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Come adoriamo è frutto del come viviamo

Cosa potremmo pensare delle storie che leggiamo nell’Antico Testamento? Purtroppo tanti le giudicano troppo lontane per essere applicate a noi. Alcuni dicono addirittura che l’Antico Testamento non ci riguarda per nulla! Altri vanno oltre e affermano che il Dio dell’Antico Testamento non è lo stesso Dio del Nuovo… e così via. Questa “moda” di sciorinare false dottrine non comincia certo oggi con presunti profeti e predicatori improvvisati secondo una visione spirituale tutta loro; ma dobbiamo anche riconoscere che certi impostori non farebbero mai strada nelle chiese se quelli che si chiamano “credenti” fossero veramente attaccati alla verità biblica piuttosto che alle loro presunte visioni. Il problema è che esiste un’equazione diretta e indiscussa: falsa dottrina = falsa applicazione = falsa adorazione. Se infatti l’adorazione vera è quella che dice Paolo:

“Vi esorto dunque, fratelli, per la misericordia di Dio, a presentare i vostri corpi in sacrificio vivente, santo, gradito a Dio; questo è il vostro culto spirituale”

(Ro 12:1)

allora comprendiamo immediatamente che gioca un ruolo fondamentale l’applicazione che si fa della Parola di Dio nella vita dei credenti, e dunque la verità stessa che viene annunciata deve essere pura: non annacquata né alterata, deve corrispondere esattamente a quello che Dio vuole intendere.

Se dobbiamo adorare Dio in questo tempio che è “il nostro corpo”, dobbiamo ricordare che egli vuole essere adorato in Spirito e verità.

Guardiamo un passo molto importante della Bibbia che ha come tema fondamentale proprio l’adorazione:

“Dio disse a Giacobbe: «Àlzati, va’ ad abitare a Betel; là farai un altare al Dio che ti apparve quando fuggivi davanti a tuo fratello Esaù». Allora Giacobbe disse alla sua famiglia e a tutti quelli che erano con lui: «Togliete gli dèi stranieri che sono in mezzo a voi, purificatevi e cambiatevi i vestiti; partiamo, andiamo a Betel; là farò un altare al Dio che mi esaudì nel giorno della mia angoscia e che è stato con me nel viaggio che ho fatto». Essi diedero a Giacobbe tutti gli dèi stranieri che erano nelle loro mani e gli anelli che avevano agli orecchi; Giacobbe li nascose sotto la quercia che è presso Sichem”

(Ge 35:1-4).

Abbiamo tre punti essenziali:

  • Alzati, vai ad abitare nella tua Betel spirituale, nella casa di Dio.
  • Adora il tuo Dio.
  • Purificati prima di entrare nella casa di Dio.

Alzati, vai ad abitare nella tua Betel spirituale, nella casa di Dio

Giacobbe e i suoi figli stavano vivendo un momento di grande pericolo. Simeone e Levi avevano appena massacrato tutti i maschi dei Sichemiti per vendicare la violenza sessuale subìta dalla loro sorella Dina per poi saccheggiare completamente la città portando via tutto il loro bestiame e tutte le loro ricchezze. Per questo motivo Giacobbe era veramente certo che lui e la sua famiglia sarebbero stati sterminati dall’odio che a quel punto anche gli altri abitanti del paese, i Cananei e i Ferezei, avrebbero nutrito verso di lui e verso i suoi figli.

Ci sono delle situazioni simili che incontriamo nella nostra vita come cristiani. A volte nella chiesa a causa del comportamento disordinato di alcuni, a volte nelle nostre famiglie, a volte a causa del nostro stesso comportamento. Ci sono dei momenti in cui ci sentiamo perduti e senza speranza, ma Dio non ci scaccia via dalla sua presenza, non si mostra disinteressato dei nostri problemi e delle nostre preoccupazioni, ma ci invita in modo assai determinato ad andare a Betel, alla “casa di Dio”, non per presentare a Dio una lista interminabile di lamentele del tipo: “Non è colpa mia… ma perché mi succede questo… cosa ho fatto…?”, ma semplicemente per costruire un altare di adorazione alla sua presenza (Ge 35:1-4).

Non è forse meraviglioso il nostro Dio? Nel momento in cui comprendiamo di essere meno che nulla, in cui comprendiamo che non abbiamo scampo di fronte alla sua giusta retribuzione, perché per i nostri errori e peccati meriteremmo di essere allontanati dalla sua presenza come successe ad Adamo ed Eva che vennero scacciati dall’Eden… quando comprendiamo che l’ira di Dio è giusta e santa e che abbiamo meritato il suo giudizio con le nostre azioni… Dio non ci chiama a scappare dalla sua presenza. Non ci chiama a vestirci di una foglia per nascondere la nudità del nostro peccato! Non ci chiama a rifugiarci nelle caverne recondite del nostro cuore che lui conosce appieno avendole illuminate a giorno attraverso la luce della sua Parola!

Dio non ci chiama a scappare via coperti di vergogna come succederà agli increduli nel giorno del Giudizio! Non ci chiama e non ci chiamerà nell’ultimo giorno a dire ai monti “cadeteci addosso” per essere riparati dall’ira dell’Agnello! No!

Dio ci chiama al ravvedimento, alla purificazione e alla sua gloriosa presenza! Per adorarlo! “Andiamo nella dimora del SIGNORE, adoriamo davanti allo sgabello dei suoi piedi!” (Sl 132:7) È incredibile! Peccatori degni del peggiore dei giudizi chiamati ad adorare Dio per la sua grazia! Adorarlo per le sue qualità, i suoi attributi gloriosi, tra i quali ben conosciamo la misericordia che per noi è una solida dimora!

Pensiamo ancora proprio a Giacobbe: il suo nome significa “soppiantatore”, ma fu anche un ingannatore, rubò la benedizione del padre a suo fratello Esaù, mentendo spudoratamente nel nome di Dio. I suoi figli furono peggiori di lui, a parte Giuseppe e Beniamino, perché si macchiarono di qualcosa di infamante e vergognoso: vendettero Giuseppe, quando era il loro fratello più piccolo, a una carovana di Ismaeliti; e prima ancora di questo fatto infame due di loro, Simeone e Levi, rivelarono di essere uomini sanguinari al tal punto che Giacobbe stesso riservò per loro una maledizione alla fine della sua vita.

Quando pensiamo alla giustizia di Dio, la applicheremmo volentieri alla famiglia di Giacobbe; ma se comprendiamo la misericordia e la grazia di Dio, allora capiamo anche che queste sono le uniche motivazioni per le quali Israele, e anche noi, non siamo stati completamente distrutti (La 3:22). Noi saremmo stati alla larga da una famiglia come quella di Giacobbe; ma Dio non è come noi: Dio usa misericordia.

Dunque il Signore dice a ciascuno di noi: “Alzati”! Non stare a compiangerti addosso! Come quel pubblicano che era piegato in ginocchio implorando la pietà di Dio, perché riconosceva la propria miseria spirituale, ora che abbiamo riconosciuto i nostri peccati dobbiamo alzarci in piedi e andare alla presenza di Dio! Così come Giacobbe fu erede di promesse eterne a causa di Abramo, anche noi siamo eredi di promesse eterne a causa di Cristo! E se qui Giacobbe dubitò della fedeltà di Dio, come intuiamo dalle sue parole, ricordiamo che ciò è scritto per il nostro ammonimento! Non possiamo dubitare delle promesse di Dio per noi!

Non è forse degno di essere creduto colui che ha dato la sua vita per noi? Non è forse degno della massima fede e fiducia colui che non ha risparmiato il proprio Figlio per donarci la salvezza? Non è degno di essere creduto colui che ci ha fatti nascere di nuovo? Chi altri avrebbe potuto salvare la nostra anima, se non Gesù Cristo?

Quando qualcuno muore per salvare la vita di qualcun altro, spesso gli dedicano una strada o il nome di qualche istituzione o di qualche avvenimento importante… tutti lo chiamano “eroe”. Ma non è forse ancor più degno di stima, onore, gloria immortale in eterno, colui che ha dato la propria vita ed è risorto dai morti per salvare milioni e milioni di anime dall’inferno e per giustificarle e purificarle dai loro peccati? Egli può salvare perfettamente tutti coloro che credono in lui per essere salvati! Non è forse Gesù Cristo, Dio eterno, degno di tutta la nostra adorazione?

Arrendiamoci alla sua gloria! Adoriamolo! Presentiamoci alla sua presenza! Ho paura che come credenti sia proprio questa la nostra mancanza più grande: siamo stati adottati da Dio per essere suoi figli, ma comunichiamo con lui come attraverso una specie di “corrispondenza”, come se vivessimo lontani e fossimo stati oggetto di “un’adozione a distanza”. Se ascoltiamo le nostre preghiere ci rendiamo conto di come esse siano spesso fredde e telegrafiche, come se Dio fosse lontano da noi! Ma Dio “ci ha trasportati dalle tenebre alla luce”! Ovvero dove lui stesso abita. Dobbiamo prendere consapevolezza di questo così come doveva farlo Giacobbe. Dio allora esorta Giacobbe a recarsi con urgenza alla casa di Dio, alla sua presenza. Betel significa proprio questo: “casa di Dio”! C’è qualcosa di straordinario in queste parole. Noi non siamo chiamati semplicemente ad andare alla presenza di Dio in modo costante. Se questo succedesse veramente nelle nostre vite in modo costante, ciò sarebbe già un risultato straordinario per la nostra crescita! Ma giusto per farci comprendere quanto siamo spesso lontani dalla vera adorazione, Dio usa una parola: “abitare a Betel”! Significa: “Giacobbe, prendi tutto ciò che hai, tutta la tua famiglia, tutta la tua casa, tutti i tuoi beni, tutto ciò che possiedi, e vieni ad abitare alla mia presenza!

Abbiamo compreso cosa significa? Siamo chiamati a portare tutto alla presenza di Dio! Tutto nelle sue mani sicure! Tutto sotto la sua guida protettrice e la sua mano amorevole! Tutto sotto il suo sguardo acuto ma confortante! Tutto sotto la vigilanza dei suoi santi angeli che sono accampati intorno a noi per servirci! Tutto sotto l’ombra della croce, la quale ci rassicura, ci purifica, ci dona la pace con Dio! In quale posto nel mondo potremo mai trovare tutto questo? Dove nell’intero universo c’è un messaggio come questo? C’è qualcun altro che potrebbe mai dirci: “Figlio mio non preoccuparti, vieni e dimora presso di me! Accostati al trono della grazia per ricevere soccorso al momento opportuno! Vieni a dimorare nella mia casa!”.

Ma forse qualcuno di noi si è costruito nel tempo tutto intorno delle mura come quelle di Gerico! Ma che cos’erano le mura di Gerico se non un monumento alla gloria dell’uomo, alla sua potenza, al suo orgoglio, alla sua presunzione? Dio le ha abbattute ridicolizzando tutti coloro che confidavano nelle mura di Gerico!

Non ci accade forse la stessa cosa quando confidiamo in noi stessi? Chi confida in se stesso sarà svergognato! “Maledetto l’uomo che confida nell’uomo e fa della carne il suo braccio, e il cui cuore si allontana dal Signore” (Gr 17:5); chi è così “sarà come una fontana torbida e una sorgente inquinata” perché di fronte all’empio comincerà a vacillare come uno che è senza protezione, e inizierà a chiedersi: “Dove sono le mura portentose che ho edificato fino ad oggi intorno a me?”. Comincerà a parlare come parlò Giacobbe: “…noi siamo in pochi, essi si raduneranno contro di me e saremo sterminati!”. Ma se confidiamo in Dio, se ci rifugiamo alla sua presenza, se andiamo ad abitare tra le mura della sua casa, saremo al sicuro in eterno!

Questa era la lezione per Giacobbe in quel momento!

Chi potrebbe mai abbattere le mura che Dio stesso ha eretto, le mura della SUA casa? Chi è capace di combattere contro il Regno dei Cieli? Chi si opporrà al Re dei re e al Signore dei signori? Chi si metterà contro la casa di Dio? E se Dio è con noi, chi sarà contro di noi?

È lui che ti chiama alla sua presenza! Andiamo senza paura!

“Alziamoci e andiamo ad abitare a Betel”!

 Adora il tuo Dio

Adorare Dio non è solo un’azione che fa salire a Dio come un profumo soave, ma è anche una necessità per la nostra anima. Quando stiamo bene e tutto intorno a noi sembra filare liscio come olio, siamo spiritualmente freddi e la nostra adorazione è formale e vuota. Ho paura che molto spesso le nostre preghiere non superano realmente il soffitto della nostra cameretta e che l’ipocrisia dentro di noi sia ai livelli di massima allerta. Ma, quando siamo provati, sembra che lo Spirito Santo riaccenda quei tizzoni mezzi spenti dell’adorazione per farli ardere di amore per Dio. Sapete perché? Perché non c’è nulla di più edificante per noi e di più nutriente per la nostra anima, non c’è nulla di più proficuo per la nostra mente e per il nostro cuore, che adorare Dio. Adorare Dio è l’attività più onorevole alla quale un uomo possa ambire e Dio ci chiama a farlo, soprattutto per il nostro bene.

Giacobbe era in un momento molto delicato. Non vi era solo il pericolo dei Cananei e dei Ferezei; ma era in discussione il suo ruolo di guida nella famiglia. Aveva perso il controllo sui suoi figli e due di essi, accecati dall’ira, avevano commesso una vera e propria strage.

Ci sembra strano che il conforto si possa trovare nella semplice adorazione, anziché in lamentele accese verso il Signore? L’adorazione aiuta la mente a capire chi è Dio, perché quando adoriamo, consideriamo gli attributi di Dio per poi conformare la nostra vita in base a questi. Ponendoci di fronte alla sua maestà, comprendiamo la nostra piccolezza; contemplando la sua santità, comprendiamo quanto grande sia il nostro peccato; contemplando la sua onnipotenza, comprendiamo il bisogno che abbiamo di lui nel giorno dell’avversità; contemplando la sua onniscienza, ci affideremo al suo giusto giudizio.

Coloro che si privano dell’adorazione non fanno solo torto a Dio, il quale è degno di adorazione nei secoli dei secoli, ma fanno del male soprattutto a loro stessi, perché chi non adora Dio nell’intimità del suo cuore non potrà mai comprendere come Dio agisce nella sua vita.

Inoltre, contemplare l’opera di Dio compiuta per noi nel passato ci incoraggia ad adorare anche se viviamo un presente di avversità e rende la nostra fede incrollabile guardando al futuro. Così come Dio intervenne e protesse Giacobbe quando questi fuggiva dopo aver ingannato suo fratello Esaù, allo stesso modo Dio ha protetto noi da molte conseguenze che ci sarebbero state per le nostre azioni. Non ci ha “resi giusti” per quello che abbiamo fatto, ma ha usato misericordia verso di noi, e per la fede in Cristo ci ha imputato la sua giustizia, la quale ci giustifica (Ro 5:1)!

Essere irriconoscenti per la misericordia ricevuta in passato ci impedirà di goderne i benefici nel presente. Spesso come i Niniviti, che si convertirono alla predicazione di Giona per poi essere condannati cento anni dopo da Naum perché si erano scordati della misericordia di Dio usata in passato per tornare ai loro vecchi peccati, anche noi dimentichiamo le grazie del Signore.

Se ci fosse una chiamata che potete definire più alta di quella all’adorazione nella casa di Dio, potremmo essere tentati a non dare molto peso alle parole che Dio rivolge a Giacobbe; ma pur sforzando la mia poca intelligenza, non riesco a trovare qualcosa di più bello e onorevole che andare nella casa di Dio per adorare il mio Signore.

Per la presenza permanente dello Spirito Santo, oggi noi siamo il tempio di Dio, ma le parole rivolte da Dio a Giobbe incoraggiano la nostra santificazione, la nostra intimità, il nostro incontro riservato tra noi e Dio, nel profondo del nostro cuore e della nostra mente. Da lì scaturisce la vera adorazione! Tutti i grandi servitori di Dio di oggi e del passato ci direbbero che quella è la miglior “scuola biblica” che possiamo frequentare, perché, se anche avessimo nella nostra biblioteca i tredicimila volumi che possedeva Charles Spurgeon, non troveremo nulla in essi che possa donare la pace nel cuore come stare alla presenza del nostro Signore.

Tutto ciò che proviene da un rapporto intenso con Dio ha ancor più valore dei diamanti e delle pietre preziose, è come oro puro affinato dalla santità di Dio… ma tutto ciò che facciamo e che non proviene dalla nostra comunione con Dio, anche se cercassimo di rivestire le nostre opere con l’abito fino della religiosità e se indossassimo il copricapo dello zelo, non sarebbe altro che legno e paglia, destinati a essere bruciati nel giorno in cui Dio giudicherà le nostre opere. Perché dunque affaticarci e impegnarci senza scopo.

Non è forse meglio andare nella casa di Dio per essere soccorsi e istruiti sul da farsi? Siamo troppo presi dalla frenesia della vita e del fare che ci siamo dimenticati della cosa più importante. A furia di nutrirci dalla fontanella inquinata dello “zelo senza conoscenza” ci siamo spiritualmente ammalati, perché non siamo andati alla fonte per ricevere l’acqua viva, la vera conoscenza! Il Signore Gesù ci ha fornito della santità per salire sul monte santo di Dio per andare, come fece Mosè, a incontrarlo e ricevere da lui e dalla comunione con lui la forza, la saggezza, la sapienza per applicare la Scrittura a noi stessi…una sapienza e una saggezza che solo lui può dare.

Andiamo a Betel allora, andiamo nella casa di Dio, prostriamoci alla sua presenza, adoriamolo per le sue qualità, aspettiamo le sue risposte! Lasciamo stare ai loro ragionamenti carnali e diabolici tutti coloro che con un pretesto o con un altro vorrebbero distoglierci da ciò di cui la nostra anima ha realmente bisogno: stare alla presenza di Dio in adorazione. Prima di tutto dunque curiamo la nostra adorazione personale verso Dio, poi i frutti di questa adorazione guideranno tutto il resto. Questa è la lezione per Giacobbe, ma è la lezione anche per noi oggi.

Purìficati prima di entrare nella casa di Dio

Che cosa precede il “leviamoci e andiamo a Betel e io farò là un altare al Dio che mi esaudì nel giorno della mia avversità” (v. 3)? Ecco da cosa è preceduto: “Allora Giacobbe disse alla sua famiglia e a tutti quelli che erano con lui: «Rimuovete dal vostro mezzo gli dèi stranieri, purificatevi e cambiate le vostre vesti, poi leviamoci e andiamo a Betel…».

Se vogliamo adorare Dio, sarebbe tragico pensare di andare a lui senza prima esserci purificati? Dio è amore ed è misericordioso, ma è anche santo e giusto. Se fossimo convocati alla presenza del Presidente della Repubblica, ci andremmo forse vestiti con la tuta da ginnastica? E se fossimo convocati per un colloquio di lavoro, sicuramente ci andremmo vestiti in modo da fare buona impressione!

Pensiamo che Dio, il Re dei re e il Signore dei signori, colui che siede sul trono nei cieli, colui che è l’autore di tutto ciò che vediamo, colui davanti al quale persino gli angeli adorano, non sia forse degno di ancor più rispetto? Non è forse il timore della sua autorità eterna che ci deve portare a vestirci spiritualmente con l’abito nuovo di giustizia e di santità che Cristo ci ha donato? Ricordiamo l’apostolo Giovanni che si prostrò di fronte ad un angelo e l’angelo lo redarguì severamente? Se umanamente siamo tentati di prostrarci di fronte ad un angelo, ad una creatura, allora proviamo a pensare a cosa succederà di fronte al trono di Dio il Creatore!

È vero che abbiamo libero accesso al trono della sua grazia, ma prima dobbiamo toglierci i calzari del mondo, perché quello è suolo sacro! Rimuoviamo dal nostro mezzo gli dèi stranieri, ovvero quelli che gli altri popoli, che non conoscono l’unico vero Dio, adorano. Togliamo dalla nostra vita gli idoli del nostro io, dell’orgoglio, del “tutto mi appartiene”… Purifichiamoci dai nostri peccati! Cambiamo le nostre vesti in abiti di giustizia! Confessiamo i nostri peccati e confidiamo nel sangue di Cristo che ci purifica! E poi andiamo ad adorare Dio. Gesù disse: “Nessuno va al Padre se non per mezzo di me”! Vogliamo andare alla presenza del Padre per adorarlo come egli comanda a ogni suo figlio e a ogni sua figlia? Allora dobbiamo passare dalla porta, da Gesù, dall’unica Via. Passiamo anche attraverso la sua Parola che ci lava con acqua pura! Costruiamo il nostro altare di adorazione attraverso la fede in lui! Perché Betel è la nostra casa!

La casa di Dio è la nostra dimora eterna! Purifichiamo le nostre vite, ed entriamo nei suoi cortili e nel suo santuario con la lode e l’adorazione al Dio che ci ha amati in Cristo e che rinnova per noi ogni giorno le sue benedizioni. Se siamo stanchi e oppressi a causa delle situazioni della vita, in Cristo troveremo riposo. Se ci sembra che non troviamo una via d’uscita per l’incendio che divampa intorno a noi, come successe a Giacobbe, Dio ci chiama ad abitare nella sua casa per adorarlo e trovare protezione. Corriamo dal Padre Celeste, ed egli si prenderà cura di noi. Adoriamolo per ciò che egli è ed egli ci risponderà nel giorno dell’afflizione e della prova.

Non disperiamo dunque: Dio non abbandona mai i suoi figli. Egli, come sta scritto, ci soccorrerà al momento opportuno, e sarà il momento per noi migliore. Non abbandonò Giacobbe, e non abbandonerà nemmeno noi, per amore del suo nome e per fedeltà alle sue promesse.