Tempo di lettura: 6 minuti

Premessa

 

Nel gennaio del 2011 ho partecipato come insegnante ad un progetto patrocinato dalla “Fondazione ex-Campo di concentramento di Fossoli” (www.fondazionefossoli.org) denominato “Un treno per Auschwitz”.

 

Ogni anno ciascuna delle sessanta scuole superiori di Modena e provincia invia dieci studenti ed un insegnante in Polonia, in occasione del “Giorno della Memoria”, stabilito dalla comunità internazionale per il 27 gennaio, per commemorare il giorno in cui le truppe sovietiche varcarono i cancelli del più tristemente  famoso campo di sterminio.

 

Il viaggio si svolge  in treno, partendo da Carpi, città nei pressi della quale si trovava, a Fossoli, uno dei tanti Campi in cui  Ebrei, zingari, oppositori venivano concentrati, in attesa della deportazione (da dove partì anche lo scrittore Primo Levi). Obbiettivo del viaggio era proprio quello di ripercorrere, anche se con tutte le comodità, il percorso che i deportati facevano nei vagoni piombati fino a Cracovia e poi ad  Oswiecim (cittadina ribattezzata Auschwitz dai tedeschi).

 

In occasione di questo viaggio i partecipanti ogni anno sono sensibilizzati con un corso di preparazione tenuto da storici, scrittori e operatori culturali, che cercano di introdurre il tema della violenza, del colonialismo, visto come culla del razzismo, e cercando di spingere i ragazzi a riflettere sul perché sia stato possibile che nella “civile Europa del XX secolo” si sia potuto sviluppare un fenomeno come quello che ha dato vita allaShoah (in ebraico letteralmente: “calamità”), con il tentativo di distruggere un intero popolo, ponendo la parola fine alla questione ebraica, con la cosiddetta “soluzione finale” (in tedesco: Endlösung der Judenfrage).

 

 

Una visita che lascia il segno!

 

Una visita ad Auschwitz, in pieno inverno, in treno, lascia il segno.

Tutta l’operazione è organizzata magistralmente dalla “Fondazione Fossoli”, che si occupa anche di riempire le serate a Cracovia, con gruppi musicali e  incontri con scrittori (fra cui il noto Carlo Lucarelli, che da otto anni presta il suo servizio a questa iniziativa), che hanno lo scopo di aiutare i ragazzi ad elaborare quanto hanno vissuto durante il giorno.

 

Una prima reazione comune è quella di stupore nei confronti delle proprie reazioni, del tipo: “Sono stato ad Auschwitz e non ho versato neanche una lacrima, sono un mostro!”

Questi incontri serali hanno lo scopo di farti comprendere che una reazione di questo genere è “normale”, perché di fronte ad un orrore così grande l’essere umano erige delle barriere a difesa e produce una patina di insensibilità che riveste tutto il proprio io.

 

Durante il viaggio di andata regna una certa moderata allegria, tipica da gita scolastica, i ragazzi stanno in gruppi delimitati dalla loro appartenenza alle varie scuole e socializzano poco tra loro.

Molto diverso è però l’atteggiamento dei seicento partecipanti durante il viaggio di ritorno. I gruppi sono rotti e mischiati, il clima di allegria è svanito, i ragazzi hanno voglia di parlare tra loro e vige un clima di solidarietà, propria di chi ha vissuto un’esperienza dolorosa in comune che avvicina e ti mette voglia di stringerti ad un altro essere umano per farti forza, e si sperimenta la verità del seguente passo biblico:

“La tristezza è preferibile al riso, perché davanti a un volto triste il cuore diventa migliore ( Ec 7:3).

In questo contesto ho avuto occasione di parlare con alcuni ragazzi e da queste  conversazioni scaturiscono queste riflessioni.

Le discussioni fatte ruotavano tutte intorno a due importanti domande

 

 

Perché Dio permette il male?

 

La prima reazione naturale che viene dopo un viaggio ad Auschwitz è proprio: “Perché tutto questo?”

Nel 1989 Ferdinando Camon intervistò Primo Levi, autore che tutti gli studenti del quinto anno studiano, specialmente in preparazione al viaggio ad Auschwitz. L’intervista termina con queste agghiaccianti affermazioni (ricordo che Primo Levi è morto suicida):

 

Levi: “Devo dire che per me l’esperienza di Auschwitz è stata tale da spazzare via ogni residuo di educazione religiosa che possa aver avuto”.

Camon: “Il che significa che Auschwitz è la prova della non esistenza di Dio?”

Levi: “C’è Auschwitz, quindi non può esserci Dio” (Sul dattiloscritto, ha aggiunto a matita: “Non trovo una soluzione al dilemma. Continuo a cercarla, ma non la trovo”.

(Estratti da Ferdinando Camon, “Conversazioni con Primo Levi”, Marlboro Press, 1989 pp. 41-44) 

 

“C’è Auschwitz, quindi non può esserci Dio”.

L’ateo trova naturale questa disequazione, per dare forza alla propria fede nichilista, mentre colui che genericamente ammette l’esistenza di Dio è fortemente tentato di incolparlo di quanto ha visto.

“Perché Dio ha fatto questo?” è la domanda che più volte mi hanno fatto i ragazzi.

 

Un primo passo è stato quello di distinguere l’espressione “ha fatto” dall’espressione “ha permesso”.

Ma anche la domanda “Perché Dio ha permesso questo?” è una domanda seria e merita una seria considerazione.

Perché Dio permette il male?

 

Questo è un tema molto importante per noi credenti, ed è bene essere convinti di quello che testimoniamo a chi dichiara di non credere.

Io  personalmente mi sono trovato più volte ad argomentare con Dio a questo proposito, e devo dire che per lungo tempo non mi sono trovato d’accordo con lui: ma quando noi siamo sinceri con lui e gli comunichiamo francamente il nostro disappunto, egli è fedele come un padre amorevole che spiega con pazienza le cose ad un bambino.

 

Così un giorno, mentre passeggiavo nel parco sotto casa ponendo domande a Dio, egli tutto ad un tratto mi ha risposto mettendomi in testa i seguenti pensieri:

“Se tutto ti andasse sempre bene, mi ameresti veramente di più?”.

“Se non ci fosse la minaccia dell’inferno, mi saresti grato di averti salvato alla croce?”

Così ho dovuto rispondergli con altrettanta  franchezza: “Onestamente no!”

 

 

Illuminato dalla Parola

 

La Parola di Dio parla chiaro a questo proposito:

 

“Non siate come il cavallo e come il mulo che non hanno intelletto, la cui bocca bisogna frenare con morso e con briglia, altrimenti non ti si avvicinano!” (Sl 32:9).

 

Signore, ma questo Salmo lo hai scritto per me!

• Non so apprezzare il bene, se non conosco il male.

• Non so apprezzare  il pulito, se non conosco lo sporco.

• Non so apprezzare il cibo, se non conosco la fame.

• Non so apprezzare il calore di un focolare, se non conosco il freddo.

• Non so apprezzare la pace, se non conosco la guerra.

• Non so apprezzare la ricchezza, se non conosco la povertà (infatti, spesso i figli dei ricchi crescono viziati.)

• Non so apprezzare l’amore, se non conosco l’indifferenza.

 

Devo ammettere di essere come un animale senza intelletto che ha bisogno di morso e briglia per avvicinarmi a Dio!

Dio “permette il male” affinché possiamo apprezzare il bene che lui ci fa.

Naturalmente non era così all’inizio!

Nel giardino di Eden tutto era buono, ma Dio permise ad Adamo di essere tentato perché Dio cerca un amore che provenga da un cuore sincero, non da costrizione, così la caduta di Adamo ha provocato la rovina di tutta la creazione (Ro 8:22).

Inoltre il Signore non permette il male perché provi piacere nel farlo (la tipica argomentazione del non credente è: “Se ci fosse un Dio buono, non ci sarebbe il male!”) ma la Bibbia afferma esattamente il contrario.

“Poiché non è volentieri che egli umilia e affligge i figli dell’uomo” (La 3:33).

 

E allora dobbiamo concludere che, se non è volentieri, allora è necessario!

Dio usa questa vita infelice (che è fra l’altro conseguente alla nostra condizione di peccatori)  per portarci a lui; noi non saremo mai felici in questa vita perché siamo progettati, nel piano divino di salvezza in Cristo, per essere felici nella vita eterna, futura!

Tuttavia Dio ci concede momenti per provare già ora questa felicità: amore tra moglie e marito, amore verso i figli (che nessuno comprende a pieno fino a che non diventa genitore) per farci capire come lui ci ama!

Se mio figlio sbaglia, si ribella e mi delude, lo amo lo stesso: è pur sempre mio figlio!

Così Dio fa con l’uomo, una volta che si diventati figli si rimane tali, egli non ti ripudierà mai!

Questa è la risposta che dobbiamo dare a chi  ci fa questa domanda.

• Ameresti Dio se avessi tutto?

• Ameresti la luce se non conoscessi il buio?

 

Il male è necessario affinché noi acquistiamo intelligenza.

Attenzione: affermare che “il male è necessario” può apparire come un modo di parlare duro!

Non potremo dirlo se prima non l’abbiamo metabolizzato a fondo noi stessi, e se non l’abbiamo “discusso” e condiviso con Dio.

 

Il Signore non è un  sadico che gode nel tormentare i figli degli uomini, ma un Dio amorevole che usa la correzione come un padre corregge il figlio che gradisce!

Il Signore ci mette davanti la benedizione e la maledizione; ci fa conoscere la sua volontà per mezzo della Bibbia e, se noi ci discostiamo da essa, a malincuore è costretto a correggerci con afflizioni.

 

“Io prendo oggi a testimoni contro di voi il cielo e la terra, che io ti ho posto davanti la vita e la morte, la benedizione e la maledizione; scegli dunque la vita, onde tu viva, tu e la tua discendenza, amando il SIGNORE, il tuo Dio, ubbidendo alla sua voce e tenendoti stretto a lui, poiché egli è la tua vita e colui che prolunga i tuoi giorni. Così tu potrai abitare sul suolo che il SIGNORE giurò di dare ai tuoi padri Abrahamo, Isacco e Giacobbe” (De 30:19-20)

Dio usa con Israele e con tutti noi lo stesso metodo che usò con Adamo, lasciandoci liberi di scegliere tra l’ubbidienza e la conseguente benedizione, e la disubbidienza con la conseguente maledizione.

 

Così, su quel treno in ritorno dalla Polonia ho potuto condividere queste mie convinzioni con alcuni studenti, e quanto meno ho potuto constatare che mi sono stati ad ascoltare con attenzione.

Infatti, dopo l’orrore di Auschwitz stai volentieri ad ascoltare chi ti propone delle risposte alle domande che il viaggio ha suscitato.

 

Solo Dio sa quali frutti possano portare queste parole in quei giovani cuori, e chissà a distanza di quanto tempo… ma noi dobbiamo avere la convinzione che non saranno le nostre convincenti argomentazioni a convincere e convertire le persone, ma solo la potenza dell’Evangelo.

“Affinché la vostra fede non fosse fondata sulla sapienza degli uomini, ma sulla potenza di Dio” (1Co 2:5).