potere di «legare e sciogliere» indica l’autorità di assolvere dai peccati, di pronunciare giudizi in materia di dottrina, e prendere decisioni disciplinari nella Chiesa. Gesù ha conferito tale autorità alla chiesa attraverso il ministero degli Apostoli e particolarmente di Pietro, il solo cui ha esplicitamente affidato le chiavi del Regno

 (Catechismo della chiesa cattolica, 533)

Ma le cose stanno proprio così? Direi proprio di no! Se è vero che le chiavi rappresentano una certa autorità, è indiscusso il fatto che non conferiscono il potere di assolvere, condannare o far entrare nel cielo.

L’unico che ha il potere su tutto questo è Cristo, nella Rivelazione di Giovanni il Signore assicura Giovanni: “Io sono il primo e l’ultimo, e il vivente. Ero morto, ma ecco sono vivo per i secoli dei secoli, e tengo le chiavi della morte e dell’Ades” (Ap 1:17-18). Dunque le chiavi (il potere di salvare o far perire) le ha solo Cristo. È evidente allora che le chiavi che Cristo ha affidato a Pietro sono di tutt’altra natura.

L’esegesi ci insegna che quando leggiamo un brano biblico non bisogna interpretarlo con la nostra mentalità occidentale ma con quella orientale, soprattutto con quella biblica. Ebbene nella mentalità biblica, chi teneva le chiavi di un palazzo o di una città era il responsabile della sicurezza di coloro che stavano dentro, dunque non il detentore di un potere ma responsabile. Affidando le chiavi del regno a Pietro, Gesù lo rende responsabile di tutti coloro che ascolteranno il messaggio di grazia come continuazione del kerigma cristologico: “Da quel tempo Gesù cominciò a predicare e a dire: «Ravvedetevi, perché il regno dei cieli è vicino»” (Mt 4:17).

Affidando le chiavi a Pietro, Gesù lo rende pienamente responsabile di amministrare “la svariata grazia di Dio” (1P 4:10). Cristo non assegna mai compiti agli uomini senza provvedere anche la potenza necessaria per assolverli correttamente: “Riceverete potenza quando lo Spirito Santo verrà su di voi, e mi sarete testimoni in Gerusalemme, e in tutta la Giudea e Samaria, e fino all’estremità della terra” (At 1:8). Pietro userà le chiavi del regno dei cieli, in realtà, sarà lo Spirito stesso il vero amministratore e legislatore che opererà in Pietro. Ricordo che Cristo ha affidato le chiavi a Pietro e non la chiave, quindi più di una che lui userà puntualmente.

1. LA CHIAVE DI PASCERE IL GREGGE DI DIO


▶ Verso gli Ebrei. Nel giorno della Pentecoste, quel Pietro che si era un paio di mesi prima vergognato di Gesù, senza titubanze predica perché ha ricevuto potenza, è lui il primo messaggero scelto da Cristo: “Questo Gesù, Dio lo ha risuscitato; di ciò, noi tutti siamo testimoni” (At 2:32). Incoraggia dunque i suoi connazionali a riconoscere “che Dio ha costituito Signore e Cristo quel Gesù che voi avete crocifisso” (At 2:36). Pietro spiegò cosa dovevano fare per essere salvati. In questo modo diede loro l’opportunità di entrare nel regno di Dio, e migliaia di persone “accolsero la sua parola” (At 2:41).

Verso i Samaritani. In seguito Pietro fu incaricato di andare dai Samaritani, per i quali usò un’altra chiave del Regno. Pietro e l’apostolo Giovanni “pregarono per loro affinché ricevessero lo Spirito Santo” (Atti 8:15). Questo diede ai Samaritani l’opportunità di entrare nel regno.


▶ Verso i Pagani. Gli stessi apostoli credevano che l’annuncio della buona notizia portata da Gesù riguardasse esclusivamente il popolo di Israele, gli Ebrei, la religione del tempio, con le sue regole, i suoi doveri, le sue prescrizioni. Credevano che i pagani, per non parlare dei Romani, ne fossero esclusi. Chi voleva seguire Gesù, avrebbe dovuto inserirsi nel solco dell’ebraismo. Invece Dio rivelò a Pietro che anche i pagani avrebbero avuto l’opportunità di entrare nel Regno. Allora Pietro usò un’altra chiave e predicò ai pagani in casa di Cornelio. Questo permise loro di ricevere lo Spirito Santo, di diventare cristiani e di entrare nel regno (At 10:30-35, 44, 45).

2. LA CHIAVE DI PASCERE IL GREGGE DI DIO

Pietro non sarebbe dovuto passare alla storia come colui che aveva rinnegato il Signore, questo peccato doveva essere cancellato ed espiato e questo sarebbe potuto avvenire solo per opera di Gesù. Anche questa volta perciò Gesù ha qualcosa di particolare da chiedere a Simone di Giovanni: “Mi ami più di questi?” (Gv 21:15).

Nonostante che Gesù lo chiami con il suo vero nome (Simone di Giovanni), quasi avesse dimenticato di avergli imposto un nuovo nome (Cefa), Pietro risponde subito di sì. Ma la domanda doveva essere posta per tre volte, e l’evangelista nota che Pietro, a quel punto, si fece triste. Quel sentirsi chiedere, per la terza volta: “Mi vuoi bene?”, sicuramente gli ricordava le tre volte del suo rinnegamento e lo straziante canto del gallo (Lu 22:34). Gesù lo sapeva che Pietro amava il Maestro e soprattutto Pietro sapeva che il Maestro conosceva il suo cuore, così Gesù gli conferì il privilegio di pascere il gregge di Dio (Gv 21:15-16). Questo non significa che egli dovrà pascerlo da solo, lo farà assieme agli altri:

“Esorto dunque gli anziani che sono tra di voi, io che sono anziano con loro e testimone delle sofferenze di Cristo… pascete il gregge di Dio che è tra di voi” (1P 5:1-2).

Nessun primato, ma solo cooperazione nel servizio.

3. LA CHIAVE DELLA MISSIONE

Il fatto che Pietro fu stabilito come strumento speciale per proclamare per primo il vangelo e poi prendersi cura del suo gregge, non impedì al Signore di servirsi di altre persone e di affidare un mandato più grande a Paolo (At 9:14; 14:27; 22:13; 26:15-18). Forse ci preoccuperemmo meno dell’unicità del mandato di Pietro, se ci ricordassimo della grandezza e della portata di quello di Paolo. Non solo, ma se Paolo è potuto diventare, il grande missionario, l’apostolo delle genti è grazie anche all’apporto di Pietro: “… riconoscendo la grazia che mi era stata accordata, Giacomo, Cefa e Giovanni, che sono reputati colonne, diedero a me e a Barnaba la mano in segno di comunione perché andassimo noi agli stranieri, ed essi ai circoncisi” (Ga 2:9). Sappiamo che la missione di Paolo verso il mondo pagano è stata voluta dallo Spirito Santo, quando lui si trovava in Antiochia, in seno alla comunità cristiana che viveva in quella città. Ma Giacomo, Cefa e Giovanni riconoscono la grazia di Dio conferita a Paolo. Un’altra chiave nelle mani di Pietro (ma non solo di Pietro) per far arrivare il vangelo all’estremità della terra attraverso Paolo.

Si capisce allora perché Gesù parla di “chiavi” e non di “chiave”, e non potrebbe essere altrimenti visto che il primato delle chiavi è solo di Cristo: “Queste cose dice il Santo, il Veritiero, colui che ha la chiave di Davide, colui che apre e nessuno chiude, che chiude e nessuno apre” (Ap 3:7).

Legare e sciogliere

Dopo la promessa delle chiavi del regno dei cieli ci saremmo aspettati che Gesù dicesse: “tutto quello che aprirai sarà aperto e tutto quello che chiuderai sarà chiuso”, invece non parla di aprire e chiudere (primato che spetta solamente a Cristo cfr. Ap 3:7), stranamente dice “… qualsiasi cosa legherai sulla terra sarà legata nei cieli”. Gesù ha forse conferito a Pietro autorità giudiziaria, amministrativa e legislativa, perché governasse la Chiesa, stabilendone le leggi? Abusò mai di ciò che Cristo qui gli conferì? Agì come vicario di Cristo? La Bibbia lo ha scagionato:

“Fra di loro nacque anche una contesa: chi di essi fosse considerato il più grande” (Lu 22:24), “In quel momento, i discepoli si avvicinarono a Gesù, dicendo: «Chi è dunque il più grande nel regno dei cieli?»” (Mt 18:1).

Questo episodio segue subito dopo il riconoscimento di Gesù a Pietro ed è significativo per due motivi: 1) Se Gesù avesse inteso nominare Pietro come capo della Chiesa queste parole sarebbero un controsenso. 2) La disputa viene risolta da Gesù non indicando Pietro, ma un piccolo fanciullo: il maggiore è colui che sa essere umile come un piccolo fanciullo.

“Essi ne presentarono due: Giuseppe, detto Barsabba, che era soprannominato Giusto, e Mattia” (At 1:23). “Tirarono quindi a sorte, e la sorte cadde su Mattia, che fu incluso tra gli undici apostoli” (At 1:26).

Dopo la morte di Giuda, gli undici apostoli decidono di sostituirlo con un nuovo apostolo. Ma invece di chiedere indicazioni a Pietro come avrebbero dovuto fare se davvero lui fosse stato costi-
tuito capo della Chiesa, decidono di tirare a sorte. Inoltre Pietro non suggerisce nemmeno i nomi proposti.

“Allora Pietro, cominciando a parlare, disse: «In verità comprendo che Dio non ha riguardi personali; ma che in qualunque nazione chi lo teme e opera giustamente gli è gradito»” (At 10:34-35).

Quando gli apostoli e gli altri cristiani seppero che Pietro aveva alloggiato in casa di pagani, contrariamente agli usi degli Ebrei, Pietro non si comporta da capo della Chiesa, esigendo ubbidienza alle sue decisioni, ma si giustifica di fronte a tutta la Chiesa.

Quando si riunisce il “concilio” a Gerusalemme, non appare che sia presieduto da Pietro, che pure è presente e prende subito la parola, ma da Giacomo, uno dei fratelli di Gesù. Le decisioni del concilio vengono prese non in nome di Pietro, ma degli apostoli, degli anziani e della Chiesa (Atti 15:22).

Legare (gr: déo) e sciogliere (gr: lúo) sono due verbi che appartengono al linguaggio rabbinico e significano l’autorità di insegnamento della dottrina”. Quindi Gesù autorizza Simone, che lo ha riconosciuto come Figlio del Dio vivente, di comunicare la purezza del Vangelo che trasmette vita a chi crede. Lui stesso lo conferma: “Fratelli, voi sapete che dall’inizio Dio scelse tra voi me, affinché dalla mia bocca gli stranieri udissero la Parola del vangelo e credessero” (At 15:7).

Inoltre la dichiarazione di legare e sciogliere non fu fatta solo a Pietro ma a tutti i discepoli, cioè al gruppo di persone che avevano creduto in Gesù e stavano per costituire il principio della Chiesa, come leggiamo poco più avanti: “Io vi dico in verità che tutte le cose che legherete sulla terra, saranno legate nel cielo; e tutte le cose che scioglierete sulla terra, saranno sciolte nel cielo” (Mt 18:18). Ciò che valeva per Pietro doveva valere per tutti i discepoli di Gesù. Dunque il potere “legare o sciogliere” non è stato dato solo a Pietro, agli apostoli o ai futuri conduttori della chiesa, ma a tutti i credenti, e non può quindi riferirsi affatto al “sacramento della Penitenza” così come è stato isti-
tuito dalla chiesa di Roma.

Inoltre prima di conferire il potere di legare e sciogliere (Mt 18:18), Gesù ne specifica la motivazione: “Se tuo fratello ha peccato contro di te, va’ e convincilo fra te e lui solo. Se ti ascolta, avrai guadagnato tuo fratello; ma, se non ti ascolta, prendi con te ancora una o due persone, affinché ogni parola sia confermata per bocca di due o tre testimoni. Se rifiuta d’ascoltarli, dillo alla chiesa; e, se rifiuta d’ascoltare anche la chiesa, sia per te come il pagano e il pubblicano” (Mt 18:15-17).

L’enfasi è posta sulla collaborazione cristiana nella comunità per risolvere problemi tra i credenti e per correggere i peccatori. Se un fratello trasgredisce un comandamento del Signore, Gesù vuole che venga ammonito. Se colui che è stato ammonito, retrocede dalla sua trasgressione, ritorna nell’osservanza dei comandamenti, questa unica azione basta. Se invece, nonostante l’ammonimento, l’altro persevera, o si ostina nel suo peccato e nella sua colpa, è giusto che venga ripreso in modo ufficiale, alla presenza di uno o due testimoni. Se c’è ancora ostinatezza è giusto che si riferisca il fatto alla chiesa, perché sia essa a giudicare sulla verità storica degli eventi e quindi di legare il colpevole alla sua colpa o scioglierlo da tutte le accuse (Mt 18:15-18). In sostanza la chiesa non prende le decisioni che Dio è obbligato a eseguire, ma esegue il perdono che Dio offre a chi si ravvede per i meriti di Gesù Cristo, oppure condanna. È dunque la chiesa che lega e scioglie.

Né a Pietro né agli altri apostoli fu assegnato il compito d’essere teologici innovatori con la facoltà di inventare nuove teologie o di scrivere catechismi su cui Dio avrebbe poi dovuto mettere il suo timbro d’approvazione. Al contrario, furono chiamati ad essere testimoni di ciò che Dio aveva già rivelato tramite Gesù, il Cristo (Gv 15:26; 16:13-15).

La Bibbia c’insegna chiaramente che solo Dio ha il potere di perdonare i peccati: “Chi può rimettere i peccati se non Dio solo?” (Lu 5:21; Mr 2:7). Il potere conferito da Gesù alla chiesa si spiega in modo molto chiaro con la missione del profeta Geremia (1:9-10); le parole del profeta hanno il potere di sradicare, di abbattere, di demolire e di distruggere da una parte, di costruire e di piantare dall’altra. Esse contengono quindi due germi: quello della vita (la restaurazione) e quello della morte (la distruzione), a seconda dell’accoglienza che incontrano. La potenza non è in Geremia, ma nel messaggio che deve proclamare. Il popolo è libero di scegliere o la vita o la morte. Pietro, gli apostoli e tutti i credenti non hanno ricevuto, come individui, nessun potere di rimettere o di ritenere i peccati. Ciò che hanno ricevuto è la missione di predicare il Vangelo che legherà oppure scioglierà coloro che lo ascoltano. Annunciando il Vangelo, i credenti mettono davanti ai loro uditori la vita e la morte, la schiavitù e la libertà, l’alternativa di essere legati o sciolti.

È esattamente quello che fece Mosè mettendo il popolo davanti all’alternativa della vita o della morte (De 30:15-19). Una dichiarazione dell’apostolo Paolo spiega questa azione del Vangelo di legare o sciogliere:

“Perché noi siamo per Dio il buon odore di Cristo fra quelli che sono salvati, e fra quelli che periscono; per questi un odore di morte a morte, ma per quelli un odore di vita a vita” (2Co 2:15-16).

Infine è bene ricordare che questo conferimento non contempla l’autorità sui regni del mondo. Gesù non disse: le chiavi del regno del mondo”, bensì le chiavi del regno dei cieli. Il regno di Dio non è “di questo mondo” (Gv 18:36), sebbene effettivamente operi in questo mondo”.

Conclusione

Pietro è senz’altro una figura chiave nella Chiesa di Cristo, è nominato prima in ogni elenco degli apostoli nel Nuovo Testamento. Matteo lo distingue in modo speciale: “Il primo, Simone detto Pietro” (Mt 10:2). Questi e altri dati sono stati male interpretati da molti che vi vedono stabilito il primato ecclesiastico. Certo l’indole naturale di Pietro gli diede una preminenza personale, ma non ecclesiastica sui suoi compagni, la supremazia sui suoi fratelli non è stata mai dichiarata da Cristo né pretesa da Pietro né ammessa dagli altri apostoli. Pertanto se il cosiddetto “primato petrino” fosse essenziale per la natura della Chiesa, è impensabile che gli apostoli non ne abbiano parlato seppure di passaggio. Ma questo silenzio è significativo: indica che gli apostoli non riconoscevano a Pietro nessun primato.

Cristo pone gli apostoli tutti sullo stesso piano (Mt 23:8-11; 18:18; 19:27,28; 20:20-27; Lu 22:24-27; Gv 20:21-23; At 1:8), questo spiega come l’atteggiamento di Paolo nei confronti di Pietro sia incredibile alla luce della presunta supremazia di quest’ultimo. Paolo gli resistette in faccia (Ga 2:11-14), inoltre colloca Pietro in secondo ordine dopo Giacomo (a differenza di Matteo non è il primo), fratello del Signore (Ga 2:9). Sebbene non sia completo questo elenco dei personaggi più importanti nella chiesa a Gerusalemme, mostra che Paolo non riconosceva a Pietro un primato che spetta soltanto a Cristo: “è lui il principio, il primogenito dai morti, affinché in ogni cosa abbia il primato” (Cl 1:18).

Comunque, per non sbagliare, seguiamo il consiglio di Pietro stesso: “Accostandovi a lui, pietra vivente, rifiutata dagli uomini, ma davanti a Dio scelta e preziosa, anche voi, come pietre viventi, siete edificati per formare una casa spirituale, un sacerdozio santo, per offrire sacrifici spirituali, graditi a Dio per mezzo di Gesù Cristo” (1P 2:4-5).

Cristo è la pietra scelta e preziosa e chi vuole essere “una pietra vivente” e formare una “casa spirituale”, sa cosa fare!