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Gesù tornerà!

Dal terrazzo della casa in cui ho abitato si gode un’ottima vista. Nelle giornate serene, sullo sfondo si staglia la maestosa figura delle Alpi. Osservando le cime, spesso innevate, mi viene da pensare a una verità che è legata a un avvenimento d’importanza fondamentale per il cristiano. 

“Poi li condusse fuori fin presso Betania; e, alzate in alto le mani, li benedisse. Mentre li benediceva, si staccò da loro e fu portato su nel cielo. Ed essi, adoratolo, tornarono a Gerusalemme con grande gioia; e stavano sempre nel tempio, benedicendo Dio” (Lu 24:50-53).

“Dette queste cose, mentre essi guardavano, fu elevato; e una nuvola, accogliendolo, lo sottrasse ai loro sguardi. E come essi avevano gli occhi fissi al cielo, mentre egli se ne andava, due uomini in vesti bianche si presentarono a loro e dissero: «Uomini di Galilea, perché state a guardare verso il cielo? Questo Gesù, che vi è stato tolto, ed è stato elevato in cielo, ritornerà nella medesima maniera in cui lo avete visto andare in cielo»” (At 1:9-11).

Che cosa hanno a che fare le cime delle montagne con quanto abbiamo letto? Nel testo troviamo l’ultimo incontro di Gesù con i suoi discepoli, prima di ritornare al Padre. Nelle parole dei “due uomini in vesti bianche” è presente una verità che la chiesa di ogni tempo ha fatto propria e che è diventata la sua “beata speranza” (Tt 2:13): Gesù tornerà. Questo ritorno è una realtà ampiamente annunciata sia da Gesù sia dagli scrittori del Nuovo Testamento. È certa, ma presenta degli elementi non del tutto chiariti, sia nelle modalità sia nella cronologia. 

Guardando le cime delle montagne, da lontano sembrano toccarsi, ma avvicinandosi ci si rende conto dell’effettiva distanza l’una dalle altre. Considerando le profezie messianiche dell’Antico Testamento sembra che i due eventi, venuta e ritorno di Cristo, siano un unico fatto, ma noi sappiamo che così non è stato. La stessa regola vale anche per gli eventi che abbiamo ancora di fronte a noi e che sono accennati, in modo più o meno approfondito, nella Scrittura. Ci occuperemo del ritorno di Cristo e lo faremo a “volo d’aquila”, senza soffermarci nei particolari.

Un evento annunciato

“Quando sarò andato e vi avrò preparato un luogo, tornerò e vi accoglierò presso di me, affinché dove sono io, siate anche voi” (Gv 14:3). In queste parole c’è una esplicita promessa del Signore: tornerò. Scorrendo le pagine dei Vangeli noteremo che questa non è l’unica volta che Gesù formula questa promessa: essa è implicita anche nel momento, stabilito da Gesù, in cui la Chiesa è chiamata a riflettere e a ricordare la sua opera. Infatti, nelle parole che accompagnano la Cena del Signore, troviamo un riferimento al suo ritorno: “Poiché ogni volta che mangiate questo pane e bevete da questo calice, voi annunciate la morte del Signore, finché egli venga” (1Co 11:26). I riferimenti al ritorno di Gesù nel Nuovo Testamento sono circa trecento, uno ogni quindici versetti. 

Non possiamo né dobbiamo dimenticarci che la Bibbia è per sua natura profetica, nel senso di rivelazione di ciò che Dio intende fare: è per questo che è definita Parola di Dio, perché rivela il suo pensiero e le sue intenzioni. Si calcola che più di un quarto del testo biblico sia profetico. Un passo del profeta Amos (3:7) dimostra ciò che è l’intenzione di Dio: “Poiché il Signore, Dio, non fa nulla senza rivelare il suo segreto ai suoi servi, i profeti”. Oltre la metà delle profezie, molte delle quali riguardanti la venuta di Gesù, si sono già adempiute e questo è un incentivo a prendere sul serio quelle che devono ancora avverarsi.

Un doppio pericolo

Di fronte ai fatti escatologici si possono avere due atteggiamenti contrastanti, ma ugualmente sbagliati:

1. Essere dogmatici su ciò in cui non è possibile esserlo. Le modalità del suo ritorno non sempre sono definite con chiarezza e spesso la Bibbia fa uso di metafore non sempre chiaramente interpretabili. Il tempo del suo ritorno è poi avvolto nel mistero, a tal punto che Gesù stesso, nel momento della sua umanità, affermò: “Ma quanto a quel giorno e a quell’ora nessuno li sa, neppure gli angeli del cielo, neppure il Figlio, ma il Padre solo” (Mt 24:36). C’è poi una raccomandazione che dobbiamo seriamente tener conto: “Non sta a voi di sapere i tempi o i momenti che il Padre ha riserbato alla sua propria autorità” (At 1:7). Noi siamo chiamati a vigilare, perché ogni momento può essere quello giusto. 

2. Mettere il ritorno di Cristo in un cantuccio della nostra coscienza. Anche questo è un pericolo dal quale dobbiamo guardarci. C’è poi chi ha tolto l’elemento escatologico dalla fede cristiana, affermando che tutto si risolve in questa vita e che non ne esiste un’altra. Ma “chi trascura ciò che Dio ha fatto sapere con chiarezza sul futuro, si priva di una parte importante della rivelazione.

Cristo ritorna! Questo è vero quanto è vera la sua venuta in terra oltre duemila anni fa. 

Il completamento di un’opera

Gesù sulla croce esclamò: “È compiuto!”. Sono le sue ultime parole (Gv 19:30). Tutto ciò che l’Uomo Gesù poteva fare, lo ha fatto. Con la sua morte l’opera di espiazione del peccato è compiuta. Rimaneva, però, ancora qualcosa da fare: la risurrezione, l’ascensione e il ritorno. Senza questi fatti, lo sappiamo, l’opera non è completa. Parlando del progetto divino, l’apostolo Paolo afferma che la “piena redenzione” è la mèta finale dell’opera di Cristo e che questa si identifica con i tempi escatologici:

“In lui voi pure, dopo aver ascoltato la parola della verità, il vangelo della vostra salvezza, e avendo creduto in lui, avete ricevuto il sigillo dello Spirito Santo che era stato promesso, il quale è pegno della nostra eredità fino alla piena redenzione di quelli che Dio si è acquistati a lode della sua gloria” (Ef 1:13,14)

Il ritorno di Cristo è il completamento di un’opera iniziata con l’incarnazione. Il nostro Signore non ha lasciato niente al caso e il suo progetto ha previsto ogni cosa, fino alla fine dei tempi. Satana ha più volte ostacolato questo progetto, ma come non ha potuto fermarlo nel passato, così non lo potrà nel futuro. È interessante notare, leggendo i Vangeli, quante volte e in quante maniere l’Avversario ha cercato di fermare Gesù nel suo cammino verso il Golgota. Una volta si è servito persino di Pietro (Mt 16:22); ma Gesù lo smaschera: “Gesù, voltatosi, disse a Pietro: «Vattene via da me, Satana! Tu mi sei di scandalo. Tu non hai il senso delle cose di Dio, ma delle cose degli uomini»” (v. 23).

Torno subito

Noi siamo fortemente legati al tempo e allo spazio, che è ben minuscolo confrontato con il resto della storia e del creato. Il nostro modo di relazionarci alle cose è legato a questo schema spazio-tempo. È giusto che sia così, perché non conosciamo una realtà che non sia legata a questo schema, almeno empiricamente. 

Alla fine del libro dell’Apocalisse, che come sappiamo getta uno sguardo sul futuro, troviamo queste parole: “Colui che attesta queste cose, dice: «Sì, vengo presto»” (Ap 21:20). Gesù, tramite Giovanni, ha promesso di tornare presto, ma sono trascorsi duemila anni!

Gesù si è forse dimenticato di noi?

La promessa di un regno futuro è solo demagogica furbizia? Un “placebo” per rendere meno pesante il nostro presente?

Ai tempi apostolici c’era già chi diceva: “Dov’è la promessa della sua venuta? Perché dal giorno in cui i padri si sono addormentati, tutte le cose continuano come dal principio della creazione” (2P 3:4). Erano trascorsi solo pochi anni da quando Gesù se n’era andato, ora ne sono trascorsi duemila: che cosa è successo? Qualcosa non ha funzionato? Qualcuno ha ostacolato Gesù in questo suo progetto? 

Quando si parla delle cose che riguardano Dio dobbiamo tener conto che lui non è legato al tempo come lo siamo noi. Pietro, rispondendo alla domanda provocatoria degli “schernitori beffardi”, come li definisce lui, fa un’importante affermazione: “Per il Signore un giorno è come mille anni e mille anni come un giorno” (3:8). Prima ancora che Einstein scoprisse la relatività del tempo, Pietro e molto tempo prima di lui, Mosè (Sl 90:4), hanno scoperto che questa relatività esiste nella dimensione spirituale. 

Il presto di Gesù è sicuramente diverso dal nostro. In fondo, secondo l’orologio di Dio, da quando Gesù è tornato alla gloria, sono trascorsi solo… due giorni. Dio è colui che vive in un eterno presente, mentre per noi il presente è solo il punto di congiunzione tra passato e futuro, praticamente non esiste. 

La nostra vita è come un “filo d’erba”, come “un vapore”. Non comprendere che l’orologio di Dio cammina con ritmi diversi dai nostri, qualche volta genera frustrazione. Vivendo nell’attesa del Signore cerchiamo di sintonizzare il nostro orologio con il suo. Può darsi che lui torni stasera, ma può darsi che torni anche fra due giorni.

Come Noè 

Pietro, in quella lettera citata, confronta il ritorno di Cristo con il diluvio (2Pi3:5, 6) e afferma che in quella occasione le persone non credettero alla parola di Noè e subirono le conseguenze della loro scelta. Al ritorno di Gesù avverrà la stessa cosa: chi non accetta la soluzione divina in Cristo, dovrà subire le conseguenze di questo rifiuto. Non è vendetta divina, non è sete di sangue e di potere, come prospetta Lawrence nel suo libro Apocalisse, ma semplice e drammatica conseguenza di una scelta personale. Se stai per affogare e qualcuno ti lancia un salvagente, non imprecare contro di lui se finirai affogato, rifiutando di accettare la sua soluzione. Come ai tempi di Noè, così sarà nei tempi della sua parousia.

Chi crede che Dio è colui che ha creato tutto, che è intervenuto con il diluvio, che si è fisicamente introdotto nella storia nella “notte di Natale”, nutre in sé la convinzione che lui interverrà anche nel futuro. Se c’è stata una “pienezza dei tempi”, per la prima venuta, ce ne sarà un’altra anche per la seconda.

Il messaggio di una sposa

“Rallegriamoci ed esultiamo e diamo a lui la gloria, perché sono giunte le nozze dell’Agnello e la sua sposa si è preparata” (Ap 19:7; 21:2; 22:17). 

Nel Nuovo Testamento spesso la Chiesa è raffigurata come la sposa di Cristo. Questa immagine ci è data per rappresentare il rapporto esistente tra Gesù e la Chiesa: un rapporto che i coniugi devono imitare nella loro vita di coppia (Ef 5:22-33). Nel libro dell’Apocalisse si parla delle nozze dell’Agnello e della Chiesa. Se le nozze sono una realtà futura, siamo portati a pensare che, nel momento attuale, la Chiesa è “fidanzata” a Cristo e come tale è desiderosa d’incontrare colui con il quale dividerà l’eternità: “Lo Spirito e la sposa dicono: «Vieni». E chi ode, dica: «Vieni»” (Ap 22:17). La parabola delle dieci vergini (Mt 25:1-13) rappresenta molto bene il momento attuale di “fidanzamento” nell’attesa della venuta dello Sposo.  

Qual è il sentimento predominante di una fidanzata veramente innamorata del suo promesso sposo? Non è forse il desiderio di essere con lui, nel senso pieno del termine? Non è forse quello di condividere ogni attimo del tempo con la persona amata?

È vero che Gesù è presente in mezzo a noi, sua Chiesa e sua Sposa, ma è una presenza offuscata dalla sofferenza, dal peccato e dai tanti mali che travagliano il mondo: è una presenza che, per colpa nostra, godiamo come se fosse adombrata, non piena, non totale e completamente libera dal male, come sarà dopo il suo ritorno. Con il “matrimonio” finalmente la Sposa potrà entrare a tutti gli effetti nella gloria dello Sposo, condividere la sua eredità di Figlio di Dio.

Questo sentimento è presente nella Chiesa di oggi? C’è, nel cuore dei credenti, un forte desiderio di entrare nella “gloriosa libertà”” (Ro 8:21), di vivere, finalmente, la “piena redenzione” (Ef 1:14)? O non siamo ancora tenacemente ancorati alle cose di questo mondo, come se fossero le uniche?

Pietro, nella prospettiva del ritorno di Gesù, afferma: “Poiché dunque tutte queste cose devono dissolversi, quali non dovete essere voi, per santità di condotta e per pietà” (2P 3:11).

Parafrasando le sue parole potremmo dire: perché tenervi aggrappati a quelle cose che saranno distrutte? Perché spendere il vostro tempo e le vostre energie per delle cose che durano solo un attimo, nei confronti dell’eternità?

Lavorate, spendete il vostro tempo ed energia per la “santità” e la “pietà”, cose che durano in eterno.

Vivere nell’attesa dell’amato Sposo determina un modo di comportarsi, un’etica che potremmo definire l’etica dell’attesa. Allora, tutti insieme, con tutte le nostre forze gridiamo: “Vieni, Signore Gesù! Vieni, abbiamo bisogno di te, desideriamo te più d’ogni altra cosa al mondo!”.

Quando saremo davanti a Lui potremo finalmente dire: “Ora ti vediamo, e non più come in uno specchio, ma viso a viso”. Amen.