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“Non esigo tori dalla tua casa…come sacrificio offri a Dio il ringraziamento” (Sl 50:9, 14).

“Vegliate e pregate, affinché non cadiate in tentazione; lo spirito è pronto ma la carne è debole” (Mt 26:41).

“Non cessate mai di pregare, in ogni cosa rendete grazie, perché questa è la volontà di Dio in Cristo Gesù verso di voi. Non spegnete lo Spirito” (1Te 5:17-19).

Motivi per non pregare

Ci sono mille motivi per non pregare.

Si può ancora pregare, quando si prende atto che la maggior parte delle preghiere non vengono esaudite?

Che senso ha pregare un Dio che ha già deciso cosa fare e non fare?

Si può forse credere che pregando Dio cambierà idea?

E se quello che decide è perfetto, per quale motivo dovrebbe cambiare parere solamente perché lo chiedo io?

Se davvero è Dio quello che prego, allora lui avrà già previsto tutto, compresa anche la mia preghiera – che diventa inutile. Se Dio è buono e vede i tanti bisogni dell’umanità, perché dovrebbe aspettare le nostre preghiere?

E così via…Ci sono davvero tanti ragionamenti che potremmo fare per non pregare. 

Ciò nonostante credo che ogni essere umano, quando è preso da una vera necessità vitale e non ha soluzioni, alzi gli occhi al cielo per rivolgere una preghiera a qualcuno, a qualcosa. Credo che la preghiera di aiuto sia innata nell’uomo, a cominciare dal pianto del neonato; pregare è qualcosa di universale.

Sono stati i filosofi illuministi del ‘700 che, avendo profondo rispetto per un Dio percepito esclusivamente come Principio di vita impersonale, come Idea, teorizzarono che l’essere umano ne dovesse avere così tanto rispetto da saper tacere, accettando tutto ciò che accade come concluso nel mistero della divinità, senza diritto di replica. Quindi, secondo questi filosofi (che hanno tanto influenzato la nostra cultura) l’uomo degno di questo nome dovrebbe piegare la testa, tacere, rassegnarsi alla volontà infinita stando in silenzio; questa per loro sarebbe la vera preghiera. Infatti, dicevano che un Essere supremo, se si crede che esista, non deve essere pregato perché non è come una persona, ma è un Principio fuori dalla nostra portata. Uno di loro ha scritto: “Guardando l’universo e la sua perfezione, il suo ordine, la sua immensità, non si deve cercare di spiegarlo ma meravigliarsene e adorare il Creatore che vi si lascia intuire – lo celebro per i suoi doni, ma non lo prego. Che dovrei chiedergli? Che egli cambi per me il corso delle cose? Che faccia miracoli a mio vantaggio? Vorrei forse che questo ordine fosse turbato per me? No, un pensiero così ardito come questo andrebbe punito invece che esaudito… Fonte della giustizia e della verità, Dio misericordioso e benigno. Fiducioso in te, il sommo desiderio del mio cuore è che la tua volontà sia fatta”.

In sostanza, questi filosofi hanno insegnato a non pregare perché non sarebbe più una divinità quella che si abbassasse a cambiare volontà solo perché un essere umano glielo ha chiesto.

Quante difficoltà a pregare…

Questo ragionamento riesco a comprenderlo – anche se lo ritengo sbagliato perché Dio non è “principio impersonale” ma un Essere che si è rivelato nella persona storica di Gesù di Nazaret – mentre quello che non proprio non rieesco a comprendere è l’atteggiamento di coloro che pressati da un bisogno pregano pensando: “Proviamo anche con Dio non si sa mai…se c’è bene, se non c’è, pace”; questo mi sembra un vero oltraggio, un Dio di comodo, un Dio “à la carte”.

Insomma, lo sappiamo, ci sono molti motivi per non pregare e dobbiamo analizzarli, dobbiamo riflettere se le critiche dell’ateismo o dei filosofi siano presenti anche in noi, nel nostro animo (anche se non abbiamo mai studiato filosofia) perché fanno parte di quella cultura nella quale siamo nati, nella quale viviamo e che ha un riflesso profondo nel nostro intimo. 

Non preghiamo, o preghiamo così poco non solo per ragioni di tipo filosofico, preghiamo poco perché durante il giorno non abbiamo tempo, preghiamo poco la sera perché siamo stanchi, preghiamo poco negli attimi di pausa perché non abbiamo lo spirito giusto; a volte preghiamo poco perché non abbiamo problemi assillanti e ci scordiamo di ringraziare; o al contrario, perché i pesi ci opprimono al punto da non avere più né parole né cuore disponibili.

Il vero motivo per cui pregare

Come esortarci a pregare?

Due anni fa le edizioni G.B.U. hanno pubblicato un famoso saggio di Jacques Ellul dal titolo un po’ provocatorio “L’impossibile preghiera”, che davanti a un lunghissimo elenco di validi motivi per non pregare, afferma che c’è un solo motivo, uno solo decisivo per pregare: il comandamento di Dio. Dio ci ordina di pregare. Ma dobbiamo aver ben chiaro chi è il Dio che ce lo ordina, ricordando che è il Dio che si è rivelato in Gesù, il Dio della grazia, altrimenti rischiamo di capire male il significato di “comandamento”.

Se il Dio di Gesù ci ordina qualcosa è perché ci vuol fare del bene, i suoi comandamenti non sono mai dei richiami a un dovere in astratto, ma se Dio ci chiama alla preghiera è perché dietro c’è una benedizione, un dono, una grazia. Resta però il fatto che Dio, il Padre, ci ordina: “Invocami” -“Invocami nel giorno della sventura; io ti salverò e tu mi glorificherai”; ce lo ordina Gesù che dice ai suoi discepoli: “Vegliate e pregateVegliate e pregate affinché non cadiate in tentazione; lo spirito è pronto ma la carne è debole”; pregare non solo per non cadere in tentazione ma: “Vegliate dunque, pregando in ogni momento, affinché siate in grado di scampare a tutte queste cose che stanno per venire, e di comparire davanti al Figlio dell’uomo” (Lu 21:36). Così ancora l’apostolo Paolo, che in mezzo a tante raccomandazioni etiche: “Ammonite i disordinati, confortate gli scoraggiati, sostenete i deboli, siate pazienti con tutti. Guardate che nessuno renda male per male, anzi cercate sempre il bene gli uni degli altri” ordina: “non cessate mai di pregare; in ogni cosa rendete grazie, perché questa è la volontà di Dio in Cristo Gesù verso di voi; non spegnete lo Spirito…” (1Te 5:14).

Allora, pregare poggia su un ordine: “Invocami”, “Prega”, “Veglia”; Dio vuole che lo facciamo, che cerchiamo lui, il suo volto per chiedere aiuto, il sostegno per oggi e speranza per domani. Gesù ci ordina, ci supplica di farlo perché lui sa per esperienza in quali situazioni ci veniamo a trovare e a quali tentazioni siamo esposti. O siamo forse immuni alle tentazioni, a cominciare da quella più pericolosa di addormentarci mentre Gesù è in agonia?

Vincere la tentazione di non pregare

La tentazione di smettere di pregare è subdola, penetra, si insinua piano piano senza parole – o se ce ne sono, sono ragionamenti che non fanno una grinza – intacca la fede fino a quando lo spirito diventa muto e il cuore secco. A volte siamo sfiduciati al punto da non riuscire a cercare il volto del Signore, o così assenti da averne vergogna. La tentazione è quella di conformarci ai tempi, all’andazzo comune, in fondo cosa c’è di male? La fede è sempre minacciata dall’incredulità! (sono così vicine, come due facce della stessa medaglia). Ecco perché il Dio dell’antico patto, Gesù e gli apostoli ci richiamano a presentarci davanti al Signore; non siamo mai al sicuro da problemi e quando arrivano dobbiamo farci trovare pronti. È vero che l’incentivo migliore a pregare è quello di cadere nell’angoscia, nelle difficoltà, ma anche queste possono diventare la tomba della fede. È per questo che noi, nella nostra fede vacillante, nelle nostre ansie e sofferenze, abbiamo bisogno delle parole del Salmo 50,15: “Invocami nel giorno della sventura”. 

Pregare non è fare una predica, non si devono cercare parole speciali, arrovellarsi per farsi capire meglio, pregare è aprire il cuore davanti a Dio con parole comuni, semplici, banali, che chiedono a Dio ciò che abbiamo sul cuore e nel chiederlo è un po’ come deporlo nelle sue mani, consegnarlo al solo che può fare qualcosa. Pregare è cercare il volto del Signore, contemplarlo anche stando in silenzio. 

Avere lo sguardo rivolto verso l’Alto

Pregare. Noi abbiamo bisogno che ci venga comandato, che riceviamo un ordine perché siamo indolenti, sfiduciati, restii; però come confortare gli scoraggiati, sostenere i deboli, essere pazienti con i poveri, attenti a non rendere male per male se prima non siamo noi consolati? Come farlo se siamo i primi a lasciar “spegnere lo Spirito”? 

Non siamo al riparo dalle prove. Mi sembra che da qualche anno ci siamo dentro sino al collo (difficoltà economiche, crisi finanziaria, guerra, pandemia, sconvolgimento climatico, ingiustizia, corruzione, mancanza di lavoro) con i nostri giorni che, racchiusi dentro la clessidra del tempo, scivolano come i granellini di sabbia uno a uno fino a quando saranno finiti. Questa è la vita, è la nostra vita, di giovani e vecchi. E in tali situazioni così difficili è la preghiera che ci permette di sollevare lo sguardo davanti al Signore, dire un grazie per ciò che abbiamo e una richiesta per quello che ci manca.

Quando preghiamo dovremmo avere l’umiltà e la sincerità di distinguere tra una preghiera formale, religiosa, rituale, fatta più di parole che cuore, e la preghiera della fede fatta “nella tua cameretta con la porta chiusa, che rivolgi al Padre tuo che è nel segreto; e il Padre tuo, che vede nel segreto, te ne darà la ricompensa” (Matteo 6:6).  

Pregare, chiedere aiuto al Signore, non significa per niente essere persone deboli, paurose, che non sanno affrontare in maniera virile la vita, al contrario, pregare significa ritrovare la giusta misura di sé stessi, recuperare la visione sobria delle cose, riconoscere che non ci siamo creati da soli, che c’è un Creatore. Se ci dimenticheremo della preghiera – quella sincera – scivoleremo senza accorgersene nell’egoismo, nell’istinto, ci conformeremo al mondo copiandone i vizi.

Una vita di preghiera

Senza preghiera significa – che lo vogliamo o no – essere senza Dio. Inutile girarci attorno, la preghiera, quella vera, è l’unica maniera in cui la fede vive e si esprime, è la sua cartina tornasole. Gesù stesso ha avuto bisogno della preghiera, è nella preghiera che è stato “uno con il Padre”. È lui che dopo averci esortato a pregare senza stancarci, conclude con una domanda: “il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?” (Lu 18:8); ecco, io credo che il comandamento di pregare sia in relazione con questo.

Ecco perché riceviamo dalla Parola del Signore l’ordine: “Pregate! Pregate senza stancarvi, non cessate di pregare”. Non è questione di “sentirlo” o non “sentirlo”, non è lasciato al nostro sentimento, al nostro desiderio, alla nostra buona volontà, pregare è un comandamento, è un vero impegno; dobbiamo resistere in preghiera fino a che il cuore apra la sua porta e lasci penetrare un po’ la luce dell’amore del Signore che rischiara e riscalda le tenebre in cui siamo immersi. Se la preghiera è vera, se affronta le cose vere che fanno parte della vita: le gioie, i dolori, il lavoro, la famiglia, le responsabilità, le sofferenze, le speranze, allora la preghiera permetterà a Dio di far parte della nostra intera vita concreta.

La preghiera personale è l’unico modo per interrompere la separazione tra cielo e terra, tra vita spirituale e quella materiale giornaliera, la preghiera permette all’anima di incontrare il Signore faccia a faccia. Perciò: preghiamo senza stancarci. Viviamo tutto alla presenza del Signore, nella relazione vera con lui, “non spegniamo lo spirito”, al contrario chiediamo a Dio con insistenza che lo riaccenda, che ci dia l’energia per affrontare una vita difficile. Scrive Ellul: “La preghiera è la trama ininterrotta su cui viene a ricamarsi la catena delle mie occupazioni, delle mie decisioni, dei miei sentimenti, dei miei atti; senza questa trama il tessuto della vita non sarà mai tessuto. Cederemo infatti a tutte le sollecitazioni. Senza la preghiera siamo come bambini sbattuti qua e là da ogni vento di dottrina”. 

Allora dobbiamo essere vigilanti, andare nella vita accompagnati e sostenuti da questa parola che Dio ci ha dato di ascoltare: “Invocatemi”; “Rendete grazie in ogni cosa”; “Vegliate”; “Non cessate mai di pregare”.