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Il giorno del matrimonio, il giorno della laurea, la nascita di un figlio, il giorno della conversione… Queste sono alcune tra le cose che potrebbero venire in mente pensando ai giorni che ci hanno dato più gioia nella vita.

Qualcuno, un po’ più materialista, potrebbe pensare ad un momento particolare di gioia nell’acquisto di una casa o in una promozione sul lavoro…

Comunque i momenti più gioiosi sono quelli in cui la vita ci ha regalato qualcosa di bello, di cui conserviamo un buon ricordo.

 

Leggendo l’epistola di Paolo ai Filippesi, conosciuta proprio come “l’epistola della gioia ci si trova davanti a tanti motivi di gioia dell’apostolo, ma ci accorgiamo che i motivi di Paolo sono completamente diversi dai nostri, non incentrati sulla gratificazione personale ma legati alla testimonianza, al Vangelo, al regno di Dio, agli interessi di Cristo.

Ne ho selezionati sette che esamineremo insieme nelle prossime pagine.

 

 

La gioia della COMUNIONE

 

“Io ringrazio il mio Dio di tutto il ricordo che ho di voi; e sempre, in ogni mia preghiera per tutti voi, prego con gioia a motivo della vostra partecipazione al vangelo, dal primo giorno fino a ora” (Fl 1:3-5).

L’apostolo Paolo pregava con gioia per i Filippesi. Egli provava la gioia della comunione, la gioia di sapere che c’erano altri che condividevano la sua fede.

Egli era in carcere ma, invece di essere ripiegato su sé stesso e sui propri problemi, gioiva nel pensare ai suoi fratelli e alle sue sorelle di Filippi e pregava per loro, ringraziando il Signore per la loro partecipazione al Vangelo.

 

La comunione fraterna è per noi un motivo di gioia? Quante volte ci siamo ritrovati a ringraziare Dio con gioia per i fratelli che ci ha messo vicino? Talvolta siamo piuttosto insensibili a chi ci sta vicino, siamo così concentrati su noi stessi da non riuscire più a cogliere la bellezza di avere vicino dei fratelli e delle sorelle. Anzi, a volte ci ricordiamo più facilmente dei torti che gli altri ci hanno fatto e dei loro difetti; piuttosto che ringraziare il Signore per i nostri fratelli, chissà quante volte ci siamo lamentati di loro! In queste poche parole Paolo ci insegna invece la necessità di imparare a goderci di più i nostri fratelli e le nostre sorelle, coloro che Dio ci ha messo accanto, ringraziando con gioia il Signore per loro.

 

 

La gioia dell’ANNUNCIO DEL VANGELO

 

“Che importa? Comunque sia, con ipocrisia o con sincerità, Cristo è annunziato; di questo mi rallegro, e mi rallegrerò ancora“ (Fl 1:18).

Mentre Paolo era in carcere, molti fratelli si stavano dando da fare per annunciare il Vangelo, incoraggiati dal modo in cui lui stava affrontando le catene (Fl 1:14).

Essi si stavano mostrando veri collaboratori che cercavano di mostrare amore verso Paolo, portando avanti il lavoro che egli aveva cominciato. Ma c’erano altri che predicavano per invidia e rivalità nei confronti dell’apostolo (Fl 1:15). Non conosciamo i dettagli ma è logico pensare che essi fossero invidiosi del “successo” di Paolo e approfittavano delle sue catene per accrescere la propria fama nella chiesa e attirare più discepoli verso di loro.

 

La reazione di Paolo fu sorprendente. Sembra incredibile ma egli reagì con gioia anche di fronte a questa situazione. Molti di noi, al suo posto, avrebbero pensato: “Non vedo l’ora di essere libero per andare a dirgliene quattro!”. Ma Paolo gioiva per l’annuncio del Vangelo anche quando questo non era fatto con le giuste motivazioni. Egli si rallegrava perché Cristo era annunciato.

Abbiamo la medesima capacità di Paolo di rallegrarci per l’annuncio del Vangelo anche quando questo viene fatto da persone di cui non condividiamo appieno le motivazioni?

Abbiamo il coraggio di lasciare a Dio il giudizio e riusciamo a gioire per il puro e semplice fatto che il nostro Signore Gesù Cristo viene proclamato?

 

 

La gioia dell’UNITÀ

 

“… rendete perfetta la mia gioia, avendo un medesimo pensare, un medesimo amore, essendo di un animo solo e di un unico sentimento. Non fate nulla per spirito di parte o per vanagloria, ma ciascuno, con umiltà, stimi gli altri superiori a se stesso, cercando ciascuno non il proprio interesse, ma anche quello degli altri” (Fl 2:2-4).

Quando ognuno è concentrato su obiettivi personali, quando ognuno opera per spirito di parte cercando di affermare le proprie idee e cercando il proprio interesse, la vita comunitaria ne soffre.

La chiesa funziona bene quando siamo tutti coesi nel raggiungimento di un obiettivo comune, quando ci preoccupiamo per la testimonianza e per la gloria di Dio, piuttosto che per la nostra gloria.

 

Paolo sapeva che la maggioranza delle persone tendeva a cercare i propri interessi invece di avere sinceramente a cuore l’opera di Dio (Fi 2:20-21).

Per questo, la sua più grande gioia sarebbe stata sentire che essi si volevano bene e lavoravano uniti con il medesimo intento di onorare Cristo. In quel modo essi avrebbero reso la sua gioia perfetta, completa.

È l’unità tra di noi, nella chiesa locale, qualcosa che perseguiamo e che ci dona gioia?

È qualcosa per cui preghiamo costantemente?

 

 

La gioia del SERVIZIO

 

“Cristo sarà glorificato nel mio corpo, sia con la vita, sia con la morte. Infatti per me il vivere è Cristo e il morire guadagno. Ma se il vivere nella carne porta frutto all’opera mia, non saprei che cosa preferire. Sono stretto da due lati: da una parte ho il desiderio di partire e di essere con Cristo, perché è molto meglio; ma, dall’altra, il mio rimanere nel corpo è più necessario per voi” 
(Fl 1:20-24).

 

Ma se anche vengo offerto in libazione sul sacrificio e sul servizio della vostra fede, ne gioisco e me ne rallegro con tutti voi; e nello stesso modo gioitene anche voi e rallegratevene con me” 
(Fl 2:17-18).

 

Non è facile associare la morte alla gioia.

Eppure l’apostolo Paolo, con queste parole, riuscì a farlo.

Egli si trovava in carcere e non sapeva se lo avrebbero liberato o condannato.

Ma, in entrambi i casi, vita o morte, lui avrebbe onorato Cristo.

Paolo vedeva la vita come un’opportunità per continuare a servire Cristo, essendo utile agli altri, in particolare ai Filippesi a cui stava scrivendo, ma si rendeva conto che la morte lo avrebbe portato ad entrare nell’eternità, alla presenza di Dio, senza più problemi, senza più persecuzioni, senza più lacrime.

In questo senso egli vedeva la morte come un guadagno.

L’unica cosa che interessava veramente a Paolo era la salute spirituale di coloro che si erano convertiti grazie al suo servizio.

Nel caso in cui essi avessero continuato ad essere “irreprensibili e integri”, in modo da rendere buona testimonianza nel mondo, come una luce che splende nelle tenebre, Paolo sarebbe andato incontro alla morte con serenità, con la certezza di non aver “corso invano, né invano faticato” (Fl 2:15-16).

 

Paragonando i Filippesi ad un’offerta gradita a Dio, egli sarebbe stato felice di essere come una libazione versata su tale offerta.

In sostanza, egli si rallegrava anche pensando alla sua eventuale morte perché il suo servizio aveva centrato l’obiettivo portando frutto tra i Filippesi. Egli poteva morire in pace sapendo di aver compiuto la missione che Dio gli aveva affidata.

Guardando al nostro servizio e alla nostra vita, mi chiedo se possiamo guardare nello stesso modo al giorno della nostra morte.

Quando il Signore ci chiamerà ci troverà pronti ad incontrarlo?

Ci avvicineremo a quel momento sereni, gioiosi, sicuri di aver compiuto la nostra missione, o avremo la sensazione di aver sprecato la nostra vita?

 

 

La gioia della SALVEZZA

 

“Del resto, fratelli miei, rallegratevi nel Signore. (…) ciò che per me era un guadagno, l’ho considerato come un danno, a causa di Cristo. Anzi, a dire il vero, ritengo che ogni cosa sia un danno di fronte all’eccellenza della conoscenza di Cristo Gesù, mio Signore, per il quale ho rinunciato a tutto; io considero queste cose come tanta spazzatura al fine di guadagnare Cristo…” (Fl 3:1, 7-8).

 

Diverse volte in questa lettera Paolo invita i suoi lettori a rallegrarsi nel Signore. E lui era il primo a farlo.

Paolo poteva avere molti motivi di vanto 
(Fl 3:4.6) ma ciò che poteva costituire un vanto impallidiva di fronte alla conoscenza profonda del suo Salvatore Gesù il Messia.

Le cose che prima gli sembravano importanti, le cose che potevano in qualche modo dargli gioia, erano diventate come spazzatura, rifiuti, scarti.

Queste parole di Paolo ci offrono un grande spunto di riflessione.

Possiamo anche noi dire che tutte le cose che normalmente ci danno soddisfazione, diventano insignificanti se paragonate alla conoscenza del nostro Signore Gesù?

Quando pensiamo alla salvezza, quando pensiamo a ciò che Gesù ha fatto per noi offrendo sé stesso sulla croce per noi, il nostro cuore prova una gioia indescrivibile?

È questa in assoluto la cosa che più ci dona gioia al mondo?

 

Nessuno ci potrà mai togliere la gioia della salvezza. Ci avete mai pensato?

In qualunque circostanza dovessimo trovarci, qualunque pena dovessimo affrontare, la gioia della salvezza in Cristo ci accompagnerà sempre e ci sosterrà sempre.

Tutto il resto dovrebbe davvero passare in secondo piano.

 

 

La gioia della PROTEZIONE DI DIO

 

Rallegratevi sempre nel Signore. Ripeto: rallegratevi. La vostra mansuetudine sia nota a tutti gli uomini. Il Signore è vicino. Non angustiatevi di nulla, ma in ogni cosa fate conoscere le vostre richieste a Dio in preghiere e suppliche, accompagnate da ringraziamenti. E la pace di Dio, che supera ogni intelligenza, custodirà i vostri cuori e i vostri pensieri in Cristo Gesù” 
(Fl 4:14-17).

L’ansia è uno dei mali peggiori che possa affliggere l’animo umano. Quando siamo preoccupati vediamo tutto nero, tendiamo a non vedere una soluzione ai nostri problemi, ci blocchiamo e cadiamo nello sconforto.

In questi versi Paolo ci rivela come ci si possa rallegrare anche quando le cose vanno male, non lasciando che la preoccupazione si impossessi dei nostri pensieri.

Il segreto consiste nel lasciare che sia Dio ad occuparsi dei nostri problemi.

 

Paolo era in carcere, non si può dire che non avesse problemi, eppure non aveva alcuna intenzione di lasciarsi andare. Egli confidava e si rallegrava nel Signore e voleva che anche i Filippesi lo facessero.

“Non angustiatevi di nulla!”. È difficile mettere in pratica questo invito vero? Eppure il Signore vuole che impariamo a presentare a lui ogni cosa. Vuole che mandiamo a lui il nostro grido di aiuto con fiducia, ringraziandolo in anticipo per ciò che farà, lasciando che sia lui a toglierci l’affanno, a liberarci dalle nostre paure.

 

Egli vuole donarci la sua pace. Vuole custodire i nostri pensieri con la sua pace. Vuole toglierci la preoccupazione di dover trovare una soluzione con le nostre forze e vuole che ci riposiamo in lui, godendoci la pace che lui solo può darci, una pace che il mondo non può capire, una pace che supera ogni intelligenza.

È bello sapere che Dio si prende cura di noi. Sappiamo rallegrarci nel Signore anche nelle difficoltà? Ogni cosa è nelle mani di colui che ci ha promesso: “Io non ti lascerò e non ti abbandonerò” (Eb 13:5).

Sappiamo provare gioia nel pensare alla sua protezione?

 

 

La gioia del FRUTTO

 

Ho avuto una grande gioia nel Signore, perché finalmente avete rinnovato le vostre cure per me” (Fl 4:20).

Quest’ultimo motivo di gioia dell’apostolo Paolo a prima vista sembra basato sulla soddisfazione di aver ricevuto qualcosa dai Filippesi. In un certo senso, sembra un motivo di gioia molto più “normale”.

Ma l’apostolo Paolo non voleva essere frainteso. Non voleva che i Filippesi pensassero che lui si trovasse nel bisogno e che si aspettasse quindi qualcosa da loro. Egli aveva infatti imparato ad essere contento dello stato in cui si trovava, aveva imparato a non dipendere dalle circostanze e ad affrontare ogni cosa a testa alta con l’aiuto di “colui che lo fortificava” (Fl 4:11-13).

Quindi perché era gioioso?

Egli gioiva perché i Filippesi, rinnovando le loro cure per lui, stavano portando frutto:

“Non lo dico perché io ricerchi i doni; ricerco piuttosto il frutto che abbondi a vostro conto” 
(Fl 4:17).

 

Egli gioiva perché quei fratelli e quelle sorelle, a cui aveva predicato il Vangelo, stavano mostrando il loro amore attraverso le opere che facevano, dimostrando la genuinità della loro fede e la loro crescita. Cosa avrebbe potuto dare più gioia a Paolo di quella che derivava dal vedere le loro opere che erano “un profumo di odore soave, un sacrificio accetto e gradito a Dio” (Fl 4:18)?

Anche in questo caso Paolo dimostra di provare una gioia altruistica, una gioia che affonda le sue radici nell’opera del Signore. I beni che aveva ricevuto non erano tanto importanti quanto il gesto d’amore dei Filippesi che mostrava la loro crescita spirituale.

E noi riusciamo a provare gioia nel vedere altri credenti che crescono e portano frutto? Se abbiamo amore per l’opera del Signore, non dovrebbe esserci gioia più grande di vedere anime che non solo si convertono ma abbondano nell’opera del Signore.

 

 

La nostra gioia

 

Esaminando questi sette motivi di gioia di Paolo ci rendiamo conto che i motivi per cui a volte proviamo gioia sono motivi egoistici. La gioia di Paolo ruotava invece completamente intorno all’opera di Dio.

Invece di essere concentrato sulla sua prigionia, nelle sue preghiere egli gioiva per la fede dei Filippesi.

Piuttosto che covare rancore verso coloro che predicavano con invidia e rivalità, egli gioiva per l’annuncio del Vangelo.

Niente gli avrebbe dato più gioia di sapere che i Filippesi erano uniti e di un unico sentimento.

Egli vedeva la vita e la morte in funzione dell’opera di Dio. Egli avrebbe onorato Dio sia con la vita sia con la morte. E se ne rallegrava.

Tutte le cose che potevano dargli soddisfazione in questo mondo passavano in secondo piano quando egli pensava alla gioia di aver conosciuto Cristo.

Nelle difficoltà egli sapeva rallegrarsi nel Signore e portare ogni cosa a lui in preghiera perché Dio si sarebbe occupato di lui in ogni circostanza.

Egli gioiva vedendo i Filippesi che crescevano nella fede e portavano frutto.

 

Sono tanti i motivi di gioia nella vita cristiana ma dobbiamo saperla cercare nelle cose che contano.

Se gli unici motivi di gioia che proviamo sono gli stessi che caratterizzano la vita di una persona che non conosce Dio, allora non abbiamo ancora capito davvero cosa significhi “Rallegratevi nel Signore!”.