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Introduzione: invitati ad esaminarsi!

 

Probabilmente leggendo il titolo di questo articolo abbiamo pensato che queste non sono domande da porsi, perché mettono in dubbio la nostra fede. Dov’è, forse diremo, la dottrina della certezza del credente? La Parola di Dio afferma, è vero, che se uno ha creduto in Cristo, egli è una nuova creatura, è generato di nuovo, ed è custodito da Dio. Lo stesso Dio che ha salvato i credenti li custodirà, li preserverà salvi. Ma la domanda che ci stiamo ponendo non è se può un figlio di Dio sentirsi certo della salvezza, bensì su quali evidenze una persona che si professa cristiana può basarsi per riconoscere di essere nella fede, ossia di essere un figlio di Dio.

 

Alla domanda diretta: “Da cosa sai che credi?” si danno solitamente quattro risposte diverse:

Io so di sapere, e dunque so che credo. Eppure sta scritto: “C’è una via che all’uomo sembra diritta, ma essa conduce alla morte” (Pr 14:12).

Io so, nell’intimo del mio cuore, che sono salvato. Eppure sta scritto: “Il cuore è ingannevole più di ogni altra cosa, e insanabilmente maligno; chi potrà conoscerlo?” (Gr 17:9). Vuoi davvero fidarti di una mente che può sbagliare? Pensi davvero di poterti affidare ad un cuore malvagio al di là di ogni conoscenza?

So che sono salvato perché un predicatore mi ha detto che sono salvato. E da quando gli uomini hanno tale autorità? La salvezza appartiene al Signore.

So che sono salvato perché ho camminato con Dio. Sta scritto: “colui che ha cominciato in voi un’opera buona, la condurrà a compimento fino al giorno di Cristo Gesù” (Fl 1:6). Se non stai camminando con Dio ora, non puoi avere alcuna certezza di essere mai stato salvato. Non sto dicendo che se camminiamo con Dio siamo salvati e se poi smettiamo, perdiamo la salvezza. Noi siamo certi di essere salvati non perché un giorno ci siamo pentiti, ma perché continuiamo a pentirci oggi, e non perché una volta abbiamo creduto, ma perché continuiamo a credere oggi, e non perché una volta abbiamo camminato con lui, ma perché camminiamo con lui oggi, perché “colui che ha cominciato in voi un’opera buona la condurrà a compimento fino al giorno di Cristo Gesù”.

 

Scrivendo alla chiesa di Corinto, l’apostolo Paolo si trovò a dover affrontare la situazione in cui purtroppo alcuni avevano fatto professione di fede, eppure camminavano mostrando le opere della carne. A loro non scrisse domandando di ricordare il giorno della propria conversione, bensì scrisse: “Esaminatevi per vedere se siete nella fede; mettetevi alla prova. Non riconoscete che Gesù Cristo è in voi? A meno che l’esito della prova sia negativo” (2Co 13:5). Esaminatevi. Non è qualcosa per cui preoccuparsi per un giorno soltanto, riguarda l’eternità!

Se oggi ti esamini alla luce della Parola di Dio sarai trovato salvo e custodito dal Signore? Non possiamo confidare nel nostro cuore, nelle nostre emozioni, nel parere altrui, né nel paragonarci agli altri (cosa sappiamo della loro salvezza?). Il Signore ci invita ad esaminarci. Prendiamo dunque le Scritture.

Cosa dicono di un vero credente? E se il test fallisce? Ravvediti e credi al Vangelo!

 

 

Dieci test

 

Il Signore ci fornisce nella sua Parola gli elementi per rispondere alla nostra domanda, e lo fa attraverso dei piccoli esami che si trovano nella prima lettera di Giovanni. Proprio dichiarando l’obiettivo di questa sua lettera, Giovanni scrive:

“Vi ho scritto queste cose perché sappiate che avete la vita eterna, voi che credete nel nome del Figlio di Dio” (1Gv 5:13). Dunque il Signore non vuole che le nostre convinzioni siano basate sui nostri pensieri o su strane dottrine, ma desidera farci sapere, darci certezze fondate sulla sua Parola, a proposito della nostra condizione spirituale.

Prima di esaminarci alla luce della Parola, però devo precisare due cose.

 

•Primo. Non ascoltare il nostro cuore, ma la Parola di Dio. Non basiamoci su ciò che gli altri ci hanno detto di noi, fossero pure genitori, figli, amici, anziani, predicatori. Non sentiamoci al sicuro solo perché siamo figli, nipoti o pronipoti di credenti. La salvezza non si eredita. Essa è per grazia mediante la fede. Ascoltiamo dunque la Parola di Dio soltanto.

 

• Secondo. Noi siamo chiamati a confrontare la nostra vita segreta. Non la nostra apparenza, quello che vogliamo far vedere e credere agli altri, ma quello che solo noi e il Signore sappiamo. Prendiamo dunque noi stessi, che nessuno vede, paragonati alla Parola di Dio.

Primo test: camminare nella luce

 

“Questo è il messaggio che abbiamo udito da lui e che vi annunziamo: Dio è luce, e in lui non ci sono tenebre. Se diciamo che abbiamo comunione con lui e camminiamo nelle tenebre, noi mentiamo e non mettiamo in pratica la verità” (1Gv 1:5-6).

Giovanni parla di luce per due ragioni.

La prima è per fare riferimento alla santità di Dio. Dio è santo. Non c’è ombra di peccato in lui, né macchia di immoralità. Dio non può essere tentato dal male, perché non c’è male in lui. La seconda ragione è per rispondere all’eresia degli gnostici, i quali sostenevano che Dio è una persona poco chiara, nascosta, oscura; non si può conoscere esattamente chi sia e quale sia la sua volontà. Così le parole di Giovanni rispondono a questi eretici, sembra quasi di sentirlo parlare: «Dio è luce. Al contrario di quello che sostenete voi, gnostici, il Signore ha chiaramente rivelato nella sua Parola chi sia e quale sia la sua volontà per gli uomini».

Al giorno d’oggi molti che si professano cristiani in realtà sono come gli gnostici, credono in un dio che ritengono non conoscibile, e davanti al quale, per questa ragione, non siamo responsabili di nulla. In sostanza credono in un dio comodo, a loro immagine.

Invece, egli è luce, e si è rivelato a noi per mezzo del suo Figlio Cristo Gesù. “Nessuno ha mai visto Dio. L’unigenito Dio che è nel seno del Padre è quello che l’ha fatto conoscere” (Gv 1:18).

 

Ora, a proposito del nostro test, Giovanni sta dicendo che la comunione con Dio consiste nel camminare nella sua luce. Se diciamo che abbiamo comunione con Dio, noi diciamo che siamo seguaci di Cristo (infatti è scritto: “chi mi segue non camminerà nelle tenebre, ma avrà la luce della vita”, Gv 8:12b), che camminiamo con lui, che siamo partecipi della natura divina. Dichiarare di avere comunione con Dio significa dire di essere cristiani.

Cosa vuol dire, invece camminare nelle tenebre? Le tenebre sono tutto ciò che si oppone alla luce. Perciò camminare nelle tenebre vuol dire adottare uno stile di vita nelle tenebre del peccato e dell’incredulità. Significa scegliere di avere comunione con questo mondo di tenebre, desiderare di sfuggire alla luce di Dio che metterebbe in evidenza il proprio peccato (Gv 3:16-21). Significa non conoscere Cristo e la sua giustizia, essere estranei allo Spirito Santo e alla grazia, e per questa ragione preferire le tenebre alla luce, prendervi piacere, desiderarle e sceglierle.

 

Secondo quello che dice la Scrittura, se quest’ultimo è lo stile di vita che ci contraddistingue, stiamo mentendo quando dichiariamo di essere figli di Dio. Attenzione, Giovanni non dice “noi pecchiamo”, ma “noi mentiamo”, cioè, la nostra professione di fede non ha alcun valore ai fini della nostra salvezza. Quale comunione c’è, infatti tra la luce e le tenebre?

Chi preferisce le tenebre alla luce non può allo stesso tempo dichiarare di essere un figlio di luce. Chi dice di camminare nella luce ma sceglie di camminare nelle tenebre non ha semplicemente sbagliato strada, ma sta mentendo, e deve ancora ravvedersi e venire a Cristo per la propria salvezza. In altre parole, ciò che fa fede, non è ciò che diciamo, ma il nostro stile di vita. Per dirlo con le parole di Giacomo:

“Così è della fede; se non ha opere, è per se stessa morta. Anzi uno piuttosto dirà: «Tu hai la fede, e io ho le opere; mostrami la tua fede senza le tue opere, e io con le mie opere ti mostrerò la mia fede»” (Gm 2:17-18).

 

 

Secondo test: essere sensibili al peccato

 

“Se diciamo di essere senza peccato, inganniamo noi stessi, e la verità non è in noi. Se confessiamo i nostri peccati, egli è fedele e giusto da perdonarci i peccati e purificarci da ogni iniquità. Se diciamo di non aver peccato, lo facciamo bugiardo, e la sua parola non è in noi” (1Gv 1:8-10)

Nel passato alcuni hanno insegnato che i figli di Dio, purificati dal sangue di Cristo, possono raggiungere la perfezione, non essere più soggetti a peccare in questa vita.

Ma la Parola di Dio non insegna questo, affatto! Infatti sta scritto: “Perché il giusto cade sette volte e si rialza, ma gli empi sono travolti dalla sventura” (Pr 24:16). Piuttosto, il concetto espresso dai versetti del nostro secondo test, è che i figli di Dio sono sensibili al peccato. Essi sono spinti dallo Spirito Santo al pentimento (2Co 7:9-10), alla confessione e all’abbandono dei propri peccati (Pr 28:13).

Quando è stata l’ultima volta che abbiamo pianto per il nostro peccato?

È spaventoso constatare la nostra insensibilità! Il Signore guarda e custodisce i suoi dal peccato, per questo lo Spirito Santo ci spinge al pentimento ogni volta che lo contristiamo.

 

Ricordo che una volta mia moglie ed io abbiamo litigato, eravamo sposati da poco, e ci siamo feriti rivolgendoci male l’uno all’altra. Poi, presi dagli impegni della giornata ognuno è andato alle sue occupazioni. Ma quale peso sul cuore! Quale tristezza!

Ricordo che mi sentivo come se avessi ucciso qualcuno! Il nostro unico pensiero era di chiederci perdono e fare la pace, infatti il Signore aveva reso il peso per l’offesa recata più grande del dolore per l’offesa subita.

Ci siamo abbracciati, abbiamo pianto e pregato insieme, ci siamo chiesti perdono e ci siamo perdonati.

Grazie a Dio che custodisce i suoi figli!

 

Dice il Signore:

“Ecco su chi io poserò lo sguardo: su colui che è umile, che ha lo spirito afflitto e trema alla mia parola (Is 66:2b).

È questo il nostro atteggiamento?

Tremiamo alla sua Parola?

Oppure cerchiamo di trovare degli appigli legali, delle scappatoie per giustificare noi stessi, e il nostro peccato?

Cerchiamo di scusare il nostro peccato?

Questo non è un atteggiamento da figli di Dio.

Terzo test: osservare i suoi comandamenti

 

“Da questo sappiamo che l’abbiamo conosciuto: se osserviamo i suoi comandamenti. Chi dice: «Io l’ho conosciuto», e non osserva i suoi comandamenti, è bugiardo e la verità non è in lui” (1Gv 2:3-4)

Di seguito vorrei riportare un dialogo a cui spesso mi è capitato di assistere.

“Fratello, ho un atroce dubbio a riguardo della mia salvezza. Io non so se sono salvato”.

“Hai mai chiesto a Cristo di entrare nel tuo cuore?”

“Sì!”

“Eri sincero?”

“Penso di sì”.

“Allora devi smettere di preoccuparti. Satana sta cercando di toglierti la tua certezza”.

 

Inutile nascondervi la tristezza per queste parole che rischiano di infondere false certezze e mettono a repentaglio la vita eterna di uomini e donne che potrebbero avere ancora bisogno del perdono di Dio.

Cosa dice la Scrittura?

“Da questo sappiamo che l’abbiamo conosciuto: se osserviamo i suoi comandamenti”, e non perché eravamo sinceri quando gli abbiamo chiesto di entrare nel nostro cuore o perché un anziano/fratello/sorella ce lo dice. Assolutamente no! Qui, come in tutti gli altri passi che stiamo considerando, si parla di un’abitudine, di uno stile di vita. Se abbiamo l’abitudine di osservare i suoi comandamenti, allora possiamo affermare con certezza di essere figli di Dio. Attenzione. Non è l’ubbidienza ai comandamenti che ci salva. La salvezza è per grazia mediante la fede. Ma l’ubbidienza alla Parola di Dio è la naturale conseguenza della fede nel Vangelo di Dio, e se manca è perché manca anche la fede alla base.

 

Alcuni obietteranno “Ma io l’ho fatto nel passato”. Dice il Signore: “Se noi osserviamo”. Il tempo presente ci indica proprio un’azione continuata nel tempo, abitudinaria (uno stile di vita). Questo ci parla di perseveranza, non di occasionalità. Perché “colui che ha cominciato in voi un’opera buona, la condurrà a compimento fino al giorno di Cristo Gesù” (Fl 1:6). Questa è la promessa di un Dio fedele, non un semplice incoraggiamento.

C’è un’immagine meravigliosa nel libro dei Proverbi: Ma il sentiero dei giusti è come la luce che spunta e va sempre più risplendendo, finché sia giorno pieno (Pr 4:18).

Cosa vuol dire questo se non che il cammino in ubbidienza dei figli di Dio è sempre più simile a quello di Cristo, mentre giorno per giorno si avvicinano alla mèta?

A proposito di uomini che “autocertificano” la propria fede, l’apostolo Giovanni dichiara: “Chi dice: «Io l’ho conosciuto», e non osserva i suoi comandamenti, è bugiardo e la verità non è in lui”. Il Signore non dichiara che chi si professa credente e vive nella disubbidienza alla Parola sta sbagliando, ma è bugiardo, cioè la sua professione di fede è fasulla agli occhi di Dio, e in lui la verità della grazia, la Parola della verità, e il principio della verità non si trovano.

 

 

Quarto test: camminare come Cristo

 

“Chi dice di rimanere in lui, deve camminare com’egli camminò” (1Gv 2:6)

WWJD: probabilmente alcuni l’avranno letto su alcuni braccialetti che erano molto diffusi negli anni 90. E magari ne avranno anche indossato uno, come me. Questa sigla era il motto del libro best seller scritto nel 1897 da Charles Monroe Sheldon “In his steps”.

“Cosa farebbe Gesù?”: questa la domanda che lui suggeriva ai credenti di porsi prima di affrontare qualsiasi scelta. Una domanda senz’altro molto saggia. Rispondervi, soprattutto prima di aprir bocca, ad esempio, ci procurerebbe molti meno dolori, no?

 

I figli di Dio devono camminare come Cristo ha camminato. Certo, l’obiettivo è molto ambizioso, ma la Parola di Dio non ci chiede di fare cose che siano fuori dalla nostra portata:

“Questo comandamento che oggi ti do, non è troppo difficile per te, né troppo lontano da te…Invece, questa parola è molto vicina a te; è nella tua bocca e nel tuo cuore, perché tu la metta in pratica” (De 30:11,14).

Il Signore ci chiede di imitare Cristo nel suo cammino quotidiano, nell’amore, nell’ubbidienza, nella fedeltà, nel servizio, nell’esercizio della virtù, nell’umiltà, nella pazienza.

 

Sebbene sappiamo che non raggiungeremo mai la perfezione in questa vita, è la tendenza, l’obiettivo, il nostro adoperarci a questo scopo che conta.

L’immagine che più mi rende l’idea del significato di questo passo è quella di un bambino che cerca di mettere i suoi piedi nelle orme di suo padre che cammina davanti a lui. Sembrerà goffo e raramente ci riuscirà, ma chiunque sarebbe in grado di notare che il suo obiettivo è camminare come suo padre.

Il nostro più grande desiderio è quello di camminare come Gesù, di somigliare a Cristo?

Se, al contrario preferiamo vivere, e identificarci con questo mondo, e quindi comportarci come gli altri, secondo la Parola di Dio non abbiamo alcuna base per poter dichiarare di dimorare in lui.

 

 

Quinto test: amare i fratelli

 

“Chi dice di essere nella luce e odia suo fratello, è ancora nelle tenebre” (1Gv 2:9)

Il Signore qui non sta parlando dell’amore verso i poveri, né verso il mondo in generale, ma dell’amore verso i fratelli.

Amiamo i fratelli? Anche su questo punto la Parola di Dio è molto chiara. Se non amiamo i fratelli in modo pratico e reale e non desideriamo stare in comunione con loro, è evidente che non siamo dei figli di luce, ma figli delle tenebre. Al tempo in cui Giovanni scrive queste parole, i fratelli che venivano imprigionati a causa del Vangelo sarebbero morti di fame senza le cure di altri fratelli. Questi per amore esponevano sé stessi al rischio di essere identificati come cristiani e quindi perseguitati a loro volta.

 

Giovanni poco più avanti scrive ispirato dallo Spirito Santo: “Da questo abbiamo conosciuto l’amore: egli ha dato la sua vita per noi; anche noi dobbiamo dare la nostra vita per i fratelli (1Gv 3:16). Senza già parlare di essere disposti a dare la nostra vita per i fratelli in Cristo, l’amore di cui parla il Signore è tale da indurci a rinunciare a ciò a cui teniamo per il bene dei figli di Dio. Gesù stesso disse che “nessuno ha amore più grande di quello di dare la sua vita per i suoi amici” (Gv 15:13).

Amiamo stare con le persone che amano parlare, adorare e stare con Dio? Oppure preferiamo la compagnia del mondo?

Mio suocero ha una piccola rimessa in una campagna, con degli animali. Non ho mai visto le galline giocare con i maiali.

Forse ci dichiariamo cristiani, ma preferiamo la compagnia dei non cristiani. La Parola di Dio ci dice chiaramente che la nostra vita è una contraddizione in termini, e che se il nostro amore non è rivolto verso la chiesa del Signore, allora la nostra professione di fede non è vera. Siamo ancora nelle tenebre.

 

Amore per i fratelli non significa certamente frequentare tutte le riunioni. Non c’è nulla di speciale in questo.

La chiesa non è il locale dove ci si riunisce, ma l’insieme delle persone che hanno riposto la loro fede nel Signore Gesù Cristo.

Dunque dobbiamo chiederci con quanti fratelli leggiamo la Parola di Dio insieme, con e per quanti stiamo pregando, di quanti ci prendiamo cura, e con quanti stiamo servendo il Signore.

Alcuni mi chiedono come ho capito che amavo mia moglie. Semplice. Quando ho notato che desideravo trascorrere il mio tempo con lei. Come sappiamo che amiamo i nostri fratelli?

Perché desideriamo trascorrere del tempo con loro, in loro compagnia, perché, come noi, hanno nel Signore Gesù il centro della propria vita.

Sesto test: non amare il mondo

 

“Non amate il mondo né le cose che sono nel mondo. Se uno ama il mondo, l’amore del Padre non è in lui” (1Gv 2:15).

Il mondo è il sistema malvagio che giace nel maligno (1Gv 5:19). Esso rifiuta il Signore, e ne contraddice gli attributi e la volontà. Il Signore Gesù disse del mondo: “Se il mondo vi odia, sapete bene che prima di voi ha odiato me. Se foste del mondo, il mondo amerebbe quello che è suo; poiché non siete del mondo, ma io ho scelto voi in mezzo al mondo, perciò il mondo vi odia” (Gv 15:18-19).

Ora, la domanda nasce spontanea. Si può allo stesso tempo dichiarare di amare Dio e offrire la propria amicizia a chi odia Dio? Naturalmente non si tratta di non avere alcuna relazione con il mondo (1Co 5:10), ma di non partecipare alle sue opere (Ef 5:11), di non scegliere per il nostro piacere la loro compagnia. Pensiamo davvero che si possa amare Cristo e ciò che ha inchiodato Cristo alla croce? Dov’è la nostra lealtà per il Signore? In questo momento, mentre leggiamo, nel mondo ci sono fratelli perseguitati per il nome di Cristo. Torturati, maltrattati, imprigionati e barbaramente uccisi non rinnegano il Signore Gesù. Nel nostro occidente ci sono “fratelli” che non riescono a trovare neanche la motivazione per frequentare le riunioni della chiesa. Non ci crea dei problemi questo contrasto?

Inoltre, amare questo mondo è paragonabile all’investimento più scellerato a cui si possa pensare. Quello, cioè, in cui l’unica certezza è di perdere tutto. Sarebbe una pazzia, non crediamo? Così è anche in campo spirituale. Infatti “il mondo passa con la sua concupiscenza; ma chi fa la volontà di Dio rimane in eterno” (1Gv 2:17).

A quale gruppo apparteniamo? A quelli che amano il mondo o a quelli che amano Dio? A quelli che passeranno con questo mondo o a quelli che dimorano in eterno col   Signore? Ricordiamo sempre che il Signore ci ha ben spiegato nella sua Parola (Gv 17:11, 14, 17) che vuole che i suoi discepoli siano nel mondo, ma non del mondo, e che a questo scopo ha pregato per noi e ci sostiene affinché portiamo la sua luce in questo mondo di tenebre.

 

 

Settimo test: cercare la comunione

con la chiesa locale

 

“Sono usciti di mezzo a noi, ma non erano dei nostri; perché se fossero stati dei nostri, sarebbero rimasti con noi; ma ciò è avvenuto perché fosse manifesto che non tutti sono dei nostri”
(1 Gv 2:19)

Qui naturalmente non si parla di chi cambia assemblea per ragioni del tutto comprensibili come un trasferimento di residenza, ad esempio. Piuttosto, mi riporta alla mente, purtroppo, una coppia che ho conosciuto quando ero poco più che adolescente. Ricordo che si avvicinarono al Signore, fecero professione di fede, e cominciarono a frequentare l’assemblea di cui allora anche io facevo parte. Erano assidui a tutti gli incontri, desideravano stare insieme e pregare. Tuttavia dopo circa un anno iniziarono a parlare di strane idee come quella di formare una chiesa in casa loro, abbandonando la comunione con noi. Non li vedo da molti anni, ma so che in casa loro non è nata alcuna testimonianza, e che di una nuova comunità nel loro quartiere non c’è mai stata traccia. Quando nella chiesa si insinuano nuove idee, nuove interpretazioni della Scrittura che non hanno alcun fondamento nella Parola di Dio, e queste persone finiscono per abbandonare la chiesa locale (Eb 10:25), di loro dice il Signore che se fossero stati dei nostri, sarebbero rimasti con noi. Chi diventa figlio di Dio ricercherà la comunione con i figli di Dio, perché colui che ci ha messo nel corpo ci preserva nel corpo.

 

 

Ottavo test: abbracciare

la pienezza di Cristo

 

“Chi è il bugiardo se non colui che nega che Gesù è il Cristo? Egli è l’anticristo, che nega il Padre e il Figlio. Chiunque nega il Figlio, non ha neppure il Padre; chi riconosce pubblicamente il Figlio, ha anche il Padre” (1Gv 2:22-23).

I nati di nuovo abbracciano tutta la pienezza di Cristo. Tempo fa ebbi una discussione con un mio coetaneo a proposito di questo argomento. La domanda era: “Per essere salvato si può soltanto riconoscere Cristo come Salvatore o è necessario riconoscerlo anche come Signore?”. Purtroppo ho scoperto da quella volta che sono diversi a sostenere che riconoscere Cristo come Signore è una prerogativa di quei figli di Dio che, più tardi, dopo aver riconosciuto Cristo come Salvatore, desiderano consacrarsi e diventare dei suoi discepoli.

Questo, in sostanza, significherebbe affermare che possiamo credere in Gesù per la nostra salvezza, pur non dovendo a lui la nostra ubbidienza e sottomissione, perché, di fatto, non lo riconosciamo come Signore. Inoltre un tale atteggiamento insegna che i discepoli sono il sottogruppo fedele dei salvati.

 

Questo è del tutto falso, è una dottrina che non ha alcun fondamento biblico!

La Parola di Dio ci insegna chiaramente che il Signore Gesù Cristo è Salvatore e Signore (Fl 3:20), Profeta (Mr 6:4), Re (Ap 1:5) e Sacerdote (Eb 6:20). Se non abbracciamo tutta la pienezza di Cristo non abbiamo alcun rapporto con lui, anche se ci sgoliamo a professarci cristiani, o abbiamo imparato a comportarci nell’esteriore come gli evangelici, pur di essere accolti nel gruppo. O abbracciamo interamente Cristo, oppure lo rifiutiamo interamente.

 

 

Nono test: avere lo stile di vita

insegnato dalla Parola di Dio

 

“Se sapete che egli è giusto, sappiate che anche tutti quelli che praticano la giustizia sono nati da lui” (1Gv 2:29).

Tale padre tale figlio. Da un po’ di tempo sto considerando le conseguenze pratiche che gli attributi di Dio hanno nella vita dei suoi figli. Questo versetto della prima lettera di Giovanni è molto chiaro a proposito, non è vero? Quelli che dichiarano di essere figli di Dio, devono avere uno stile di vita che ricerchi la giustizia, non tanto nella vita degli altri, quanto in primo luogo nella propria.

Molti asseriscono di avere un rapporto personale con Dio, ma poi non hanno alcun rapporto con la sua Parola.

Quando a Jim Elliot, il noto missionario presso gli Auca, fu proposto di rimanere negli Stati Uniti anziché partire fra gli indigeni dell’Amazzonia, egli rispose che la condanna degli americani era nella polvere che ricopriva la loro Bibbia (trovate questo episodio nel libro che racconta la sua storia “Oltre le porte di splendore, UCEB editore). Ed è proprio nelle Scritture che troviamo i principi con cui regolare la nostra vita secondo la giustizia del Signore.

Ora, mentre stai esaminando te stesso alla luce della Parola di Dio sei trovato come un uomo, o una donna che cerca nella Parola di Dio i suoi precetti, i suoi comandamenti per ubbidire?

È questo il tuo stile di vita, una tendenza generale della tua vita?

 

La Parola di Dio tocca tutti gli aspetti della vita, perché esprime la volontà di Dio, che è luce. Se ubbidire al Signore ti risulta come qualcosa di gravoso allora devi chiederti se sei un figlio di luce, infatti disse il Signore Gesù: “Se uno mi ama, osserverà la mia parola; e il Padre mio l’amerà, e noi verremo da lui e dimoreremo presso di lui” (Giovanni 14:23) ed è anche scritto: “Perché questo è l’amore di Dio: che osserviamo i suoi comandamenti; e i suoi comandamenti non sono gravosi” (1Gv 5:3).

 

 

Decimo test: lottare contro il peccato

 

“Vedete quale amore ci ha manifestato il Padre, dandoci di essere chiamati figli di Dio! E tali siamo. Per questo il mondo non ci conosce: perché non ha conosciuto lui. Carissimi, ora siamo figli di Dio, ma non è stato ancora manifestato ciò che saremo. Sappiamo che quand’egli sarà manifestato saremo simili a lui, perché lo vedremo com’egli è. E chiunque ha questa speranza in lui, si purifica com’egli è puro” (1Gv 3:1-3).

Come in tutta la sua prima epistola, l’apostolo parla anche qui della concretezza della vita eterna, ossia dei caratteri distintivi dei figli di Dio. Infatti, così come una città posta sopra un monte non può rimanere nascosta, allo stesso modo la vita eterna ha delle conseguenze concrete nella condotta dei figli di Dio.

Quest’ultimo versetto insegna che nessun credente, mentre è in questo corpo di carne, è puro nella propria condotta, ma insegna anche che ogni credente, mentre è in questo corpo di carne, lotta contro il peccato che quotidianamente si manifesta nella sua vita.

 

Stupisce come a volte si pensi che questa lotta sia una caratteristica che distingua i credenti spirituali dagli altri, mentre qui si vede come questa lotta scaturisca nella vita dei credenti dal momento in cui essi hanno conosciuto il Signore e hanno conosciuto la speranza alla quale sono stati chiamati: vedere Cristo a faccia a faccia, essere sempre con il Signore!

 

Come una sposa che si prepara per il giorno delle nozze, così la Chiesa del Signore vive ogni giorno riposando sulle sue promesse, aspettando il suo ritorno, e sbarazzandosi di ogni peso e del peccato, che così facilmente la avvolge.

Nel fare questo, inoltre, la Chiesa non è sola, ma lo Spirito Santo opera nel cuore dei figli di Dio, fra le altre cose, per insegnar loro ciò che piace al Signore, e ciò che lo contrista.

Vogliamo sapere se abbiamo davvero la speranza di incontrare il Signore Gesù Cristo?

La risposta è nella nostra condotta.

Stiamo lottando contro il peccato? Sapremmo dare un nome al peccato contro cui stiamo combattendo? Abbiamo coinvolto dei fratelli, delle sorelle per aiutarci a vincere questa battaglia?

“Figlioli, nessuno vi seduca. Chi pratica la giustizia è giusto, com’egli è giusto…Chiunque è nato da Dio non persiste nel commettere peccato, perché il seme divino rimane in lui, e non può persistere nel peccare perché è nato da Dio. In questo si distinguono i figli di Dio dai figli del diavolo: chiunque non pratica la giustizia non è da Dio; come pure chi non ama suo fratello” (1Gv 3:7, 9-10).

 

Desiderare con tutto il cuore che il peccato ti sporchi il meno possibile, adoperarsi affinché questo avvenga con l’aiuto del Signore, ed essere profondamente dispiaciuti quando non ci riusciamo, è la chiara evidenza che siamo dei figli di Dio.

Ma se questi pensieri e queste sante aspirazioni non ci toccano, e viviamo nel peccato senza sentirne il peso, allora dobbiamo riconoscere di non essere giusti davanti a Dio, e di avere ancora bisogno della sua grazia. Non lasciamoci sedurre da discorsi diversi da ciò che la Parola di Dio dice, perché ne va della nostra eternità!

 

 

Conclusione

 

Forse in questo momento stiamo combattendo nei nostri pensieri pensando di non essere salvati perché la nostra vita non è perfetta.

Ma la Parola di Dio non insegna che se siamo dei veri cristiani agiremo sempre secondo giustizia.

Piuttosto abbiamo considerato alcuni caratteri distintivi dei figli di Dio, essi costituiscono uno stile di vita e una lotta.

Il fatto stesso che ora ci troviamo immersi nella Parola di Dio a constatare che non amiamo abbastanza il Signore è proprio evidenza che siamo stati toccati dalla sua grazia.

Ma se viviamo uno stile di vita in contraddizione con gli attributi e la volontà di Dio allora dobbiamo ancora riconoscere Cristo come nostro personale Salvatore e Signore. Egli è la vera sorgente di vita, egli ha versato il suo sangue per noi sulla croce per pagare il debito del nostro peccato. Andiamo dunque a Cristo per la nostra salvezza!