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Tre virtù per tre apostoli

Benedetto sia il Dio e Padre del nostro Signore Gesù Cristo, che nella sua grande misericordia ci ha fatti rinascere a una speranza viva mediante la risurrezione di Gesù Cristo dai morti, per un’eredità incorruttibile, senza macchia e inalterabile. Essa è conservata in cielo per voi, che siete custoditi dalla potenza di Dio mediante la fede, per la salvezza che sta per essere rivelata negli ultimi tempi…

Perciò, dopo aver predisposto la vostra mente all’azione, state sobri, e abbiate piena speranza nella grazia che vi sarà recata al momento della rivelazione di Gesù Cristo. Come figli ubbidienti, non conformatevi alle passioni del tempo passato, quando eravate nell’ignoranza; ma come colui che vi ha chiamati è santo, anche voi siate santi in tutta la vostra condotta…

(1Pi 1:3, 4, 5, 13, 14, 15).

Fede, speranza e carità. Quando citiamo una delle tre massime virtù, citiamo anche le altre. Esse sono strettamente associate e collegate fra loro. Dove esista il loro confine individuale, dove possano essere distinte nella loro essenza, nei loro attributi è difficile dirlo con esattezza.

Vi è un elemento di speranza nella fede, vi è un elemento di fede nella speranza, fede e speranza sono messe in rilievo dalla carità e nella carità trovano la loro manifestazione.

Chi possiede una di queste virtù, in senso completo e profondo, possiede anche le altre.

Ne erano in possesso gli apostoli di Gesù; ed ognuno di loro metteva in luce quella nella quale erano più versati, quella dalla quale erano stati maggiormente influenzati fi-
no al punto di plasmare la loro personalità di credenti.

I grandi apostoli scrittori sono stati indubbiamente: Paolo, Pietro e Giovanni. Si potrebbe affermare che Paolo è l’apostolo della FEDE; Pietro quello della SPERANZA; Giovanni quello della CARITÀ. Con ciò ovviamente non si può dire che ognuno di loro non abbia indicato e praticato anche le altre due virtù!

Paolo ha espresso il cantico più sublime dell’amore, ma nel contempo non ha forse contribuito ad innalzarci anche sulle vette della speranza?

Pietro e Giovanni, dal canto loro, non hanno anch’essi indicato le vie della fede che resiste all’Avversario e vince il mondo?

Ciononostante se si volesse assegnare ad ognuno di loro una delle tre virtù come caratteristica della loro persona e del loro insegnamento non possiamo che affermare quanto detto sopra: a Paolo la Fede, a Pietro la Speranza, a Giovanni la Carità.

La speranza perfetta!

Al principio della sua lettera Pietro inneggia alla “rinascita ad una speranza viva, mediante la risurrezione di Gesù…” (v. 3), speranza di una gloriosa eredità celeste; e dopo l’inno passa alla esortazione: “Abbiate piena speranza”.

C’è chi interpreta il testo originale con “perfetta speranza”. Questa traduzione, che trovo più fedele concettualmente, è una fonte più ricca di pensieri per noi.

Chiediamoci: cos’è mai la speranza perfetta?

È una speranza completa. Non è una mezza speranza, una speranza parziale o altalenante, una speranza accompagnata da dubbi, apprensioni e paure.

È una speranza certa. Non è la dubbiosa, fragile aspirazione di chi non ha che un concetto vago delle cose cui anela; per questo si può affermare che la speranza è anche perseverante, che resiste alle contrarietà, che vince la delusione, che vede oltre i presagi più infausti, che nessuna beffa degli increduli può fare vacillare; che dura fino alla fine.

È una speranza che abbraccia con fiducia le cose sperate come fossero presenti, che vede oltre le cose presenti ed il cui orizzonte, benché lontano, è come fosse vicino a portata di mano.

Ecco cos’è la speranza perfetta.

E cosa spera

la speranza perfetta?

Una grazia. La grazia che sarà portata ai fedeli nel giorno della rivelazione di Cristo, quand’egli apparirà in gloria per giudicare i vivi e i morti. La grazia che i fedeli otterranno oltre la morte nell’al di là.

Ma dobbiamo osservare che i fedeli ne hanno già ottenuta una di qua: la grazia del perdono dei peccati e di una nuova vita per opera dello Spirito Santo. Quella che otterranno di là, sarà il coronamento di questa prima grazia; sarà la piena salvezza di cui aveva già parlato l’apostolo dicendo che

“…erano custoditi dalla potenza di Dio mediante la fede, per la salvezza che sta per essere rivelata negli ultimi tempi…” (v. 5)

Salvezza dunque completa, finale, nella glorificazione dell’anima redenta da Cristo.

Nel linguaggio “religioso” comune sono chiamate “grazia” le benedizioni terrene, e “gloria” quelle celesti; in ogni caso la gloria celeste è una grazia suprema: la grazia delle grazie.

Quelli che ancora ai giorni nostri affermano con grande compunzione e serietà che il Paradiso, vale a dire la salvezza eterna, dev’essere conquistata, commettono, purtroppo, un errore madornale perché, se la salvezza non fosse una grazia, il Paradiso sarebbe vuoto: sarebbe vuoto di redenti, poiché la redenzione è il frutto della grazia; sarebbe vuoto d’angeli perché gli angeli non sono che gli araldi della grazia; sarebbe vuoto di Cristo, poiché senza la grazia nessuna croce sarebbe stata innalzata sul Calvario; sarebbe vuoto di Dio stesso, poiché Dio Padre è tutto nella sua grazia per noi. D’altra parte è proprio perché la salvezza completa nel Paradiso è una grazia che possiamo sperare e sperare completamente, nella consapevolezza che una parte di quella grazia futura l’abbiamo già ottenuta qui!

Cingere i fianchi della mente

Com’è possibile realizzare una speranza perfetta?

Leggiamo l’esortazione di Pietro nella versione Diodati, più antica, ma particolarmente incisiva:

Perciò avendo i lombi della vostra mente cinti, stando sobri, sperate perfettamente nella grazia…”.

L’Apostolo indica qui due condizioni senza le quali non è possibile realizzare la speranza perfetta.

La prima: avere i lombi (o fianchi) della mente cinti.

Gli orientali, prima di accingersi al lavoro o di mettersi in cammino, tiravano in su la veste, generalmente ampia e ondeggiante, fermandola bene con una cintura sui fianchi. L’avere i fianchi cinti è quindi sinonimo di attività; l’avere i fianchi cinti della mente è immagine di attività mentale.

Quindi per poter sperare in modo perfetto è indispensabile concentrare attivamente lo spirito sull’oggetto della speranza.

A questo proposito dobbiamo riflettere su alcuni elementi della vita quotidiana che ci consentono di realizzare quanto intenzionalmente ci proponiamo:

1.
Tenere alti gli affetti e i sentimenti evitando le contaminazioni perché inevitabilmente le vicende della vita e i rapporti interpersonali, possono deteriorare il nostro rapporto con Dio e con il prossimo.

2.
Non “conformarsi a questo secolo”. Paolo esorta: “… siate trasformati mediante il rinnovamento della vostra mente” (Ro 12:2)! Conformarsi equivarrebbe a mandare in sofferenza se non in esaurimento la nostra speranza compromettendo anche la nostra anima.

3.
Ricordarsi con costanza delle “cose invisibili”, oggetto della speranza al fine di non lasciarci dominare da quelle visibili che inevitabilmente sono prive di speranza e grazia. Quindi tenere a freno i desideri e sottoporre a disciplina le nostre aspirazioni.

4.
Coltivare con la meditazione e il desiderio intenso la speranza perfetta, in modo che le speranze vane non abbiano mai il sopravvento. Seguire, in una parola, il consiglio apostolico: aver l’animo alle cose che sono di sopra e cercarle costantemente e attivamente (Cl 3:1, 2).

Essere sobri

La seconda condizione per poter sperare perfetta mente è: la sobrietà.

“…state sobri…” scrive l’apostolo. La sobrietà, come recita il dizionario Devoto Oli, consiste nella “moderazione nel soddisfacimento degli appetiti e delle esigenze naturali: nel cibo come nel bere, nel vestire; è scevra da ogni forma di eccesso o di superfluo, come proprietà di beni”.

La società dei consumi, oggi organizzata e regolata dal potere finanziario, costituisce il disastroso metodo politico per ottenere la cosiddetta crescita di benessere delle nazioni! Di fatto sta ottenendo diseguaglianza, povertà, tensione sociale, malessere generale.

La sobrietà è necessaria anche nell’uso delle parole, conseguentemente prive di incisività ed il più delle volte anche di verità.

Quando i corpi e le menti sono aggravate dall’eccesso dei sensi, lo spirito non può protendersi nella speranza perfetta alle realtà divine. L’apostolo lo sapeva molto bene! Conosceva il suo animo ed il suo spirito che era stato rinnovato dalla grazia del Signore, ciò lo portava ad agire di conseguenza e ad indicare con fermezza e autorità il percorso da seguire per realizzare la speranza perfetta anche come segno efficace di testimonianza.

Infine, di cosa abbiamo bisogno affinché siamo indotti a fare quanto sta in noi: nel desiderio, nella volontà, nella preghiera e nell’azione, per essere in grado di sperare perfettamente?

Un saggio scrisse che abbiamo bisogno di “felicità”. Infatti: dove non c’è speranza non c’è felicità e la gioia oppressa dalle negatività umane, si spegne. Dobbiamo dunque sperare per essere felici.

Ma più ancora che di felicità abbiamo bisogno di coraggio e energia perché il cammino è lungo, difficile. Ma la mèta si avvicina quando c’è la speranza. Speriamo dunque e acquisteremo forza e determinazione.

Speranza cristiana! Possiamo dire che è la prima grazia che illumina e abbellisce il nostro cammino e ci permette di aspettare, con desiderio acceso e con fiducia rinnovata, la grazia più completa e la più completa gloria di Dio.