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Un “perché?” rivolto

agli uomini di ogni tempo

 

“Perché ti dovrei perdonare?” chiede retoricamente il Signore a Israele (Gr 5:7-9).

Dopo tutto quello che ho fatto per te, dopo averti eletto tra mille popoli, fatto uscire dal mar Rosso, regalato la Terra Promessa, fatto vincere mille battaglie, tu ti sei ribellato, hai voluto emanciparti invece di dipendere da me, hai scelto di adorare finti dèi, hai commesso i peggiori peccati, hai mostrato tutta la tua ipocrisia, presunzione, orgoglio.

 

“Perché ti dovrei perdonare?...” Quante volte vi ho parlato, parlato fin dal mattino, e voi non avete dato ascolto, vi ho chiamati e voi non avete risposto (Gr 11:7-8, vedi anche Gr 7:13)

Io ti avevo piantata come nobile vigna come mai ti sei trasformata in tralci degenerati? (Gr 2:21;5).

Mi hai voltato le spalle, hai adorato gli idoli; ti sei prostituita con molti amanti (Gr 3:1). Non dovrei forse punirti per queste cose? Non dovrei vendicarmi (Gr 5:9,29; 9:9)?

 

Sono domande retoriche che il Signore non rivolge solo a Israele ma a qualunque uomo in qualunque tempo.

Perché Dio dovrebbe perdonare un mondo ribelle, che si fa la guerra, che riduce in schiavitù il prossimo, che lascia morire di fame migliaia di bimbi ogni giorno, dove ci sono figli che uccidono i padri, padri che uccidono i figli, madri che inducono le figlie a prostituirsi, dove ci si vende per una ricarica dello smartphone, dove ci sono chirurghi che non esitano a fare operazioni inutili o sbagliate pur di arricchirsi, dove si commettono stupri infantili, genocidi, stragi?

 

Perché Dio dovrebbe perdonare una umanità che rifiuta di riconoscerlo quale Creatore e lo sostituisce con fantasiose teorie come l’evoluzione, che rifiuta la signoria del Re dei re, che lo sostituisce con tanti idoli?

Quegli amanti con cui si prostituiva Israele, sono più o meno gli stessi con i quali ci prostituiamo al giorno d’oggi: denaro, carriera, potere, hobby, piacere, divertimento, gioco, sport, lusso, successo, bellezza fisica, appagamento dei sensi, popolarità, stima degli altri.

Perché Dio dovrebbe perdonare la nostra prostituzione?

Perché Dio dovrebbe perdonare chi lo considera un optional della sua vita, lo relega ai margini, si ricorda di lui solo nel bisogno?

 

In Geremia 2:27 leggiamo:

“…essi mi hanno voltato le spalle e non la faccia; ma nel tempo della loro sventura dicono: «Àlzati e salvaci!»”

Quanti si riconoscono in questa descrizione? Quanti vorrebbero usare Dio come un dispenser, un super-eroe, un super pompiere da chiamare solo nel momento del bisogno e da ignorare quando le cose vanno bene?

 

 

Una domanda senza risposta

 

Chiunque sappia ascoltare la propria coscienza, sa bene di essere peccatore, ma la maggioranza ritiene il peccato poca cosa o comunque pensa che il perdono sia un atto dovuto. In fondo “perdonare è il mestiere” di Dio, ha detto qualcuno. Vivendo in un mondo in cui si pensa di avere solo diritti e nessun dovere, ci viene molto facile pretendere il perdono.

 

Ma Dio non è obbligato a perdonarci! Lo dimostra cosa ha detto alla pupilla del suo occhio:

“Io stesso combatterò contro di voi con mano distesa e con braccio potente, con ira, con furore, con grande indignazione” (Gr 21:5, vedi anche Gr 21:14; 19:7,11).

Lo dimostra cosa ha fatto a Israele, pensate alle deportazioni, alle carestie, alle conquiste da parte di Egizi o Assiri, alla distruzione di Gerusalemme ad opera dei Romani, alla Shoah!

 

“Perché ti dovrei perdonare?”

È una domanda alla quale non possiamo rispondere, davanti alla quale dobbiamo stare in umile silenzio perchénon c’è niente, non c’è nessun motivo che possiamo avanzare per ottenere il perdono.

 

“Non dovrei forse punirti per la tua iniquità?”.

Si certo, ci dovrebbe punire e di un castigo eterno perché eterna è la Persona che abbiamo offeso con la nostra ribellione, i nostri peccati, il nostro egocentrismo.

 

 

Il desiderio di Dio: fare grazia!

 

“Tuttavia il Signore desidera farvi grazia” (Is 30:18; cfr. Ez 20:9,14,22).

Dio pur non essendo tenuto a farlo, migliaia di volte ha fatto grazia al suo popolo; al tempo dei Giudici, quante volte si è ripetuta la stessa sequenza: Israele si allontana dall’Eterno, un popolo straniero ne invade il territorio, Israele grida a Dio che suscita un liberatore…

 

Stessa cosa al tempo dei re

Adoro leggere 1Re 20:13-21; in un periodo di massima depravazione di Israele, con uno dei re più malvagi di sempre, Acab, con una regina, Iezebel, che ha trascinato tutto il popolo all’idolatria, l’Eterno compie uno straordinario atto di grazia, la liberazione di Samaria dall’assedio dei Siri.

Perché lo ha fatto?

Perché il Signore desidera farvi grazia.

Dio pur non essendo tenuto a perdonare Israele ha scelto di usare misericordia, di avere compassione. Non era obbligato, il suo non era un gesto dovuto ma ha scelto di farlo.

 

 

La Grazia di Dio:

da Israele a tutta l’umanità

 

È singolare che in tanti pensino al Dio dell’Antico Testamento come al Dio severo, vendicativo, impietoso e vedano la grazia come una novità del Nuovo Testamento, quando invece trasuda da ogni pagina della Bibbia.

 

 Il Signore ha deciso di usare grazia verso Israele ma non solo. Avrebbe potuto sterminare l’umanità, schiacciarci come dei moscerini, provocare un diluvio come ai tempi di Noè, invece ha scelto di usare compassione. Non diamo per scontata la grazia; è un avvertimento soprattutto per i credenti di seconda o terza generazione, che ha sentito questa parola da sempre, ma anche per chi è convertito da tempo, che ormai si è abituato all’idea

 Non deprezziamo la grazia, non sottovalutiamola solo perché a noi non è costata nulla.

Ma perché il Signore desidera farci grazia?

La prima risposta la leggiamo in Geremia 31:3. “Sì, io ti amo di un amore eterno; perciò ti prolungo la mia bontà”.

Nonostante Israele avesse smesso di servire il Signore e si fosse prostituita, Dio ha continuato ad amare il suo popolo.

Ai tempi di Osea, per illustrare questo concetto ordinò al profeta di sposare una donna immorale e di amarla nonostante tutto.

 

Se Dio mille volte ha perdonato Israele è perché ha scelto di amare il suo popolo.

“Metterò la mia gioia nel far loro del bene”, leggiamo in Geremia 32:41, e il pensiero corre alle parabole di Luca 15, alla gioia del pastore che ritrova la sua pecora, della donna che trova la dracma smarrita, del padre che riabbraccia il figliol prodigo.

Dovrei punirti, dovrei vendicarmi, dice il Signore a Israele, tuttavia ti farò ancora una volta grazia.

 

Tuttavia… Quanto è dolce questa parola, che è rivolta anche a noi. Se Dio ha scelto di farci grazia è perché ama le sue creature anche se siamo depravati. “Depravati”: non conosco aggettivo più efficace per identificare lo stato che Paolo descrive in Romani 7:18:

“Io so che in me, cioè nella mia carne, non abita alcun bene”.

 

 

Siamo consapevoli della nostra bassezza?

 

È fondamentale capire quanto siamo squallidi, miseri, indegni, innanzitutto per apprezzare sempre più la sua grazia e quindi abbondare nel ringraziamento, nella lode, nell’adorazione. Poi per poter desiderare di lasciar vivere Cristo al posto nostro, lasciare che abiti nei nostri cuori come padrone di casa, come prega Paolo per gli Efesini (Ef 3).

 

Solo se ci facciamo schifo, se siamo disgustati da noi stessi, arriviamo a desiderare di vivere la vita perfetta, quella di Cristo.

E la Scrittura ci dice che in questo consiste la vittoria: far conto di essere morti al peccato (Ro 6:11), appropriarci per fede, ogni giorno, del fatto che il nostro vecchio uomo è stato crocifisso (Ro 6:6) e quindi lasciare che Cristo viva in noi, che assuma il controllo della nostra mente, delle nostre giornate, per poter dire come Paolo Sono stato crocifisso con Cristo: non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me!” (Ga 2:20).

Preghiamo che il Signore ci dia uno spirito di sapienza e di rivelazione affinché possiamo capire chi siamo in Adamo e chi siamo in Cristo e che ci spinga sempre più a vivere in Cristo e non in Adamo.

 

È importante realizzare quanto siamo squallidi, mancanti, anche per imparare a sopportarci gli uni con gli altri; se io faccio schifo, cosa posso rimproverare al mio prossimo?

Se in me non abita alcun bene, cosa posso pretendere dagli altri? Se cado continuamente come posso pretendere che il mio fratello stia sempre in piedi?

Noi che siamo chiamati ad amare come lui ha amato noi, dovremmo ricordarci sempre di quel “tuttavia”. Il nostro nemico ci odia e vuole il nostro male, tuttavia siamo chiamati a perdonarlo. Il nostro prossimo ci fa un torto, tuttavia desidero il suo bene. Il nostro fratello non è amabile, ha qualcosa contro di me, mi contrasta perfino, tuttavia scelgo di amarlo.

Quante discussioni, quanti problemi ci eviteremmo nella vita di comunità se solo vivessimo questo tuttavia.

 

 

Per amore del suo Nome

 

Il Signore, dunque, desidera farci grazia perché ci ama, ma c’è un motivo ancora più forte:

“Io, io, sono colui che per amor di me stesso cancello le tue trasgressioni e non mi ricorderò più dei tuoi peccati” (Is 43:25)

Per amore del mio nome io rinvierò la mia ira, e per amor della mia gloria io mi freno per non sterminarti” (Is 48:9; vedi anche Ez 36:22-23; 39:25; Sl 23:3; 25:7-11).

Se Dio ha scelto di perdonare è per amore di sé stesso, se rinvia la sua ira è per amore del suo nome, per ricevere la gloria che gli spetta.

La misericordia usata ai tempi di Acab aveva uno scopo fondamentale: “Così saprai che io sono il Signore”(1Re 20:13).

Niente come la grazia di miriadi di persone immeritevoli di perdono mostra la gloria divina.

La creazione glorifica Dio perché mostra la sua potenza, sapienza, sovranità.

Il castigo divino, sia quelli parziali che quello finale, glorifica Dio perché mostra la sua giustizia, la sua santità, la sua avversione per il peccato.

Il perdono attraverso la croce lo fa ancora di più perché mostra la sua infinita misericordia nella sua santità e giustizia (Is 27:4-5).

 

La croce ha dato a Dio ancora maggiore gloria presso gli uomini (Fl 2). Guardiamo per esempio i nostri canti e le nostre preghiere; l’averci creato è motivo di lode e riconoscenza, ma l’averci redento lo è ancora di più. Quanto glorifica il nome di Dio avere trasformato dei peccatori in santi, dei bestemmiatori in adoratori, dei nemici in figli, dei persecutori in araldi del Vangelo, dei servi del male in strumenti di Dio, delle tenebre in luce?

Tuttavia il Signore desidera farci grazia.

 

 

C’è una condizione… soltanto

 

A noi spetta soltanto una cosa: tornare a Lui e riconoscerci peccatori.

“Torna, o infedele Israele, dice il SIGNORE; io non vi mostrerò un viso accigliato, poiché io sono misericordioso, dice il SIGNORE, e non serbo l’ira per sempre. Soltanto riconosci la tua iniquità: tu sei stata infedele al SIGNORE” (Gr 3:12-13)

Ti perdono, dice il nostro Padre celeste, soltanto riconosci la tua iniquità, riconosciti peccatore, riconosci che meriteresti il castigo eterno se non fosse per il mio amore. Non fare come Israele che dice “Io sono innocente; certo l’ira sua si è distolta da me” (Gr 2:35). Questo è l’unico impedimento al manifestarsi della grazia: la pretesa di innocenza, la mancanza di richiesta di perdono. Ecco, io ti condannerò perché hai detto: “Non ho peccato” (Gr 2:35).

Questo principio spirituale, “Perché…? Tuttavia…Soltanto!” che troviamo così spesso nella storia di Israele, che è il principio alla base della redenzione si applica ad ogni grazia che il Signore riversa sui suoi figli.

 

Perché, ci chiede il Signore, dovrei benedirti nonostante tutto quello che fai o non fai, nonostante la tua disubbidienza, la tua infedeltà, la tua mancanza di fiducia? Perché dovrei rispondere alle tue preghiere? Sei così freddo, così poco zelante, così poco innamorato di me, così poco consacrato. Sei ancora un bambino spirituale mentre dovresti essere un uomo fatto. Sei ancora così attratto dal mondo. Perché dovrei consolarti e rialzarti dopo la ennesima caduta? Fai sempre gli stessi errori. Perché dovrei ascoltarti visto che tu rifiuti di ascoltare le mie parole, o le ascolti ma non le applichi? Perché dovrei esserti fedele quando tu sei infedele?

 

Tuttavia ti benedirò ancora una volta, ascolterò le tue preghiere, ti rialzerò ancora, ti sarò fedele, farò splendere ancora una volta su di te la mia grazia, perché ti amo, perché io sono l’amore, perché amarti mi dà gioia, perché amo il mio nome e desidero che esso sia glorificato tra le nazioni.

 

Soltanto una cosa, riconosci chi sono io e chi sei tu, riconosci la mia santità e la tua depravazione totale, la mia fedeltà e la tua iniquità. Riconosci che senza di me sei niente, che io sono la vite e tu solo un tralcio che ha bisogno della mia linfa, riconosci che io sono la Vita e fuori di me non c’è vita. Soltanto riconosci che in te non abita alcun bene, che per grazia hai ottenuto la salvezza e solo per grazia sarai santificato; riconosci che per camminare in maniera degna della vocazione che ti è stata rivolta non puoi fare altro che morire a te stesso o meglio lasciare il vecchio uomo sulla croce, dove è stato crocifisso con Cristo 2000 anni fa, e permettere che io viva in te.