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La sufficienza della Scrittura

Quando diciamo che la Scrittura è pienamente sufficiente stiamo affermando qualcosa di primaria importanza che ha che fare con la teologia. La sufficienza della Scrittura deriva dalla sua ispirazione e dalla sua autorità. Dio ha ispirato la Bibbia in modo soprannaturale ed è autorevole, ha rivelato sé stesso ed essa è sufficiente: cioè è utile ed efficace in qualunque situazione o circostanza per ogni individuo. La mia duplice degenza in ospedale si è prolungata ben oltre i programmi iniziali, e ciò mi ha fatto pensare, dal punto di vista pratico, alla dottrina biblica della sufficienza delle Scritture. 

Certo, la Bibbia è sufficiente, lo insegna la teologia e, questo, è uno dei fondamenti della fede cristiana, ma che cosa succede quando le nostre sicurezze vengono meno? La Bibbia rimane ancora il Libro sufficiente, anche quando ci sentiamo meno forti e vulnerabili? All’inizio del mio primo ricovero pensavo di soggiornare in ospedale per pochi giorni. Ho portato con me solo la Bibbia, senza l’ausilio di buoni libri cristiani che pure amo moltissimo. Con il passare dei giorni, mentre la degenza si prolungava, ho chiesto a mia moglie di portarmi qualche altro testo per diversificare le mie letture. Ho sfogliato le pagine di quei libri velocemente e con interesse; poi però, sono tornato irresistibilmente al Libro, quasi richiamato dal Signore in modo tangibile. Ho constatato una volta di più e con rinnovata ammirazione che nessun libro umano – per quanto possa essere utile, profondo e edificante – può neppure lontanamente essere accostato alla Bibbia. Il noto predicatore inglese Charles Haddon Spurgeon ha con saggezza detto: “Soffermati su molti buoni libri, ma vivi nella Bibbia!”. 

Aveva ragione! 

Il credente che ama il Signore ama vivere nella Bibbia.

Devo tuttavia ammettere che in questo mio nuovo percorso c’erano poche risorse personali a cui potevo aggrapparmi, soprattutto nei giorni più difficili, quando il dolore – fisico ed emotivo – era particolarmente intenso. In ospedale bisognava adattarsi a un nuovo tenore di vita: orari differenti da quelli a cui ero abituato, la convivenza con altri degenti, gli esami clinici più o meno invasivi, gli interventi chirurgici, le terapie, le notti insonni… Non sempre in ospedale si riesce a conservare la lucidità giusta. Ma il Signore sa tutte queste cose, conosce i suoi figli, sa come trattarli e come consolarli. Per esempio: egli parla attraverso i sospiri ineffabili dello Spirito Santo (Ro 8:26-27), attraverso le circostanze e gli eventi che lui stesso dirige con sapienza divina, parla attraverso la preghiera, comunica attraverso le sorelle e i fratelli, i quali – guidati dal Signore – ci ricordano la Parola di Dio quando la mente è annebbiata da ciò che stiamo vivendo. 

Nel mio specifico caso, molte sorelle e fratelli mi hanno confortato ricordandomi la Parola del Signore. Pertanto, ho pensato a questo articolo-testimonianza per dare gloria a Dio per quel che compie nella vita del credente attraverso altri figli di Dio. I cinque principali passi della Scrittura a cui farò riferimento sono stati scelti tra i tanti suggeritemi dalla fratellanza e, per mezzo di essa, dal Signore stesso. La sequenza dei testi e delle verità scritturali in questione rispetta la logica spirituale che dovrebbe caratterizzare una fede intelligente e devota.

La Scrittura vivifica

“Questo mi è di conforto nell’afflizione, che la tua parola mi fa vivere” (Sl 119:50).

L’uomo che ha scritto questo Salmo è interamente immerso nella Scrittura: è afflitto da questioni che non conosciamo e la sua vera liberazione si trova nella Parola del Signore. Ci saremmo aspettati forse che il conforto derivasse da una liberazione concreta dai mali vissuti: la liberazione da una malattia incurabile o da un nemico ostile. E invece, la speranza del Salmista è nella Parola, vale a dire in ciò che il Signore ha pronunciato e ha fatto mettere per iscritto.

La conclusione a cui giunse Mosè in relazione alla Parola di Dio è decisamente illuminante: “… questa non è una parola senza valore per voi: anzi è la vostra vita …” (De 32:47).

La dottrina cristiana è pratica. La Parola del Signore non è solo un insieme di vocaboli riportati in un libro, lettere stampate che restano una fredda e distaccata teoria. La Parola del Signore è vivente ed efficace, tocca le corde dell’anima, cambia la vita, attiva la volontà (cfr. Eb 4:12).

La presenza di Dio è reale

“Poich’egli mi nasconderà nella sua tenda in giorno di sventura, mi custodirà nel luogo più segreto della sua dimora, mi porterà in alto sopra una roccia” (Sl 27:5).

La poesia espressa in questo verso della Scrittura mostra con particolare efficacia la passione e la vicinanza di Dio nell’esperienza di vita dei suoi figli. Il Salmo in questione mostra che il problema è ancora presente nella vita del suo autore, ma il Signore è presente più che mai con il suo aiuto.

Quando le cose vanno male, quando non ne va bene una, quando i mali si susseguono uno dopo l’altro, il Signore non solo non è assente, ma è attivo più forte che mai. Sapere che Dio nasconde i propri figli nella sua tenda e li custodisce “nel luogo più segreto della sua dimora” in tempi di distretta è qualcosa di prezioso e di avvincente. Non si tratta di un’effimera autosuggestione, ma è Dio che opera in modo tale che il credente sofferente percepisca gli interventi – a volte poderosi, altre volte delicati e dolci – in maniera chiara e inequivocabile.

La presenza del Signore non è nascosta e non è introvabile, anzi è lui stesso che nasconde i suoi amati in luoghi di benedizione e questo, a volte, Dio lo compie con azioni misteriose che oltrepassano la nostra intelligenza. Egli è l’indescrivibile Pastore delle anime. Il rapporto fra il credente provato e il Signore non è privo di significato. Dio ha sempre uno scopo, anche in mezzo alle peggiori circostanze. Le prove ci modellano per la gloria di Dio, in vista della nostra crescita e per essere una benedizione per gli altri.

Spurgeon – con la sua solita arguzia – diceva ancora: “Vi sono alcune delle tue grazie che non verrebbero mai scoperte se non fosse per le tue prove”.

Gesù è degno di essere ascoltato sempre 

So che una dichiarazione del genere può apparire scontata, quasi banale. Certo, Gesù è degno di essere ascoltato perché le sue parole sono vere, sempre! Ma come ci poniamo di fronte alle ansietà della vita e alla naturale incapacità dell’uomo di controllare il futuro? Il Signore sembra proprio rispondere a questa domanda:

“Non siate dunque in ansia per il domani, perché il domani si preoccuperà di sé stesso. Basta a ciascun giorno il suo affanno” (Mt 6:34).

Dobbiamo ammettere che, pur non dubitando in alcun modo su Gesù che ha detto queste parole, è veramente difficile vivere con un simile atteggiamento, soprattutto nei momenti più faticosi. E allora, come è possibile andare avanti senza lasciarsi schiacciare dalle fraudolente incognite del domani? Nel tentativo di fornire una risposta plausibile a questo cruciale interrogativo dobbiamo riconoscere che spesso dimentichiamo due aspetti importanti di questo verso della Scrittura. 

Il primo aspetto ha a che fare con il contesto ed è contraddistinto dal “dunque” pronunciato dal Signore Gesù, e ciò ci rimanda a Dio Padre che provvede ai bisogni dei suoi figli, così come esposto nei versi precedenti (cfr. Mt 6:25-33). Da questo comprendiamo che dobbiamo riflettere bene quando il Signore parla.

Il secondo aspetto che sovente dimentichiamo è la naturale conseguenza dell’esercizio della Provvidenza: non c’è nessuna ragione spirituale per lasciarci schiacciare dalle preoccupazioni. Se Dio è vivente ed è il nostro Padre celeste, e noi siamo i suoi figli, di cosa dovremmo preoccuparci? Gesù non ha forse detto che “… sono i pagani che ricercano tutte queste cose …” (Mt 6:32)? 

Il futuro del credente si delineerà strada facendo e per esperienza sotto i dettami della divina Provvidenza. Ogni giorno coloro che sono in Cristo riceveranno la misura sufficiente di aiuto necessario. Un simile approccio ci consentirà di servire anche in condizioni difficili, e persino di gioire nel Signore. Qualcuno ha detto: “Una fede che segue Dio obbedisce nei momenti di incertezza, dura nei momenti di angoscia e sacrifica quelli più preziosi”. La vera e duratura gioia consiste nel saper guardare al Signore, ascoltando con fiducia ciò che dice. Sempre! 

Il Dio che libera 

“Quando dovrai attraversare le acque, io sarò con te; quando attraverserai i fiumi, essi non ti sommergeranno, quando camminerai nel fuoco non sarai bruciato” (Is 43:2).

Le parole di questo passo sono vere per Israele, ma sono vere – per estensione – anche per tutti quelli che sono del Signore. È uno di quei versi che il credente ricorda in tempi di particolare distretta. I momenti difficili riguardano proprio tutti. La Scrittura non dice “Se attraverserai … le difficoltà”, ma “Quando dovrai attraversare … quando attraverserai …”. È una certezza! 

L’ora della prova, presto o tardi, arriverà. È solo questione di tempo, e ciò non dipenderà necessariamente dalla nostra fedeltà o dall’assenza di fedeltà.

La sofferenza resterà un mistero insondabile fino a quando raggiungeremo la perfezione del cielo. Le acque, i fiumi e il fuoco – metaforicamente parlando e in alcuni frangenti – sconvolgeranno la fede di un credente, ma non sarà questa la fine della storia. “Io sarò con te!”, dice il Signore. Che autorità e quanta consolazione è riservata per i cuori affranti! Niente potrà cancellare questa sublime realtà. La Bibbia dichiara: “Chi ci separerà dall’amore di Cristo? Sarà forse la tribolazione, l’angoscia, la persecuzione, la fame, la nudità, il pericolo, la spada? […] … sono persuaso che né morte, né vita, né angeli, né principati, né cose presenti, né cose future, né potenze, né altezza, né profondità, né alcun’altra creatura potranno separarci dall’amore di Dio che è in Cristo Gesù” (cfr. Ro 8:35-39). 

Il nostro corpo porterà i segni della sofferenza, subiremo delle perdite, ma non perderemo il divino Liberatore.  Un predicatore ha detto: “È solo quando arrivi al fondo, quando tutto va a rotoli, quando tutti i tuoi schemi e risorse sono rotti ed esausti, che sei finalmente aperto a imparare a dipendere completamente da Dio”.

Dietro il velo della prova scorgiamo sempre un’opportunità di crescita (cfr. Gm 1:2-3).

Adorare il Signore 

“…il Signore ha dato, il Signore ha tolto; sia benedetto il nome del Signore” (Gb 1:21).

Questa è la gemma più bella in tempo di distretta. Un uomo prima di noi – Giobbe – ha fatto questa esperienza ed è diventato un esempio di fede per i credenti che sarebbero venuti dopo.

Riconoscere che Dio è Dio nella prova più buia è un capolavoro della grazia.

Ringraziare il Signore per tutto quello che dà deve essere l’esercizio quotidiano per il cristiano. Perché? Perché niente è suo, tutto gli viene dato per grazia.

Adorare Dio per ciò che ci toglie è la dimostrazione pratica che la mano del Signore conta più dei doni che vi si trovano dentro. A volte il Signore può ridarci alcune delle cose che ci toglie, ed è ciò che è successo a Giobbe. Dio dà, Dio toglie, e a volte ridà di nuovo, lui è il sovrano. La Scrittura afferma che “… il nostro Dio è nei cieli, egli fa tutto ciò che gli piace” (Sl 115:3). Quel che più conta, e che ci fa guardare alla sfera dell’eternità, è che il Signore sia riconosciuto sempre per ciò che egli è: o che abbiamo i suoi doni, o che non li abbiamo più. 

Ce la faremo? “Signore, le mie forze sono poche … non ce la faccio!”, diciamo spesso quando siamo al limite delle nostre capacità. La verità è che Dio continuerà ad amarci anche quando gli eventi sembreranno dire il contrario. Egli fa sempre tutto ciò che gli piace in armonia con le altre sue perfezioni divine. In un libro di meditazioni ho letto qualcosa che mi ha molto incoraggiato: “Il modo specifico in cui [il Signore] trarrà il bene dalle tue difficoltà, ai tuoi occhi potrà sembrare un mistero assoluto, ma il fatto che trarrà il bene da queste circostanze non è un mistero, è una promessa”.

Non scoraggiamoci, lasciamo che Dio sia Dio!