Introduzione
All’interno del Nuovo Testamento, nessuno meglio di Luca ha saputo raccontare l’opera dello Spirito, gli ha assegnato un posto tale che molti definiscono gli Atti degli apostoli “il vangelo dello Spirito”. Questo non significa che altrove non si parli dello Spirito, ma Luca è lo scrittore che lascia intravedere lo Spirito che prende possesso della comunità e ne dirige i primi passi. Gesù disse a Pietro che avrebbe “edificato la sua chiesa” (Mt 16:18), ora è arrivato il momento di mantenere la promessa. Ma questa promessa non può essere realizzata se non con un commiato:
“È utile per voi che io me ne vada; perché, se non me ne vado, non verrà a voi il Consolatore; ma se me ne vado, io ve lo manderò”
(Gv 16:7)
Luca termina il suo vangelo con l’ascensione di Gesù presso Betania (25:50), di risposta i discepoli lo adorarono e tornarono a Gerusalemme, tutti stavano nel tempio benedicendo Dio (24:53). L’elevazione di Gesù al cielo, che segna la sua scomparsa terrena, non avviene prima che egli abbia dato le sue ultime “istruzioni agli apostoli che aveva scelti” (At 1:2).
La continuità storico-salvifica
Insieme all’avvenimento dell’ascensione vengono evidenziati tre fattori determinanti per la continuità storico-salvifica.
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Gli apostoli
Luca li presenta come i destinatari del mandato. Il titolo di apostolo viene usato intenzionalmente al posto di “gli Undici” (Lu 24:9) e si riferisce a questi testimoni oculari ora servitori della Parola (Lu 1:2) e che, nella loro qualità di strumenti e fiduciari delle istruzioni di Gesù del dopo ascensione, fungono in modo peculiare da depositari della continuità storico-salvifica. La loro straordinaria importanza viene ancora sottolineata dalla precisazione (collegata a Lu 6:12-16) che è stato Gesù ad eleggerli, è uno dei verbi prediletti di Luca.[1]
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Lo Spirito Santo
Negli Atti degli apostoli non si incontra mai l’idea che lo Spirito Santo faccia nascere la fede, né che glorifichi il Figlio, ma Luca lo mostra mentre prendere possesso delle comunità. Egli è il regista di tutti gli eventi che si susseguono: lo Spirito investe i discepoli dando pienezza (At 2:4), dona potenza di parola (At 2:14-36), convince di peccato (At 2:37), rivela le menzogne (At 5:3), guida i servitori (At 8:29), sceglie i missionari (At 13:2), manda in missione (At 13:4), vieta di predicare in alcuni luoghi (At 16:6), costituisce gli anziani-vescovi (At 20:28), prepara la testimonianza di Paolo davanti ai pagani (At 21:11). Luca dunque non discute dello Spirito, ma racconta. Non espone alcuna dottrina dello Spirito, lo mostra all’opera ed è ricorso all’unico mezzo a disposizione di un narratore che voglia tratteggiare un ruolo: fa dello Spirito Santo un personaggio del suo racconto, allo stesso titolo di Paolo, Pietro, Stefano…, anche se gli accorda un posto eminente.
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La domanda escatologica
“Signore, è in questo tempo che ristabilirai il regno a Israele?”
(At 1:6)
La domanda è legittima dopo la menzione dell’insegnamento sul Regno (At 1:39) e l’annuncio dell’avvento dello Spirito (At 1:5). La formulazione della domanda si può articolare in due richieste:
- La prima riguarda il tempo. Ciò che si vuole sapere è se il regno viene ristabilito in questo tempo, cioè se la parusia ha luogo nello stesso momento.
- La seconda riguarda l’ampiezza dell’evento salvifico. Il regno sarà ristabilito solo per Israele? In altre parole: la salvezza escatologica sarà riservata ai Giudei? Dietro a questa domanda sta chiaramente il problema dell’evangelizzazione dei pagani.
La risposta di Gesù non rifiuta la domanda, ma sostituisce all’attesa paralizzante del ritorno una messa in cammino. Il sapere sui “tempi e momenti” escatologici non è dovuto. Il Padre li ha posti in suo proprio potere, cioè dipende dalla sua autorità fissarli, questo perché il regno attende la testimonianza che deve essere resa su di esso fino ai confini della terra (Mr 13:42; Mt 24:36; 1Te 5:2). Più che una risposta gli apostoli ricevono un’investitura:
“Riceverete potenza quando lo Spirito Santo verrà su di voi, e mi sarete testimoni in Gerusalemme, e in tutta la Giudea e Samaria, e fino all’estremità della terra”
(At 1:8)
I testimoni del Cristo risorto non riceveranno una sovranità per Israele, ma il potere dello Spirito, la cui effusione produrrà l’effetto di abilitare quanti lo ricevono a rendere testimonianza e a parlare con franchezza (At 4:29). Questo riepiloga il tema principale degli Atti degli apostoli: rendere testimonianza a tutti i popoli “di tutto quello che Gesù cominciò a fare e a insegnare” (At 1:1), in particolare riguardo alla Parola di Dio che egli ha predicato:
“che nel suo nome si sarebbe predicato il ravvedimento per il perdono dei peccati a tutte le genti, cominciando da Gerusalemme. Voi siete testimoni di queste cose”
(Lu 2:47-48)
La Parola di Dio dunque deve diffondersi al di fuori di Gerusalemme tramite una testimonianza recata dagli apostoli, ma anche dagli altri; tutti dovranno diventare ministri della Parola, abilitati però dallo Spirito. In un certo senso Gesù spiega il disegno del Dio d’Israele al mondo. Alla testimonianza apostolica viene assegnato un itinerario: Gerusalemme, Giudea, Samaria, estremità della terra. La salvezza non resta limitata a Israele, ma viene proposta prima ai Giudei e poi ai pagani, nascerà così nel tempo il vero corpo di Cristo composto da circoncisi e incirconcisi:
“Lui, infatti, è la nostra pace; lui che dei due popoli ne ha fatto uno solo e ha abbattuto il muro di separazione abolendo nel suo corpo terreno la causa dell’inimicizia” (Ef 2:14).
“Non c’è qui né Giudeo né Greco; non c’è né schiavo né libero; non c’è né maschio né femmina; perché voi tutti siete uno in Cristo Gesù” (Ga 3:28).
L’espressione “estremità della terra” è attinta da Isaia 49:6 che interpreta la testimonianza universale come compimento di questa promessa. Secondo Atti 13:47 “Io ti ho posto come luce dei popoli, perché tu porti la salvezza fino all’estremità della terra, significa tutti i popoli (Lu 27:47). L’orizzonte geografico, storico, salvifico di Luca è un orizzonte universale che abbraccia tutta la terra abitata. Raggiungere Roma è certamente la garanzia che la Parola si diffonderà, di là, a tutto il mondo, ma il programma resta aperto.
L’ascensione di Gesù
Luca è l’unico a raccontare l’ascensione di Gesù e a collocarla in presenza di testimoni:
“Uomini di Galilea, perché state a guardare verso il cielo?”
(At 1:11)
Il kerygma pasquale è stato comunicato dai primi cristiani ricorrendo a tre formule di espressione:
- il messaggio della risurrezione (“Dio lo ha risuscitato”, At 2:24,32);
- il messaggio della vita (“si presentò vivente con molte prove”, At 1:3) e
- il messaggio dell’esaltazione (“Egli dunque, essendo stato esaltato dalla destra di Dio”, At 3:33).
Il testo dell’ascensione con i suoi verbi di elevazione “mentre essi guardavano, fu elevato” (At 1:9), “che vi è stato tolto, ed è stato elevato in cielo” (At 1:11), appartiene al messaggio di esaltazione. Luca inoltre usa il linguaggio del suo tempo per descrivere l’ascensione di Gesù, nel modo in cui il giudaismo evocava l’elevazione dei grandi profeti. Elementi tipici: la nuvola, la scomparsa davanti a testimoni, la certificazione da parte di essere celesti (At 1:11), la nomina dei testimoni (At 1:13). La partenza di Gesù chiude il tempo dell’istruzione degli apostoli.
Tre elementi sono evidenziati da Luca:
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Il registro visivo
Ci sono almeno cinque azioni di visione: “mentre essi guardavano”, “dai loro sguardi” (At 1:9); “gli occhi fissi al cielo”, (At 1:10); “perché state a guardare verso il cielo”, “lo avete visto andare in cielo” (At 1:11). Questa abbondanza di significati si inserisce come continuità sull’esempio dei racconti dell’Antico Testamento. Anche l’ascensione di Elia fu vista da Eliseo, condizione per ricevere parte doppia del suo spirito (2Re 2:9-11), ma qui l’intenzione è del tutto diversa: lo sguardo degli apostoli li costituisce testimoni oculari, garantendo l’affidabilità della testimonianza di Cristo esaltato dalla destra di Dio (At 2:33). Il fatto che Luca si serva di strumenti visivi, in corrispondenza a fatti avvenuti nello stesso modo nell’Antico Testamento, fa capire che egli parla di cose reali e certificate da esseri celesti e umani.
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La nuvola
Posta tra due verbi: “elevare” e “prendere, sottrarre” (At 1:9), indica il modo in cui è avvenuta l’ascensione ed ha un triplice significato:
- La nuvola indica che dietro l’avvenimento sta Dio stesso, infatti nel linguaggio biblico è veicolo divino e segno della presenza di Dio:
“Il Signore andava davanti a loro: di giorno, in una colonna di nuvola per guidarli lungo il cammino” (Es 13:21).
- La nuvola mette in risalto che l’ascensione, nonostante la sua visibilità, è per significato e per natura, un fenomeno di nascondimento:
“lo sottrasse ai loro sguardi”
(At 1:9)
Dunque non solo rapisce Gesù, ma lo nasconde.
- Il motivo della nuvola insiste infine sul carattere escatologico degli avvenimenti e prepara l’accenno alla parusia. Secondo la profezia il Figlio dell’uomo verrà sulle (o con le) nuvole:
“Ecco venire sulle nuvole del cielo uno simile a un figlio d’uomo” (Da 7:13); “Ecco, egli viene con le nuvole e ogni occhio lo vedrà” (Ap 1:7).
La Rivelazione amplia la cerchia dei testimoni oculari, se l’ascensione di Gesù è vista dai discepoli (At 1:9), la parusia sarà visibile a tutti:
“Ogni occhio lo vedrà”
(Ap 1:7)
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L’assenza presenza
Il messaggio degli interpreti angelici sottolinea che questi uomini di Galilea non vedranno più Gesù in questo mondo fino alla parusia, quando:
“ritornerà nella medesima maniera in cui lo avete visto andare in cielo”
(At 1:11)
È importante rapportare questo messaggio angelico a quello dei due discepoli sulla via di Emmaus. Al ritorno da Gerusalemme riferirono agli Undici e ai loro compagni raccontando “le cose avvenute loro per la via, e come era stato da loro riconosciuto nello spezzare il pane” (Lu 24:35). Il messaggio di questi due discepoli istruisce tutti i credenti sul fatto che, dopo che il Cristo risorto ha preso il suo congedo visibile definitivo dalla comunità, da quel momento in avanti essi avrebbero riconosciuto la sua presenza tra loro “nello spezzare il pane”. È questo il modo di far riferimento alla Cena del Signore e a tutti viene detto che, d’ora innanzi, il Cristo risorto sarà presente non in forma visibile, ma in forma spirituale:
“Dove due o tre sono riuniti nel mio nome, lì sono io in mezzo a loro”
(Mt 18:20)
ricordando con la frazione del pane e del vino che:
“ogni volta che mangiate questo pane e bevete da questo calice, voi annunciate la morte del Signore, finché egli venga”
(1 Cor 11:26)
La prima comunità a Gerusalemme
Dopo l’ascensione di Gesù, i discepoli passano all’azione e se ne ritornano a Gerusalemme secondo l’ordine stesso di Gesù:
“di non allontanarsi da Gerusalemme, ma di attendere l’attuazione della promessa del Padre”
(At 1:4)
A questo punto siamo anche informati sul luogo dell’ascensione che non è Betania (Lu 24:50), ma il monte degli Ulivi (At 1:12). La differenza non è molta, perché il villaggio è sul fianco orientale del monte degli Ulivi, ma soprattutto rappresenta la profezia di Zaccaria 14:4 “In quel giorno i suoi piedi si poseranno sul monte degli Ulivi, che sta di fronte a Gerusalemme, a oriente”. Alla fine Jawhè combatterà contro le nazioni e poserà i piedi su questo monte, perfetta dimostrazione che Gesù è Dio.
Fin qui nel racconto degli Atti degli apostoli le uniche persone menzionate sono state gli apostoli (At 1:2), definiti “uomini di Galilea” (At 1:11). Così con il “essi ritornarono” si intende anzitutto gli apostoli. Ma col procedere del racconto si apprende che questo “essi” comprende anche altri. Gerusalemme è menzionata come lo scenario in cui si svolgeranno gli eventi che seguiranno e che Luca si accinge ad esporre. A Gerusalemme, il gruppo va nella sala di sopra dove stavano abitualmente, questo particolare ci induce a pensare a quella dell’ultima cena di Gesù:
“Ed egli vi mostrerà, al piano di sopra, una grande sala ammobiliata; qui apparecchiate”
(Lu 22:12)
Senza dimenticare un particolare che, oltre che stare in questa stanza, i discepoli “stavano sempre nel tempio, benedicendo Dio” (Lu 24:53). Il tempio rappresenta per i discepoli il luogo del culto, la stanza di sopra il luogo dell’attesa, anche se pian piano sostituirà il tempio e diventerà il luogo di culto e di studio delle scritture (At 20:7-8).
Il primo nucleo di questa prima comunità cristiana è formato dalla cerchia degli apostoli. Pur avendolo fatto nel suo vangelo (Lu 6:14-16), Luca non si accontenta di ricordarli genericamente, ma ne elenca i nomi, senza Giuda. Compaiono per la prima volta temi costitutivi della visione che Luca ci offre della Chiesa delle origini: l’unanimità (tutti concordi), l’assiduità (perseveravano), lo scopo (la preghiera), la parità (con le donne). Alla comunità si aggiungono anche le donne. La società ebraica aveva una struttura patriarcale. Come in genere nell’oriente antico, la donna non partecipava alla vita pubblica, non poteva avere parte attiva al culto; al tempio le donne non potevano oltrepassare il vestibolo a loro riservato. Luca ricorda espressamente questo gruppo, perché le donne sono a loro modo testimoni dell’evento di Cristo, a cominciare dalla Galilea fino alla morte e risurrezione. Esse fanno parte di quel gruppo di persone che garantiscono la continuità tra la cerchia prepasquale dei discepoli e la comunità postpasquale.
Lo stesso vale per Maria e i suoi fratelli. La madre di Gesù ha un ruolo ben determinato per Luca. All’inizio del suo vangelo figura come colei che è stata abbondata di grazia (Lu 1:29), che si mette a disposizione del Signore (Lc 1:38), che si riconosce peccatrice ed esulta in Dio suo Salvatore (Lu 1:46-47). Sarà questa l’ultima menzione di Maria nel Nuovo Testamento. Da ora in poi l’attenzione passerà sulla persona e l’opera dello Spirito Santo.
La ricostituzione dei Dodici
Fra l’esaltazione di Gesù e la discesa dello Spirito alla Pentecoste avviene l’elezione di Mattia come apostolo. Che Luca dia grande importanza all’elezione suppletiva, non lo si comprende solo dal fatto che essa è posta proprio qui, in particolare “punto di sutura” degli Atti, ma anche perché essa è l’unico concreto avvenimento che egli descrive in quei giorni di attesa.
Perché, dunque, agli inizi è stata avvertita la necessità di ricostruire i Dodici? In altre parole: perché a Luca preme tanto ricostruire i Dodici nel primo episodio importante degli Atti? La risposta a questo interrogativo non viene da questo episodio, ma dal suo rapporto con quanto segue nel secondo capitolo. I Dodici vengono ricosti-
tuiti affinché possano porsi di fronte all’Israele riunito in Gerusalemme nella prima grande festività successiva alla Pasqua, la festa della Pentecoste. Quello che Pietro e gli altri undici proclameranno sarà il primo caso di testimonianza resa dagli apostoli alle dodici tribù del popolo di Dio: nonostante Israele abbia rifiutato il Messia mettendo a morte (At 2:23; 7:52), lo stesso Dio continua a rivolgere il messaggio di salvezza anzitutto ai figli di Abramo, alle dodici tribù d’Israele. Per preparare la via sulla quale avverrà questa proclamazione, occorre che i Dodici siano ricostituiti. Poiché Giuda non è più uno di loro, la comunità cerca di sostituirlo.
Dell’abbandono e tradimento di Giuda parlano tutti i vangeli, oltre che gli Atti degli apostoli. Pietro ne parla come di un atto previsto e annunciato dalla profezia:
“Era necessario che si adempisse la profezia della Scrittura pronunziata dallo Spirito Santo per bocca di Davide riguardo a Giuda”
(At 1:16)
Luca cita lo Spirito Santo come colui che ha ispirato il re Davide. Quale testo dell’Antico Testamento ha predetto il destino di Giuda? Il singolare di Scrittura rinvia a un versetto e il nome Davide a un Salmo. Si tratta della citazione che risulta dalla combinazione di due testi: Salmo 69:26 (morte di Giuda) e Salmo 109:8 (sostituzione di Giuda). La prima citazione fa assumere l’orrore del passato, attribuendolo al giudizio divino; la seconda citazione enuncia un ordine che indica la strada da seguire: Mattia non sarà tanto il successore di Giuda, quanto colui che assume una responsabilità vacante.
Traendo la conseguenza della profezia, Pietro abbozza la condizione necessaria e l’incarico essenziale. La condizione è che il candidato:
“sia stato in nostra compagnia tutto il tempo che il Signore Gesù visse con noi”
(At 1:21)
l’incarico è che il prescelto:
“diventi testimone con noi della sua risurrezione”
(At 1:22)
Perciò l’apostolo, secondo Luca, è colui che, testimone della totalità del ministero di Cristo, può attestarne l’identità umana e divina.
Conclusione
Prima della promessa dello Spirito Santo, Cristo dà tre istruzioni ai suoi discepoli che rappresentano le sue ultime volontà e il testamento ai seguaci prescelti. In tal modo Luca ricollega gli inizi degli Atti al suo vangelo.
- La prima istruzione ingiunge ai discepoli di non allontanarsi da Gerusalemme. In questo modo diventerà il punto focale, la città dalla quale la testimonianza dev’essere portata e dalla quale la parola di cui essi saranno portatori dovrà continuare e diffondersi (Lu 24:47).
- La seconda istruzione spiega come gli apostoli dovranno essere investiti di potenza dall’alto (Lu 24:49). Lo Spirito darà potere ai discepoli e sarà il principio dinamico della loro esistenza come cristiani e del loro ruolo di testimoni nella nuova fase della storia della salvezza.
- La terza istruzione è la più importante, perché non solo rapporta lo Spirito al potere che i testimoni riceveranno, ma spiega il mandato che Cristo conferisce agli apostoli: essi dovranno essere testimoni di queste cose (Lu 24:48), cominciando da Gerusalemme fino alle estremità della terra.
Infine la sostituzione di Giuda ci impartisce due insegnamenti. Anzitutto, dice come anche i seguaci di Cristo possono ribellarsi al loro capo e, seguendo i loro progetti propri, fare una fine penosa. Inoltre dice anche, come Dio sia in grado di trarre il bene anche da episodi di questo genere, in risposta alla preghiera cristiana. Ma è triste vedere come un essere umano, persino scelto dal Signore per un ministero di dedizione, possa abbandonarlo e andare al posto scelto da lui (At 1:25).
[1] Lu 6:13; 10:42; At 1:24; 6:5; 13:17; 15:7, 22, 25 e altrove.