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La piena umanità di Gesù

 

Inserire il Figlio di Dio in una rassegna di cui fanno parte altri personaggi può sembrare quasi irriverente, perché il suo esempio, a differenza di qualsiasi altra persona, è il solo perfetto. Tuttavia, vorrei esaminare quei pochi riferimenti che troviamo nei Vangeli a proposito di Gesù ed il lavoro soprattutto per constatare quanto egli si sia avvicinato a noi peccatori e quanto possiamo continuare a sentirlo vicino a noi anche in questo particolare ambito di vita.

Infatti, oltre a riconoscere che Gesù sia stato “più che un falegname”, come è stato detto di lui, si può ben dire che egli sia stato anche un falegname, il che ha qualcosa da comunicarci.

 

I Vangeli sono piuttosto scarni di informazioni sulla vita privata e familiare di Gesù prima del suo ministero: a parte le notizie riportate in Matteo e in Luca sulla sua nascita e sul fatto avvenuto quando aveva dodici anni, in occasione della Pasqua, a Gerusalemme (Lu 2:41-52), non c’è altro.

Marco e Giovanni iniziano il loro resoconto direttamente con i fatti relativi al ministero di Gesù, senza il minimo accenno ai trent’anni precedenti. È evidente che questo silenzio sia indi_cativo dell’attenzione che dobbiamo prestare a quanto ci viene rivelato, senza speculare o supporre su quello che invece non ci è narrato.

In sintesi, Luca scrive che “Gesù, quando cominciò a insegnare, aveva circa trent’anni ed era figlio, come si credeva, di Giuseppe…” (Lu 3:23).

 

A proposito di Giuseppe, si deve registrare altrettanto silenzio. Prima però che il suo nome scompaia definitivamente dal testo biblico, abbiamo modo di scoprire qual era il suo mestiere quando Gesù viene a Nazaret, la sua città e insegna nella sinagoga, generando non poco stupore tra la gente:

 

“«Da dove gli vengono tanta sapienza e queste opere potenti? Non è questi il figlio del falegname? Sua madre non si chiama Maria e i suoi fratelli, Giacomo, Giuseppe, Simone e Giuda? E le sue sorelle non sono tutte tra di noi? Da dove gli vengono tutte queste cose?» E si scandalizzavano di lui” (Mt 13:54-57).

 

Dunque, era difficile capire in che modo da “un uomo normale” come Gesù, le cui origini erano conosciute, il padre era un falegname e gli altri familiari erano ben integrati a Nazaret, potessero venire parole ed opere così straordinarie.

Il brano parallelo in Marco riporta però un dettaglio diverso, dichiarato dai compaesani di Gesù:

“Non è questi il falegname, il figlio di Maria, e il fratello di Giacomo e di Iose, di Giuda e di Simone?”.

Non solo suo padre, ma Gesù stesso era conosciuto come falegname. Non avendo successivamente alcuna notizia di Giuseppe ma solo qualche riferimento a Maria (Gv 19:26-27; At 1:14), viene da pensare che Giuseppe possa essere morto tra i dodici ed i trent’anni di Gesù. Quel che è chiaro è che Gesù è cresciuto sottomesso ai genitori (Lu 2:51), dedicandosi alla stessa attività di falegnameria già intrapresa da Giuseppe.

 

Quindi, Gesù lavorava, e questo attesta ancora di più la sua umanità, fatta non soltanto di un corpo con il quale vivere nel tempo, ma di una vita assolutamente “normale” anche quanto agli impegni quotidiani.

Gesù “spogliò se stesso, prendendo forma di servo, divenendo simile agli uomini” (Fl 2:7); l’aspetto “lavoro” ci aiuta a comprendere meglio il senso del suo essere simile a noi.

 

Egli non peccò mai ma lavorò nel contesto di un mondo che subisce, anche nel lavoro, le conseguenze del peccato.

Gesù conobbe la fatica, il sudore, i successi e le delusioni della vita lavorativa. Le sue mani avranno tagliato, piallato, assemblato… A quel tempo con il legno si costruivano tavoli, otri, gioghi, carri, barche… e la sua vita terminò a contatto con una costruzione in legno, quando Gesù “ha portato i nostri peccati nel suo corpo, sul legno della croce (1P 2:24).

 

Quando il Padre celeste espresse la sua approvazione sul Figlio al momento del suo battesimo, si compiaceva dunque di un uomo che, anche quando lavorava, lo aveva glorificato (Mt 3:17; Mr 1:11; Lu 3:22).

Non dobbiamo mai pensare al nostro Salvatore come a qualcuno distante da noi, perché Gesù sa esserci accanto come era prossimo alle persone durante il suo ministero.

Non a caso quando Gesù insegnava, spesso traeva spunto dalla vita lavorativa, pensiamo alle sue citazioni di seminatori e mietitori, di pastori, vignaioli, costruttori, amministratori, servi… ed il fatto che egli avesse un’esperienza concreta di lavoratore lo poteva rendere particolarmente credibile e misericordioso. Senza identificazione con gli altri, infatti, non si può arrivare al loro cuore.

 

La lettera agli Ebrei ci presenta Gesù come nostro Sommo Sacerdote, ed uno degli aspetti che rileva è proprio quello della sua piena umanità, grazie alla quale egli è stato ed è idoneo a prendersi perfettamente cura di noi:

 

  “Infatti, poiché egli stesso ha sofferto la tentazione, può venire in aiuto di quelli che sono tentati” (Eb 2:18).

 

  “Così può avere compassione verso gli ignoranti e gli erranti, perché anch’egli è soggetto a debolezza” (Eb 5:2).

 

•  “Infatti non abbiamo un sommo sacerdote che non possa simpatizzare con noi nelle nostre debolezze, poiché egli è stato tentato come noi in ogni cosa, senza commettere peccato. Accostiamoci dunque con piena fiducia al trono della grazia, per ottenere misericordia e trovar grazia ed essere soccorsi al momento opportuno” (Eb 4:15-16).

 

Tutte le volte in cui sentiamo il peso del nostro lavoro, andiamo a Gesù, perché potremo trovare in lui chi può comprenderci e sorreggerci essendo passato prima di noi, in modo vittorioso, per questa strada.

 

 

I discepoli: da lavoratori

“pescatori di uomini”

 

Molte volte, pensando ai discepoli di Gesù, ci viene da sorridere. Ci appaiono come uomini che dimostrano di non capire il Maestro, ai loro occhi imprevedibile e irrazionale. Tuttavia il nostro giudizio su di loro si allenta molto se valutiamo la decisione di ubbidienza che presero verso il Signore quando furono chiamati da lui.

Leggiamo come tutto ebbe inizio per sei di loro:

•  “Mentre camminava lungo il mare della Galilea, Gesù vide due fratelli, Simone detto Pietro, e Andrea suo fratello, i quali gettavano la rete in mare, perché erano pescatori. E disse loro: «Venite dietro a me e vi farò pescatori di uomini». Ed essi, lasciate subito le reti, lo seguirono. Passato oltre, vide altri due fratelli, Giacomo di Zebedeo e Giovanni, suo fratello, i quali nella barca con Zebedeo, loro padre, rassettavano le reti; e li chiamò. Essi, lasciando subito la barca e il padre loro, lo seguirono” (Mt 4:18-22).

 

•  “…ed essi, lasciato Zebedeo loro padre nella barca con gli operai, se ne andarono dietro a lui” (Mr 1:20).

 

•  “e così pure Giacomo e Giovanni, figli di Zebedeo, che erano soci di Simone” (Lu 5:10).

 

•  “Il giorno seguente, Gesù volle partire per la Galilea; trovò Filippo, e gli disse: «Seguimi»” (Gv 1:43).

 

• “Poi Gesù, partito di là, passando, vide un uomo chiamato Matteo, che sedeva al banco delle imposte e gli disse: «Seguimi». Ed egli, alzatosi, lo seguì” (Mt 9:9).

 

Chi di noi sarebbe pronto a fare quello che fecero quegli uomini?

Seguire qualcuno di cui hai appena iniziato a sentir parlare (Gesù aveva da poco iniziato a predicare), che ti dice di andare dietro a lui!

Verrebbe immediatamente da chiedergli:

“Ma dove andiamo? E per quanto tempo?”.

Quegli uomini invece non pongono domande ma si fidano. Per loro Gesù è più importante di tutto il resto. E Gesù li chiama nel bel mezzo della loro attività.

 

Quattro di loro sono sicuramente dei pescatori, si tratta di Pietro, insieme a suo fratello Andrea ed i soci di Pietro, cioè Giacomo e Giovanni che lavorano con il padre Zebedeo. Immagino la scena con gli occhi di Zebedeo: improvvisamente i suoi figli lo lasciano nella barca con gli operai e seguono Gesù… gli sarà crollato il mondo addosso! Di solito un padre vorrebbe vedere i propri figli portare avanti la sua attività, ed i suoi invece spariscono dietro un predicatore… peraltro con i soci in affari!

Non conosciamo il mestiere di Filippo, ma anche lui non esitò a seguire Gesù.

Matteo invece era un esattore delle tasse per conto dei Romani, un pubblicano, categoria molto antipatica agli Ebrei perché oltre a prelevare il loro denaro a favore dell’oppressore straniero, spesso lo facevano in modo disonesto. Ma anche lui, senza troppe domande, si alza e segue Gesù.

 

 

Il lavoro è tutto nella vita?!?

 

Un primo aspetto importante, su cui riflettere, è che i discepoli scelsero di seguire Gesù rinunciando al loro lavoro.

Nel momento in cui Pietro, Andrea, Giacomo e Giovanni lasciarono le loro barche per seguire Gesù, andavano incontro all’ignoto. Essi mettevano Gesù al primo posto della loro vita in modo molto concreto.

 

Ci sono persone per le quali il lavoro è tutto. La loro vita ruota intorno all’avere dei successi professionali, al sentirsi gratificati o in altri casi alla semplice passione per quello che fanno. Non lascerebbero la loro attività per niente al mondo. Sono pronti a trascurare famiglia e amici senza problemi, raccogliendone talvolta amare conseguenze, ma senza rinunciare al loro idolo di nome “lavoro”.

 

Chiediamoci in modo molto diretto: “Quale posto ha il lavoro nella nostra vita?”.

Se Dio viene prima rispetto al nostro lavoro, lo si vedrà non soltanto qualora egli ci chiamasse ad un’opera missionaria che necessita di lasciarlo, ma anche quando rinunceremo a posizioni prestigiose pur di servire meglio, oppure quando rinunceremo a gratificanti ma pericolose opportunità pur di non peccare contro di lui.

Tempo più avanti Pietro volle chiedere al Signore se davvero ne era valsa la pena, viste le grandi rinunce che avevano fatto, ed il Signore lo rassicurò:

 

“«Ecco, noi abbiamo lasciato ogni cosa e ti abbiamo seguito; che ne avremo dunque?» E Gesù disse loro: «Io vi dico in verità che nella nuova creazione, quando il Figlio dell’uomo sarà seduto sul trono della sua gloria, anche voi, che mi avete seguito, sarete seduti su dodici troni a giudicare le dodici tribù d’Israele. E chiunque avrà lasciato case, o fratelli, o sorelle, o padre, o madre, o figli, o campi a causa del mio nome, ne riceverà cento volte tanto, ed erediterà la vita eterna»” (Mt 19:27-29).

 

Il lasciare dei “campi” a causa del nome di Gesù, rappresenta proprio la rinuncia a dei profitti lavorativi, perdita di cui il Signore saprà tenere conto donando delle ricompense paragonabili a cento volte tanto la rinuncia. Perciò impariamo ad essere anche noi dei discepoli veri, che onorano le condizioni del Maestro.

 

 

Chiunque può seguire e servire Gesù

 

Un altro aspetto che emerge dall’esperienza dei discepoli è che chiunque può seguire e servire Gesù, qualunque sia la sua esperienza di vita e di professione.

Abbiamo visto che il Signore ha chiamato dei semplici pescatori a seguirlo. Anche più tardi gli ex-soci in affari Pietro e Giovanni verranno riconosciuti come “popolani senza istruzione” 
(At 4:13).

Gesù poteva avere come seguaci e come predicatori del suo messaggio degli uomini che né prima di conoscerlo, né in seguito avevano fatto degli studi, come non li aveva fatti lui (Gv 7:15).

 

Il Signore può benissimo servirsi di uomini e donne con una occupazione umile per svolgere servizi importanti. Così, nella Chiesa possono esserci situazioni sorprendenti: operai che insegnano e dirigenti che svolgono servizi pratici, perché i doni spirituali non dipendono dalla nostra professionalità, “ma tutte queste cose le opera quell’unico e medesimo Spirito, distribuendo i doni a ciascuno in particolare come vuole” (1Co 12:11).

 

Ovviamente per il Signore non è un problema neppure il prestigio e la cultura di chi occupa posizioni sociali più elevate. Matteo aveva probabilmente un’istruzione maggiore degli altri, ma il Signore ha chiamato anche lui.

 

In fondo, chiunque si mette a seguire Gesù sul serio, comprenderà che il suo futuro sarà determinato dalle direttive che riceverà dal Maestro, e non dal proprio retroterra culturale più o meno prestigioso.

 

 

L’attività più prestigiosa!

 

Un terzo aspetto riguarda l’attività che avrebbe impegnato i discepoli dalla risposta alla chiamata in poi, cioè essere fatti da Gesù dei “pescatori di uomini”.

Gesù indica ai discepoli che cosa vuole fare con loro, utilizzando proprio l’idea della pesca, cioè prendendo spunto dal lavoro che conoscevano meglio. Ma la grande differenza stava nei “pesci” da raccogliere: ora c’erano di mezzo persone in carne ed ossa.

 

Che cosa potevano capire i discepoli attraverso quell’illustrazione?

Anzitutto, che seguire Gesù non era una passeggiata e che comprendeva anche azione oltre all’ascolto.

 

Poi, che la loro nuova occupazione sarebbe stata il frutto dello stare con Gesù (Mr 3:14-15) e non di esperienze proprie, perché era lui solo a fare di loro un nuovo genere di pescatori.

Potevano altresì capire che la loro missione riguardava le persone, essi dovevano “conquistarle” mediante le “reti” dell’annuncio del Vangelo.

 

E proprio le esigenze e le modalità della pesca potevano suggerire a loro, e a noi oggi, svariate riflessioni sul servizio e l’evangelizzazione.

La pesca è faticosa, richiede pazienza, si deve navigare talvolta in acque agitate, trascorrere notti insonni; occorre collaborare con altri pescatori; si può conoscere la delusione delle reti vuote; si deve aver cura delle reti e della barca.

Così è del servizio per Cristo: richiede impegno e perseveranza, collaborazione con gli altri “pescatori di uomini”, cura per le anime.

 

Dopo la risurrezione di Gesù, Pietro e altri discepoli tornarono a pescare, non sappiamo se per la necessità del momento o pensando di tornare al loro vecchio mestiere (Gv 21:2-3).

Fu l’occasione in cui, dopo una notte senza trovare pesci, Gesù si presentò loro indicando dove pescare, ed allora lo riconobbero. Poi si rivolse in modo personale a Pietro.

Dopo l’ascensione, lo Spirito Santo venne sui discepoli e da allora essi furono adeguatamente equipaggiati per diventare “pescatori di uomini”.

Da quel che sappiamo, essi non tornarono più al loro mestiere di prima.

 

Il Signore ha un programma per ciascuno di noi, con il nostro lavoro o con qualcos’altro.

Cosa risponderemo alla sua chiamata a seguirlo? Ci sarà Gesù prima delle nostre reti e della nostra barca?