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Introduzione

Leggiamo l’episodio, così come ce lo ha trasmesso Giovanni.

“La Pasqua dei Giudei era vicina e Gesù salì a Gerusalemme. Trovò nel tempio quelli che vendevano buoi, pecore, colombi, e i cambiavalute seduti. Fatta una sferza di cordicelle, scacciò tutti fuori dal tempio, pecore e buoi; sparpagliò il denaro dei cambiavalute, rovesciò le tavole, e a quelli che vendevano i colombi disse: «Portate via di qui queste cose; smettete di fare della casa del Padre mio una casa di mercato». E i suoi discepoli si ricordarono che sta scritto: «Lo zelo della tua casa mi consuma».

I Giudei allora presero a dirgli: «Quale segno miracoloso ci mostri per fare queste cose?» Gesù rispose loro: «Distruggete questo tempio, e in tre giorni lo farò risorgere!» Allora i Giudei dissero: «Quarantasei anni è durata la costruzione di questo tempio e tu lo faresti risorgere in tre giorni!» Ma egli parlava del tempio del suo corpo. Quando dunque fu risorto dai morti i suoi discepoli si ricordarono che egli aveva detto questo; e cedettero alla Scrittura e alla parola che Gesù aveva detta” (Gv 2:13-25).

Sono trascorsi alcuni giorni dalle nozze di Cana. Gesù, sua madre, i suoi fratelli e i suoi discepoli sono tornati a Capernaum dove rimasero alcuni giorni. Manca poco alla festa di Pasqua e, come di consueto, egli va a Gerusalemme.

Arrivato nella capitale entra nel tempio. Il luogo sacro pullulava di persone provenienti da ogni parte del paese: qualcuno aveva fatto un viaggio durato anche diversi giorni, spesso in allegra comitiva. Una volta entrato nel cortile del Tempio, il Maestro, vede qualcosa che suscita in lui un profondo sdegno. È da notare che questa è una delle prime vicende raccontate da Giovanni e qui scopriamo un Gesù inedito, che ci sorprende.

Una consuetudine consolidata

Lo storico Giuseppe Ricciotti così descrive la scena:

“Giunto nella capitale e recatosi nel tempio, egli si trovò davanti la solita scena che avveniva più che mai in occasione delle grandi feste. L’atrio esterno del Tempio era diventato una stalla appestata dal fetore del letame, e risuonava del muggito dei buoi, del belato delle pecore, del pigolar dei colombi, e soprattutto delle alte grida dei mercanti e dei cambiavalute installatisi per ogni dove; da quell’atrio si poteva solo remotamente udire una debole eco dei canti liturgici che s’innalzavano al di dentro e intravedere un debole chiarore della lontana luminaria sacra. Altri segni religiosi non apparivano in quel vasto recinto, che si sarebbe detto una fiera di bestiame e un convegno di truffatori, piuttosto che l’anticamera della casa ove abitava l’immateriale Dio d’Israele” [1].

La festa di Pasqua era senz’altro (e lo è tuttora) la principale festa ebraica, quella che ricorda la sua liberazione. In questa occasione migliaia di pellegrini arrivavano nella città di Davide per festeggiare e, soprattutto, per presentare il loro sacrificio nel Tempio, unico luogo deputato per una cerimonia di questo tipo.

Spesso nei loro lunghi viaggi i pellegrini non si portavano da casa l’animale destinato al sacrificio, ma lo acquistavano sul posto: questo spiega la presenza dei mercanti di animali. Gli acquisti nel tempio, poi, dovevano essere fatti con una particolare moneta, e questo spiega la presenza dei cambiavalute.

Se tutto rientra nella normalità, per quale motivo Gesù agisce in modo così insolito?


Perché, pur essendoci stato altre volte, solo in questa occasione si comporta così?


Perché questa scena, del tutto normale e alla quale aveva sicuramente assistito altre volte, ora suscita il suo profondo sdegno?


Perché ora arma la sua mano di una “frusta di cordicelle” e con questa sfoga la sua ira?

Cerchiamo di capire il comportamento di Gesù, così insolito, così diverso da quello che normalmente lo caratterizzava.

Con Gesù si volta pagina

Più di una volta, seguendo le vicende che lo vedono protagonista, saremo costretti a sottolineare questa verità: con Gesù si volta pagina!

Lui è il Messia che porta una ventata di novità; è diverso dall’Unto che il popolo stava attendendo (questo è uno dei motivi per cui non fu accettato come tale).

Con le nozze di Cana il Figlio di Dio appare sulla scena del mondo manifestando il suo essere diverso dalla normale umanità e già in questa vicenda c’è una indicazione della verità di cui ci stiamo occupando: il “buon vino” che egli dona agli sposi e ai commensali rappresenta quel “vino nuovo” che non può essere posto in otri vecchi. Ora, qui nel tempio, nel luogo sacro per eccellenza, il Signore lancia un messaggio chiaro: “Non sopporto più la vostra religiosità, fatta di cose esteriori e immersa in atteggiamenti che hanno rinnegato il carattere del giusto rapporto Dio-uomo. Voi avete fatto della Casa di mio Padre uno squallido mercato dove gli elementi della fede sono mercificati, dove i più furbi arricchiscono sulle spalle di qualche sincero credente”.

Osservando questa scena un commentatore aggiunge:

“I sacerdoti, o perché avevano la parte loro nei profitti, o perché affittavano i posti ai mercanti, chiudevano gli occhi a tanta profanazione, quietando la loro coscienza col dire che tutto ciò veniva fatto a fin di bene. Eppure il semplice fatto di un mercato tenuto nel tempio era una scandalosa mescolanza di sacro e di profano, senza parlare degli abusi inerenti a ogni commercio”[2].

Quante volte questo squallido mercato è sorto nella Chiesa di chi ha dimostrato inequivocabilmente il suo disprezzo verso questo comportamento? Pensate solo alla vendita delle indulgenze, che ha suscitato lo sdegno del giovane monaco agostiniano di nome Martino: lui, invece della sferza di cordicelle, ha preso penna e calamaio, ha scritto 95 tesi e le ha affisse alla porta della cattedrale della città. Lutero leggendo la Scrittura, aveva trovato quel “vino nuovo” che era stato posto in otri vecchi e reso irriconoscibile.

Questa non fu l’unica volta che la Chiesa si macchiò di questo delitto. Gesù sta affermando, non senza veemenza, che con lui si volta pagina e il nuovo renderà il vecchio ombra della nuova realtà.

Gli elementi della novità

In questo episodio il Maestro non si scaglia solo contro l’increscioso comportamento avuto dai religiosi che avevano fatto del Tempio un mercato, ma c’è qualcos’altro da evidenziare. Riferendosi al Tempio Gesù lo definisce “casa di mio Padre”.

È una frase importante che merita un approfondimento. È risaputo che il Tempio era stato voluto da Dio stesso.

Quando il popolo d’Israele era ancora allo stato nomade, prima di entrare nella Terra Promessa, il Signore aveva dato delle chiare indicazioni su come costruire il Tabernacolo, che era in pratica un Tempio smontabile e trasportabile.

Davide ebbe il forte desiderio di costruire qualcosa di più stabile e maestoso (il Tempio è stato costruito secondo il modello del Tabernacolo, ma non più con materiale leggero come le tende e di dimensioni doppie), ma Dio non glielo permise: sarà poi suo figlio Salomone a edificarlo. Nella parte più interna del Tempio c’era l’Arca dell’Alleanza, simbolo della presenza del Signore. Il Tempio era, perciò, la Casa del Signore: il luogo da lui voluto e nel quale manifestava la sua presenza. Era il luogo d’incontro tra Dio e il suo popolo, rappresentato dal Sommo Sacerdote.

Ora Gesù afferma che questo luogo è la “casa del Padre mio”, indicando in questo modo che tra lui e Dio esisteva un rapporto particolare: in questa circostanza egli si presenta come Figlio di Dio.

La seconda verità da sottolineare è presente nella discussione nata tra il Maestro e i capi religiosi, in seguito al suo gesto provocatorio. La domanda dei Giudei è sicuramente pertinente:

“Quale segno ci mostri per fare queste cose?”.

In altre parole:

“Chi ti ha autorizzato a fare ciò che hai fatto?”.

La risposta di Gesù li spiazza:

“Distruggete questo tempio e in tre giorni io lo ricostruirò”.

La replica:

“Ci sono voluti quarantasei anni per edificare questo tempio, e tu lo ricostruiresti in tre giorni?”.

Mi pare di vedere un sorriso beffardo sul viso dei religiosi, che avranno preso Gesù per pazzo, un povero alienato che non valeva la pena di ascoltare. Non ci fu, infatti, nessun’altra reazione. Ma Giovanni ha cura di ricordarci che era del suo corpo che Gesù parlava.

Il Tempio era la “casa di suo Padre” e, nello stesso tempo, il suo corpo. Questo accostamento ha in sé una grande verità: Gesù, come e più del Tempio, è la “dimora” di Dio fra gli uomini; egli non è semplicemente un Messia, un Unto dal Signore scelto tra gli uomini, ma l’Emmanuele, Dio con noi.

Questa è la grande novità, che era già stata annunciata da Giovanni, nelle prime righe del suo Vangelo: “Nel principio era la Parola, la Parola era con Dio, e la Parola era Dio”; “E la Parola è diventata carne e ha abitato [il termine tradotto letteralmente è “pose la tenda”; il riferimento al Tabernacolo è evidente] per un tempo fra di noi, piena di grazia e di verità” (1:1, 14).

L’era del Tabernacolo e del Tempio di pietra è finita ed è iniziata l’era del Tempio di carne: una verità, questa, che, quando fu proclamata dal giovane Stefano, provocò la sua lapidazione per mano dei capi religiosi, diventando così il primo martire cristiano. La parte finale della sua carrellata storica termina infatti con il riferimento al Tempio, voluto sì dal Signore, ma che ora ha terminato la sua funzione (At 7).

Il Tempio cesserà d’esistere materialmente nel 70, quando le milizie romane conquistarono Gerusalemme. È da notare che nel passato il tempio fu ricostruito, dopo che era stato distrutto (quella del tempo di Cristo è la terza “edizione”), ma dal 70 in poi non è stato più ricostruito, e sono trascorsi quasi duemila anni.

Con il Tempio termina anche l’era della “religione”. Mi spiego.

Nella lettera agli Ebrei si porta avanti, con forti sottolineature, l’idea che la legge cerimoniale appartiene ormai al passato: essa era nient’altro che “ombra” della realtà che Cristo rappresenta.

Una curiosità: il termine “tabernacolo” appare 12 volte nel Nuovo Testamento e tutte nella lettera agli Ebrei; è in questo scritto che è sottolineata la svolta apportata da Cristo: egli è il nuovo tempio. Ma non solo, Gesù è anche il Sommo sacerdote e la vittima sacrificale.

Con la sua morte Gesù fa cessare anche la religione che il Tempio rappresenta: sacrifici di animali, paramenti sacri, sacerdozio, riti religiosi, ecc.

L’uomo non deve più accostarsi a Dio con tutti questi elementi simbolici perché è passato il loro tempo e l’Agnello di Dio si è immolato, una volta per sempre.

L’uomo non è più costretto a soddisfare la legge per essere gradito al Signore, perché in Gesù è giustificato ossia gli viene imputata la sua (di Cristo) giustizia.

All’uomo non sono più richieste delle opere che soddisfino Dio, ma solo la fede in ciò che lui ha fatto, perché la santità-giustizia di Dio è stata soddisfatta sulla croce.

Non c’è bisogno di un sacerdote che faccia da tramite tra Dio e gli uomini, perché Cristo è l’unico mediatore per tutti, l’ultimo dei Sommi Sacerdoti.

Un’indicazione chiara di quanto stiamo dicendo la troviamo nella lacerazione della cortina del Tempio, subito dopo la morte di Cristo:

“Ed ecco, la cortina del tempio si squarciò in due, da cima a fondo, la terra tremò, le rocce si schiantarono…”

(Mt 27:51)

Muore così la religione e al suo posto c’è la fede: una fede che ci permette di far nostra l’esperienza di morte e risurrezione di Cristo. Tramite la fede noi moriamo e risorgiamo in Cristo. Ma il pericolo che la religione risorga in noi, è sempre costante.

Paolo, scrivendo ai Galati afferma:

“O Galati insensati, chi vi ha ammaliati, voi, davanti ai cui occhi Gesù Cristo è stato rappresentato crocifisso? Questo soltanto desidero sapere da voi: avete ricevuto lo Spirito per mezzo delle opere della legge o mediante la predicazione della fede? Siete così insensati? Dopo aver cominciato con lo Spirito, volete ora raggiungere la perfezione con la carne? Avete sofferto tante cose invano? Se pure è proprio invano. Colui dunque che vi somministra lo Spirito e opera miracoli tra di voi, lo fa per mezzo delle opere della legge o con la predicazione della fede?”

(Ga 3:1)

Il pericolo che stavano correndo i credenti della Galazia era proprio quello di vivere la vita cristiana secondo la logica della religione, dopo essere arrivati alla salvezza per mezzo della fede.

La logica della religione pone, di nuovo, l’uomo al centro dell’interesse: ciò che conta è ciò che fa, non ciò che è in Cristo. La grazia viene così di fatto emarginata, ridotta ai minimi termini.

[1] G. Ricciotti, Vita di Gesù Cristo, Mondadori 1968.

[2] R.G. Steward, L’evangelo secondo Giovanni, Firenze, Claudiana 1923; ristampa anastatica del 1981.