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Introduzione

 

Il brano di Efesini 5:1-14 contiene alcune delle parole più dure di tutta la lettera, ma anche alcune delle definizioni più chiare riguardanti ciò che significa essere annoverati fra le persone santificate dallo Spirito Santo ed e introdotti nel regno di Dio. Basta pensare della sfera in cui sono introdotti i santi per ricordare che Gesù è il Re dei re e che, proprio per questo motivo, ha riportato una vittoria definitiva sul diavolo, sul peccato e quindi anche sulla morte (“il salario del peccato”).

 

Il brano afferma che discorsi che cercano di stabilire una convivenza fra fornicazione e avarizia da una parte e l’appartenenza al “regno di Cristo e di Dio” sono “vani ragionamenti”. Si illudono coloro che pensano di potersi assicurare il cielo con una semplice adesione intellettuale al vangelo o la ripetizione di una semplice formula di accettazione dello stesso, senza essersi ravveduti del proprio peccato e avere riconosciuto Gesù come Signore.

Secondo questo brano chi non manifesta una trasformazione di vita vive ancora nel regno delle tenebre, ovvero nello stato di perdizione.

 

Sempre questo brano ci aiuta a comprendere ciò che significa essere “luce” in un mondo di tenebre. Tra le altre cose, significa prendere posizione apertamente contro le tenebre spirituali e morali, denunciando “le opere infruttuose delle tenebre”, anche perché l’ingannatore fa di tutto per vestire le opere delle tenebre in abiti attraenti. Lo scopo di tali denunce è di manifestarle tali opere per quello che sono in realtà.

 

 

 Come “figli da lui amati”

 

“Siate dunque imitatori di Dio, perché siete figli da lui amati; e camminate nell’amore come anche Cristo vi ha amati e ha dato sé stesso per noi in offerta e sacrificio a Dio quale profumo di odore soave” (5:1-2).

 

Quando un figlio si sente amato dai propri genitori, gli viene naturale valorizzare le proprie capacità e fare le cose che piacciono alla coppia che l’ha generato. Non dimenticherò mai lo shock che mi causò sentire la risposta di un tale, di nome Jim Maxwell, alla mia domanda sul perché lui non volesse partecipare al campionato di atletica leggera organizzata dalla nostra scuola media superiore.

Ero convinto che in alcune gare questo compagno di classe sarebbe andato più forte di me. Jim mi rispose con viso arcigno: “Se tu avessi genitori come i miei, che non si interessano di te, neanche tu avresti voglia di competere!”.

 

Che tristezza, essere figlio di genitori che non si intessano della vita dei propri figli! Invece, uno dei più bei momenti della mia esperienza di padre fu quando mia figlia Esther, impegnata in una gara di nuoto, mi intravide dietro il traguardo di arrivo di una gara di nuoto e immediatamente accelerò, guardando sempre verso di me, fino a vincere la gara! Non l’avrebbe vinta senza l’incoraggiamento del padre da cui si sentiva amata.

 

Chi si sente amato da Dio, vorrà piacergli. Le benedizioni spirituali di cui parla Efesini danno ampia prova dell’amore di Dio nei nostri confronti. Basta rileggere 2:4-7 per convincersene. Ma, come il lettore della lettera sa, ci sono molti altri motivi legati alla sua misericordia con cui dà prova del suo amore e interessamento nei nostri confronti. La chiamata a imitare Dio non riguarda le sue grandi opere grandiose come quella della creazione o il compimento di grandi prodigi. Lo imitiamo camminando “nell’amore, come anche Cristo vi ha amati e ha dato sé stesso per noi”.

Noi imiteremo davvero il nostro Padre celeste soltanto quando la nostra vita manifesterà il suo amore in modi pratici verso coloro che vivono intorno a noi.

 

 

Ciò che i santi non fanno

 

“Come si addice ai santi, né fornicazione, né impurità, né avarizia, sia neppure nominata tra di voi; né oscenità, né parole sciocche o volgari, che sono cose sconvenienti; ma piuttosto abbondi il ringraziamento. Perché, sappiatelo bene, nessun fornicatore o impuro o avaro (che è un idolatra) ha eredità nel regno di Cristo e di Dio. Nessuno vi seduca con vani ragionamenti; infatti è per queste cose che l’ira di Dio viene sugli uomini ribelli” (5:3-6).

 

I santi, che hanno sperimentato l’amore di Dio in Cristo fanno delle buone opere che sono state preparate per loro (2:8-10).

D’altra parte ci sono delle cose che non s’addicono ai santi, anche perché chi le pratica non “ha eredità nel regno di Cristo e di Dio”.

Era importante per i “santi” dell’Asia Minore, avere un breve elenco di queste pratiche che caratterizzano gli uomini ribelli e a motivo delle quali attirano su di sé l’ira di Dio. Anche perché gli uomini ribelli non si accontentano di praticare l’iniquità ma studiano come sedurre altri a fare altrettanto.

Forse, riuscendo a indurre altri ad agire come loro, si sentono meno malvagi. Talvolta giova anche ai loro interessi commerciali cercare di indurre i santi a fare cose peccaminose, come quando gli spacciatori di droghe offrono delle dosi gratis davanti alle scuole.

 

Il v. 3 insegna che i rapporti sessuali fuori del matrimonio (“fornicazione”, gr. porneia), per qualsiasi motivo, sono contrari alla volontà del Creatore. Chi è stato appartato a Dio, non vorrà mischiarsi in simili pratiche sia perché disonorano il Creatore sia perché sono causa di molteplici sofferenze.

 

Ancora, chi è erede delle benedizioni spirituali “in Cristo” non cercherà di tenere per sé o incrementare le proprie ricchezze materiali (“avarizia”), anche perché un tale attaccamento è una forma di idolatria. Piuttosto imparerà a ringraziare Dio per ogni cosa che gli è stata concessa di possedere, sia di natura spirituale che di natura materiale.

 

Paolo torna qui sull’uso della lingua, sempre sintomatico dello stato del cuore (Mt 12:34). Infatti con la lingua si può simulare la fornicazione e altri atti impuri scherzando a riguardo con la parola. Le parole oscene, sciocche e volgari sono sintomatiche dello stato del cuore. Fra i santi tali cose non devono essere neppure nominate! Hanno altro di cui parlare, ad esempio di progetti che danno espressione alle “buone opere, che Dio ha precedentemente preparate” (2:10), oltre a lodare Dio e ringraziarlo per ogni cosa (5:19-20).

 

L’imperativo: “sappiatelo bene” fa comprendere che non ci può essere rilassatezza in questo campo. Il brano non dice che chi fa queste perderà la salvezza; dice che tali pratiche e modi di parlare sono evidenza che chi le fa non ha posto nel regno di Dio, cioè che la salvezza in realtà non l’ha mai ricevuta.

 

 

L’essere “figli di luce”

 

“Non siate dunque loro compagni; perché in passato eravate tenebre, ma ora siete luce nel Signore. Comportatevi come figli di luce – poiché il frutto della luce consiste in tutto ciò che è bontà, giustizia e verità – esaminando che cosa sia gradito al Signore. Non partecipate alle opere infruttuose delle tenebre; piuttosto denunciatele; perché è vergognoso perfino il parlare delle cose che costoro fanno di nascosto. Ma tutte le cose, quando sono denunciate dalla luce, diventano manifeste; poiché tutto ciò che è manifesto, è luce. Per questo è detto: «Risvegliati, o tu che dormi, e risorgi dai morti, e Cristo ti inonderà di luce»” (5:7-11).

 

In questo brano Paolo chiarisce ciò che significa comportarsi “come figli di luce”.

Fondamentalmente significa fermarsi prima di fare o approvare una cosa, per esaminare se la cosa “sia gradita al Signore”.

A questo proposito l’apostolo precisa che “il frutto della luce”, ovvero ciò che è gradito al Signore, “consiste in tutto ciò che è bontà, giustizia e verità”.

Allo stesso tempo proibisce di partecipare “alle opere infruttuose delle tenebre”. Si tratta di linee guida impegnative per chi vive in una società corrotta “a causa della concupiscenza” (2P 1:4). Ma proprio il predominio dell’egoismo, dell’ingiustizia e della menzogna sottolinea l’estremo bisogno delle manifestazioni di luce elencate da Paolo.

 

In pratica i “figli di luce” sono chiamati a identificarsi soltanto con ciò che rientri nei parametri di ciò che porta beneficio agli altri, che sia secondo giustizia e che sia conforme a verità. Questa direttiva richiede scelte impegnative e che implicano dei sacrifici. Non a caso Gesù previde che fare scelte di questo genere avrebbe reso scomodi i suoi discepoli in una società in cui dominano “le forze spirituali della malvagità”. Però, al posto di trovare in questo una scusante per non comportarsi come figli di luce, disse: “Beati i perseguitati per motivo di giustizia, perché di loro è il regno dei cieli” (Mt 5:10).

 

L’altro modo di manifestarsi come figli di luce è di denunciare “le opere infruttuose delle tenebre” (v. 11). Questo richiede coraggio. Ma richiede anche un’analisi delle situazioni per far pesare l’ingiustizia e il danno causato dalla malvagità.

È noto l’impegno nell’arco di tutta una carriera politica del credente evangelico William Wilberforce (1759–1833), che determinò l’abolizione della tratta iniqua degli schiavi. Ma si stima che ci siano ancora circa trenta milioni di persone nel mondo che vivono in condizioni di schiavitù molte delle quali sono coinvolte nella schiavitù sessuale.

Di recente è nata in Italia l’associazione “Schiavitù mai più” i cui obiettivi comprendono anche quello di denunciare tale fenomeno in cui, soltanto in Italia, sono coinvolte tra 19.000 e 24.000 ragazze! La stessa associazione, oltre a voler scuotere l’indifferenza generale di fronte a tale traffico, svolge un’opera di bontà verso le persone schiavizzate, portando loro sia il vangelo della grazia di Dio sia un aiuto pratico in vista di poter uscire fuori da questo giro iniquo.

 

Questo è soltanto un esempio. Secondo il nostro brano i “figli di luce” dovrebbero essere impegnati a 360 gradi nel denunciare le opere infruttuose delle tenebre.

Gesù ci ha lasciato un esempio con la sua denuncia dell’ipocrisia dei Farisei (Mr 3:1-5; Mt 23:1-36).

Anche Giovanni il battista denunciava le opere ingiuste e proprio per questo motivo fu prima messo in prigione e poi decapitato da Erode il tetrarca (Mt 14:1-12).

Non è detto che le denunce otterranno sempre l’effetto voluto. Erode Antipa non restituì Erodiada a Filippo, il suo marito legittimo, nonostante che la denuncia dell’irregolarità del suo stato matrimoniale fosse costata la vita al Battista! Ma è interessante che, secondo il nostro brano, “tutto ciò che è manifesto, è luce”. In altre parole rendere gli operatori di iniquità, e coloro che sono consenzienti, consapevoli della vera natura delle loro opere è già un successo. Intanto chi ha fatto la denuncia ha fatto il suo dovere fedelmente, come insegna il profeta Ezechiele (Ez 3:17-21).

 

Per completare il suo ragionamento, Paolo cita un detto che molti pensano fosse impiegato nei tempi apostolici al momento del battesimo: “Risvégliati, o tu che dormi, e risorgi dai morti, e Cristo ti inonderà di luce” (v. 14).

A prescindere dall’origine di questa frase, la sua citazione qui non lascia alcun dubbio riguardo alle implicazioni morali dell’impegno assunto da chi viene battezzato pubblicamente come discepolo di Cristo.

 

 

Per la riflessione personale

o lo studio di gruppo

 

1. Quanto ti è importante sapere che sei amato da Dio? Questo ti sta portando a imitarlo, “camminando nell’amore”?

 

2. In che modo la descrizione del comportamento “come si addice ai santi” aiuta a comprendere ciò che significa essere “santi” (appartati a Dio)?

 

3. Ci sono delle pratiche malvagie e ingiuste intorno a te che andrebbero denunciate e sostituite da proposte caratterizzate da bontà, giustizia e verità? A questo proposito c’è qualcosa che tu potresti fare?