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Parlare di “fratelli” può essere un anacronismo davanti a una realtà sociale caratterizzata dall’aumento esponenziale di coppie senza figli e di coppie con un solo figlio. Certo, è bene precisare che il condizionamento sociale entra in gioco soltanto quando determina le scelte di una coppia. Infatti il non avere figli o l’averne uno solo può essere anche frutto della volontà del Signore. Comunque una coppia cristiana dovrebbe lasciarsi sempre orientare dalla certezza secondo la quale “i figli sono un dono che viene dal Signore” (Sl 127:3). Questi “figli” saranno fra loro fratelli. I fratelli e, ovviamente, anche le sorelle non si scelgono: è Dio che ce li mette accanto con una scelta nella quale la nostra volontà è del tutto estranea. Ma, ciò nonostante, i legami affettivi e di sangue che li uniscono dovrebbero creare fra loro un rapporto collaborativo e costruttivo. Ma… non sempre è così! Anzi le prime pagine della Bibbia ci raccontano di conflitti fra fratelli: drammatici, come nel caso di Caino e Abele e di Giuseppe e degli altri figli di Giacobbe, e turbolenti, come nel caso di Giacobbe ed Esaù. Più avanti abbiamo esempi di altri rapporti tragici fra fratelli: Abimelec, figlio di Gedeone uccise i suoi settanta fratelli (Gc 9:8); Absalom, figlio del re Davide, fece uccidere suo fratello Amnon (2Sa 13:23 e segg.). Le conseguenze del peccato sono penetrate fin dall’inizio della storia umana, anche nell’intimità di ogni nucleo familiare: gelosie, invidie, rivalità… Ma dobbiamo riconoscere che non è certamente soltanto la storia biblica a metterle in evidenza. Invece, nelle prime pagine dei Vangeli, troviamo finalmente due coppie di fratelli fra loro collaborativi: Andrea e Pietro, figli di Giona, e Giacomo e Giovanni, figli di Zebedeo. Gestivano insieme una società di pescatori, quindi i loro rapporti erano buoni prima ancora di conoscere Gesù. Ma fu la scelta di seguire Gesù a renderli più uniti fra di loro, in un doppio legame: non più soltanto fratelli perché figli di uno stesso padre terreno, ma fratelli perché, per la fede in Cristo, figli del Padre celeste (vd Ef 2:18). La scelta di seguire Cristo li rese quindi doppiamente fratelli: il primo legame, quello di sangue, si sarebbe sciolto con la fine del loro pellegrinaggio terreno (per Giovanni e Giacomo si interruppe con l’uccisione di quest’ultimo da parte di Erode, At 12:2), ma il secondo legame, quello creato “mediante la croce, sulla quale (Cristo) fece morire la loro inimicizia” (Ef 2:16) non si sarebbe mai interrotto e sarebbe proseguito per l’eternità. Non sappiamo se i loro rapporti siano stati vissuti sempre serenamente: quale sentimento avrà provato Andrea quando in diverse occasioni (monte della trasfigurazione, Getsemani) si è visto escluso dall’intimità con Gesù o cosa avranno provato Giacomo e Andrea quando hanno visto il Maestro affidare ai loro rispettivi fratelli un incarico così importante come la preparazione della cena pasquale (Lu 22:8). Gelosia? Invidia? Risentimento verso Gesù? Non lo sapremo mai. So, per esperienza personale, che un legame di sangue crea forti sentimenti affettivi, che diventano ancora più profondi quando il legame “raddoppia”. È onesto però riconoscere che non sempre si hanno pensieri positivi nei confronti dei propri fratelli soprattutto quando si vive ancora sotto lo stesso tetto. Crescendo, possono emergere diversità di opinioni, di scelte, di visioni, anche dopo che il legame è diventato doppio. Ma è proprio grazie a questo legame che ogni conflittualità è arginata, perché è stata condivisa la scelta più importante, quella di riconoscere che “Dio ci ha riconciliati con sé per mezzo di Cristo” (2Co 5:18). Con questi pensieri di riflessione e di gratitudine al Signore ho visto sciogliersi il 19 giugno scorso il legame di sangue con mio fratello Daniele, ma, anche attraverso le sue ultime parole, ho visto confermata la certezza che non si è sciolto il legame più importante, quello che, in Cristo, ci ha riconciliati con Dio e ci ha unito fra noi per l’eternità.