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Introduzione

 

La parola “dunque” di Ebrei 12:1 dà la conferma che lo scopo dell’autore nel capitolo 11 è stato di esemplificare il modo di agire della fede che Dio gradisce.

Questo fatto e lo stile del racconto ne facilitano la lettura, tanto che qualsiasi commento rischia di essere più d’intralcio che un aiuto alla sua comprensione.

Ecco perché considero di fondamentale importanza leggere il capitolo in modo progressivo e mi limito a segnalare alcune informazioni storiche pertinenti e a far notare i collegamenti che esistono all’interno della Bibbia.

 

Queste brevi note servono ad accorciare la distanza percepita fra chi vive nel ventunesimo secolo e i vari momenti in cui sono vissuti coloro che vengono attestati in questo capitolo a motivo della loro fede.

 

 

La fede di Noè

 

“Per fede Noè, divinamente avvertito di cose che non si vedevano ancora, con pio timore, preparò un’arca per la salvezza della sua famiglia; con la sua fede condannò il mondo e fu fatto erede della giustizia che si ha per mezzo della fede (v. 7).

 

Noi viviamo in quelli che Pietro definisce “gli ultimi giorni” quando degli “schernitori beffardi” dicono: “Dov’è la promessa della sua venuta? Perché dal giorno in cui i padri si sono addormentati, tutte le cose continuano come dal principio della creazione” (2P 3:3-4).

Per mettere a tacere questi beffardi schernitori, l’apostolo Pietro cita il fatto del diluvio a dimostrazione che le cose dette dalla potente Parola di Dio avvengono puntualmente.

 

Noè aveva motivi ancora più sostanziali dei pregiudizi filosofici degli uomini beffardi del nostro tempo per non intraprendere il progetto della costruzione dell’arca, in quanto non aveva mai piovuto prima di allora e la gente viveva ignorando Dio.

Ecco perché la sua ubbidienza fu una forte manifestazione di fede in Dio. Tale fede condannò il mondo e sortì la giustificazione di Noè stesso, il quale è diventato giustamente famoso.

 

 

La fede di Abraamo e Sara

 

“Per fede Abraamo, quando fu chiamato, ubbidì, per andarsene in un luogo che egli doveva ricevere in eredità; e partì senza sapere dove andava. Per fede soggiornò nella terra promessa come in terra straniera, abitando in tende, come Isacco e Giacobbe, eredi con lui della stessa promessa, perché aspettava la città che ha le vere fondamenta e il cui architetto e costruttore è Dio.

Per fede anche Sara, benché fuori di età, ricevette forza di concepire, perché ritenne fedele colui che aveva fatto la promessa. Perciò, da una sola persona, e già svigorita, è nata una discendenza numerosa come le stelle del cielo, come la sabbia lungo la riva del mare che non si può contare” (vv. 8-12).

 

Sebbene in possesso di pochissima rivelazione, per fede Abraamo lasciò la sicurezza della città di Ur, per abitare in tende, in terra straniera,orientando tutta la sua vita in base alla promessa di Dio.

La scelta di Abraamo di vivere per fede coinvolse anche suo figlio Isacco e suo nipote Giacobbe. La terra promessa è per sempre destinata ai discendenti di questi patriarchi, sebbene non la possiedano ancora interamente (Sl 105:7-11). Lo stesso dicasi della “città che ha le vere fondamenta e il cui architetto e costruttore è Dio” (Eb 12:22-23; cfr. Ap 21). Abraamo sperimentava tutto questo per fede.

 

Sebbene in un primo momento Sara dubitasse della promessa di avere un figlio, le parole dell’ospite celeste:

“Vi è forse qualcosa che sia troppo difficile per il SIGNORE? Al tempo fissato, l’anno prossimo, tornerò e Sara avrà un figlio” (Ge 18:14), produssero in lei un nuovo atteggiamento di fede.

È da notare la mancanza di qualsiasi accenno agli errori di Abraamo e Sara in questo brano o altrove nel Nuovo Testamento, sebbene diversi errori sono presentati con franchezza nel racconto della Genesi. Ha valore permanente soltanto ciò che è frutto della fede perché Dio in misericordia annulla il resto quando ci giustifica.

 

 

La fede non ti fa tornare indietro

 

“Tutti costoro sono morti nella fede, senza ricevere le cose promesse, ma le hanno vedute e salutate da lontano, confessando di essere forestieri e pellegrini sulla terra. Infatti, chi dice così dimostra di cercare una patria; e se avessero avuto a cuore quella da cui erano usciti, certo avrebbero avuto tempo di ritornarvi! Ma ora ne desiderano una migliore, cioè quella celeste; perciò Dio non si vergogna di essere chiamato il loro Dio, poiché ha preparato loro una città” (vv. 3-16).

 

Il fatto che Abraamo non tornò indietro alla vita di città in Ur dei Caldei, e non hanno cercato di tornarvi neanche Isacco o Giacobbe, dimostrala loro piena identificazione con il progetto di Dio.

La fede, come ebbe a imparare la moglie di Lot (Ge 19:26), non guarda indietro, bensì è protesa in avanti in attesa di sperimentare pienamente tutto ciò che Dio ha promesso.

 

 

Ancora sulla fede di Abraamo

 

“Per fede Abraamo, quando fu messo alla prova, offrì Isacco; egli, che aveva ricevuto le promesse, offrì il suo unigenito. Eppure Dio gli aveva detto: «È in Isacco che ti sarà data una discendenza». Abraamo era persuaso che Dio è potente da risuscitare anche i morti; e riebbe Isacco come per una specie di risurrezione” (vv. 17-19).

 

Le ultime parole citate sopra danno il senso della risposta di fede di Abraamo, quando Dio gli chiese di offrire in sacrificio il figlio che gli aveva promesso e per cui Abraamo aveva atteso un quarto di secolo. La risposta del patriarca (cfr. Ge 22:8, 14) dimostra che la sua fede era in Dio stesso e quindi non aveva bisogno di alcun sostegno nelle circostanze della sua vita. Ormai sapeva che niente è troppo difficile per il Dio vivente e vero in cui credeva.

 

 

La fede di tre patriarchi sul letto di morte

 

“Per fede Isacco benedisse Giacobbe ed Esaù anche riguardo a cose future. Per fede Giacobbe, morente, benedisse ciascuno dei figli di Giuseppe e adorò appoggiandosi in cima al suo bastone. Per fede Giuseppe, quando stava per morire, fece menzione dell’esodo dei figli d’Israele e diede disposizioni circa le sue ossa” (vv. 20-22).

 

Anche se Isacco avrebbe vissuto ancora per qualche decennio, nelle circostanze citate si preparava per morire, come Giacobbe e Giuseppe (Ge 27:1-2).

Le cose dette e trasmesse alla futura generazione al momento della morte rispecchiano ciò in cui crede la persona morente.

Il pensiero di tutti e tre questi massimi rappresentanti della propria generazione del popolo eletto, al momento del proprio trapasso, era rivolto all’adempimento delle promesse di Dio.

Dopo anni di profonda meditazione Giacobbe era diventato addirittura un profeta.

Giuseppe, i cui figli erano cresciuti in Egitto, dove lui aveva raggiunto l’apice del potere, avrebbe potuto vedere il futuro della sua famiglia lì, anche perché aveva sposato una donna egiziana. Invece no, disse: “Dio per certo vi visiterà; allora portate via da qui le mie ossa” (Ge 50:25).Una vita condizionata dalla fede in Dio portò questi uomini a dare primaria importanza alle promesse di Dio anche nel momento della morte.

 

 

La fede di Mosè

 

“Per fede Mosè, quando nacque, fu tenuto nascosto per tre mesi dai suoi genitori, perché videro che il bambino era bello, e non ebbero paura dell’editto del re. Per fede Mosè, fattosi grande, rifiutò di essere chiamato figlio della figlia del faraone, preferendo essere maltrattato con il popolo di Dio, che godere per breve tempo i piaceri del peccatostimando gli oltraggi di Cristo ricchezza maggiore dei tesori d’Egitto, perché aveva lo sguardo rivolto alla ricompensa. Per fede abbandonò l’Egitto, senza temere la collera del re, perché rimase costante, come se vedesse colui che è invisibile. Per fede celebrò la pasqua e fece l’aspersione del sangue affinché lo sterminatore dei primogeniti non toccasse quelli degli Israeliti. Per fede attraversarono il mar Rosso su terra asciutta, mentre gli Egiziani che tentarono di fare la stessa cosa, furono inghiottiti” (vv. 23-29).

 

Anche di Mosè (come di Abraamo e Sara) si racconta soltanto ciò che è frutto della sua fede in Dio. Chi ha visitato le piramidi d’Egitto (anche se esse risalgano a un tempo molto precedente a quello in cui è vissuto Mosè) potrà immaginare in minima parte quanto sia stata determinante la fede di Mosè, nella scelta di lasciare i suoi privilegi e il lusso del palazzo del faraone per identificarsi con un popolo di schiavi.Mosè avrebbe potuto razionalizzare una scelta ben diversa, quella di rimanere nella casa del faraone, in base all’evidente provvidenza divina che aveva determinato il suo ingresso in essa. Invece abbracciò per fede le promesse che Dio aveva fatto al suo popolo e che prevedevano la venuta nel mondo del Messia e con lui una grande benedizione per “ogni famiglia della terra”.

La celebrazione della pasqua, prima dell’intervento liberatore di Dio (Es 12:28) e la decisione di incamminarsi attraverso il mar Rosso (Es 14), illustrano bene come la fede in Dio permette di rimanere costanti, come se si vedesse con i propri occhi fisici colui che è visibile soltanto agli occhi della fede.

 

 

La fede degli Israeliti sotto Giosuè e di Raab la prostituta

 

“Per fede caddero le mura di Gerico dopo che gli Israeliti vi ebbero girato attorno per sette giorni. Per fede Raab, la prostituta, non perì con gli increduli, avendo accolto con benevolenza le spie” (vv. 30-31).

 

Marciare intorno a una città in vista di conquistarla non avrebbe alcun senso se non fosse un’espressione dell’ubbidienza della fede. Dio, che aveva dato quest’ordine, onorò la fede degli Israeliti che, sotto la guida di Giosuè e dei sacerdoti levitici, seguirono le indicazioni di Dio, imparando così che Dio, sebbene scelga di coinvolgerci nella sua opera, non ha bisogno del nostro “saper fare” per portare a compimento i suoi proponimenti.

 

Non per nulla Raab corse dei rischi nell’accogliere le spie. Il libro di Giosuè ci informa che:

“Prima che le spie si addormentassero, Raab salì da loro sulla terrazza, e disse a quegli uomini: «Io so che il SIGNORE vi ha dato il paese, che il terrore del vostro nome ci ha invasi e che tutti gli abitanti del paese hanno perso coraggio davanti a voi. Poiché noi abbiamo uditocome il SIGNORE asciugò le acque del mar Rosso davanti a voi, quando usciste dall’Egitto… Appena l’abbiamo udito, il nostro cuore è venuto meno e non è più rimasto coraggio in alcuno, per causa vostra; poiché il SIGNORE, il vostro Dio, è Dio lassù nei cieli e quaggiù sulla terra»” (Gs 2:8-11).

 

La fede di Raab cambiò completamente la sua vita (si veda Mt 1:5), costituendo un ottimo esempio del fatto che il nostro passato non limita le possibilità per il nostro futuro se impariamo a credere che esiste un Dio vivente e vero che ricompensa coloro che lo cercano.

 

 

Una molteplicità di esempi

 

“Che dirò di più? Poiché il tempo mi mancherebbe per raccontare di Gedeone, Barac, Sansone, Iefte, Davide, Samuele e dei profeti, i quali per fede conquistarono regni, praticarono la giustizia, ottennero l’adempimento di promesse, chiusero le fauci dei leoni, spensero la violenza del fuoco, scamparono al taglio della spada, guarirono da infermità, divennero forti in guerra, misero in fuga eserciti stranieri. Ci furono donne che riebbero per risurrezione i loro morti; altri furono torturati perché non accettarono la loro liberazione, per ottenere una risurrezione migliore; altri furono messi alla prova con scherni, frustate, anche catene e prigionia. Furono lapidati, segati, uccisi di spada; andarono attorno coperti di pelli di pecora e di capra; bisognosi, afflitti, maltrattati (di loro il mondo non era degno), erranti per deserti, monti, spelonche e per le grotte della terra” (vv. 32-38).

 

Chi conosce la storia d’Israele può aggiungere molti altri nomi a quelli di Gedeone, Barac, Sansone, Iefte, Davide e Samuele (che appartengono tutti al periodo dei Giudici e agli ultimi anni del regno di Saul e all’inizio del regno di Davide).

Con ogni probabilità alcune allusioni, per esempio: “divennero forti in guerra, misero in fuga eserciti stranieri” riguardano anche il periodo che va dai profeti Zaccaria e Malachia al tempo di Giovanni il battista e in particolare al periodo di resistenza dei Maccabei quando Antioco Epifane della Siria cercò di sopprimere il culto del tempio e ogni espressione di ubbidienza a Jahweh, il Dio d’Israele.

Ma, a prescindere dai dettagli, alcuni dei quali rimangono ignoti a noi, il punto che l’autore vuole sottolineare è che tutto ciò che queste persone hanno saputo fare e sopportare, l’hanno fatto “per fede”, mostrando costanza (v. 33).

 

 

Qualcosa di meglio per gli Ebrei che entrano nel nuovo patto

 

“Tutti costoro, pur avendo avuto buona testimonianza per la loro fede, non ottennero ciò che era stato promesso. Perché Dio aveva in vista per noi qualcosa di meglio, in modo che loro non giungessero alla perfezione senza di noi” (vv. 39-40).

 

Per comprendere correttamente gli ultimi versetti del capitolo, bisogna ricordare che il soggetto indicato due volte con “noi” (v. 40), sono gli Ebrei che vivevano prima della distruzione del tempio nel 70 d.C.

È utile anche ricordare che il verbo tradotto “giungessero alla perfezione” (teleiôthôsin), in questo contesto ha il senso di “essere resi completi”. Gli Ebrei che arrivano alla fede in Yeshua (Gesù) ancora oggi preferiscono considerarsi Ebrei completi, anziché parlare di“conversione”.

 

Questi due versetti testimoniano la continuità fra gli Israeliti credenti dei tempi antichi e gli Israeliti credenti che vivono nel tempo del nuovo patto.

Però testimoniano anche la discontinuità fra il patto levitico e il nuovo patto. Infatti mediante il sangue di Cristo, con cui Egli ha inaugurato il nuovo patto, la coscienza dell’ebreo viene sgravata dal peso del peccato (9:14-15; 10:4, 11-14; cfr. At 15:11; Ga 2:11-21) e l’adoratore viene ammesso nella presenza santissima di Dio (Eb 10:19-23), cose inimmaginabili sotto il patto levitico.

 

Quindi soltanto con l’avvento di Cristo e con la nascita della comunità del nuovo patto, credenti come Abraamo e Mosè conseguono la perfezione ovvero “completezza” (11:26). Il passaggio dall’antico al nuovo patto serve a realizzare “ciò che era stato promesso”.

Chi non segue Dio nell’effettuare questo passaggio in effetti dimostra di dare ascolto al proprio “cuore malvagio e incredulo” che lo porta a allontanarsi dal Dio vivente (3:12).

 

 

Per la riflessione personale o lo studio di gruppo

 

1. Quali sono le differenze fra gli esempi di fede ricordati in questo capitolo e il concetto umano di “eroe”?

2. Quale delle vicende accennate qui rassomiglia di più alla tua esperienza di fede?

 

3. In quale modo i vv. 39-40 aiutano a comprendere il rapporto di continuità e discontinuità fra i tempi in cui vivevano le persone attestate in questo capitolo e il tempo del nuovo patto?