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Come una terra promessa

 

Io e mia moglie Franca da molti anni ci rechiamo negli Stati Uniti e ci sentiamo sempre più legati a questo Paese. Ringraziamo il Signore perché è in questa terra che egli ha benedetto e continua a benedire sotto tutti i punti di vista nostro figlio Simone.

Gli Stati Uniti sono un immenso Paese che si estende dall’Atlantico al Pacifico; è una terra benedetta da Dio nella quale si trova, per dirla con le Scritture, “latte e miele”.

Dopo la scoperta di Cristoforo Colombo, in poco meno di un secolo il Nuovo Mondo si presentò alle nazioni europee (Spagna, Portogallo, Francia ed Inghilterra) come una specie di “Terra promessa”, dov’era possibile cercare e trovare materie prime preziose o fondare colonie in cui vivere e prosperare senza timore dell’oppressione politica e dell’intolleranza religiosa.

I colonizzatori europei, soprattutto Inglesi, si stabilirono fra il 1600 ed il 1700 nelle regioni della costa atlantica creandovi una fiorente vita economica e sociale.

Da questi inizi, nel giro di due secoli questo Paese è diventato uno dei maggiori protagonisti della vita e della storia mondiale.

Nel 1783 i coloni inglesi, liberatisi dalla madre patria, fondarono i primi 13 Stati e si resero finalmente liberi di governarsi come ritenevano giusto, prendendo gradatamente posto fra le nazioni del mondo.

Nel 1789 George Washington fu eletto come primo presidente della neonata nazione (gli Stati Uniti d’America).

Dopo la vittoriosa rivoluzione contro la Gram Bretagna, migliaia di avventurieri, di gente di ogni ceto si spinse verso il lontano Ovest (il Far West), fino alla California ed alle coste dell’oceano Pacifico, per occupare le immense praterie comprese fra il bacino del Mississippì e le Montagne Rocciose.

 

 

Un inizio difficile

 

Tornando un passo indietro, è utile ricordare, come raccontano con abile penna gli autori statunitensi del libro “Storia degli Stati Uniti”, che, quando nell’aprile 1607, i primi esploratori inglesi si avvicinarono con i loro vascelli alla baia di Chesapeake, non fu possibile approdare perché infuriava in cielo e sul mare una terribile tempesta.

Ma, quando il cielo finalmente si schiarì, quegli uomini, tormentati dal vento e dalla stanchezza, disposti a sfidare la morte in una viaggio così lungo e rischioso, guardarono stupefatti ed incantati la terra che si estendeva davanti ai loro occhi. Fu come se si fosse aperto il coperchio di un forziere: era una terra bellissima! Quella terra immensa, inabitata e inesplorata era lì, molto più a nord di dove, oltre un secolo prima, quel cocciuto navigatore italiano era approdato, convinto di essere sbarcato nelle Indie.

A comandare quei vascelli vi erano i capitano Christian Newport e John Smith, quest’ultimo diventato famoso per essere stato il primo europeo a posare il piede sul suolo nordamericano, commentando: “Bei prati, alberi straordinariamente grandi, acque talmente fresche da restarne quasi incantati”.

Gli uomini al comando di Newport esplorarono il territorio vicino alla costa, scoprendo “fragole quattro volte più grandi e migliori delle nostre in Inghilterra” ed anche un villaggio di indigeni che “pacificamente offrirono loro pane e tabacco”.

Quella terra di sarebbe chiamata Virginia, ma non avrebbe serbato solo gioie: alcuni indigeni, indisposti ad accettare la presenza dei nuovi arrivati, li attaccarono. Le malattie cominciarono a diffondersi, “crudeli morbi, quali gonfiori, emorragie, febbri brucianti”.

È qui che nascono ed a caro prezzo gli Stati Uniti d’America!

I coloni inglesi solo con il tempo seppero adattarsi alle nuove condizioni territoriali e climatiche. Il terreno molto fertile offriva di tutto, soprattutto grano a volontà, oltre a due nuovi prodotti: il mais e le patate. E in più: selvaggina abbondante, acque ricchissime, enormi laghi e fiumi che solcavano un terreno ricco di rame, di ferro, di carbone. Inoltre la costa orientale offriva un numero notevole di insenature, di baie, di approdi.

In poco tempo si formarono tredici colonie, distinte l’una dall’altra, ognuna con una propria organizzazione ed un proprio governo. Da questo “seme” si formò la struttura federativa che avrebbe portato all’indipendenza dalla Gran Bretagna ed alla nascita degli Stati Uniti.

Ma solo verso il 1890 le frontiere fra colonia e colonia, fra Stato e Stato, sarebbe completamente scomparse e si sarebbe conclusa un’epopea fatta di eroismo, ma anche purtroppo di soprusi e di sangue.

Vale forse la pena di ricordare che anche gli Spagnoli, dal Centro e dal Sudamerica si erano spinti nel Nordamerica, alla ricerca di oro, ma incredibilmente senza riuscire a trovare nulla di interessante. Solo una piccola colonia si stabilì per alcuni anni in Florida.

 

 

Le tappe di un crescente sviluppo

 

Il 13 maggio 1607 nacque così la prima colonia britannica in terra americana. Un gruppo di soli uomini fondò Jamestown con un fortino, un centro di culto, uno spazio libero e qualche capanna (fu questo il piccolo embrione dell’immenso Paese che oggi conosciamo). Lo sviluppo di tutta la colonia fu favorito dalla coltivazione del tabacco, ma dodici anni dopo la popolazione dell’intera Virginia era ancora di soli duemila abitanti. Fu così che venne deciso di far arrivare dall’Inghilterra una nave con novanta ragazze, destinate a diventare le mogli di quanti avevano potuto pagare loro le spese di viaggio.

L’11 dicembre 1620, in fuga dalla persecuzioni della chiesa anglicana, approdò più a nord una congregazione di calvinisti inglesi (i cosiddetti “Padri pellegrini”), in quella regione che sarebbe poi diventata il Massachussetts. Lo sviluppo di questa colonia non fu facile: metà degli uomini morirono di scorbuto durante l’inverno e l’approccio con gli indigeni fu tutt’altro che pacifico.

Ma col tempo crebbe dando vita a nuove colonie e di conseguenza a nuovi Stati.

Quasi tutte le colonie che si andavano via via formando condividevano gli stessi valori: la lingua predominante era l’inglese, era diffusa la tolleranza religiosa e civile, attraverso i valori fondamentali della libertà di espressione, di culto, di riunione e di stampa e ci si sentiva sempre meno “inglesi” e sempre più “americani”.

Le fusione fra le varie etnie (inglesi, tedeschi, francesi, olandesi, svedesi…) si sposò con uno spiccato spirito di iniziativa individuale e di intraprendenza, percepito come libertà primaria della persona, e con il rifiuto di qualsiasi forma di monopolio. Questo individualismo non provocò alcuna forma di disgregazione sociale, perché i coloni rimasero saldamente uniti da un elemento unificante: la certezza di condividere uno speciale destino in una terra vergine e ricca che offriva loro infine opportunità.

Ha ben scritto il giornalista e scrittore Giovanni De Sio Cesari:

 

“Quel grandioso fenomeno che fu la formazione degli Stati Uniti d’America, ha dato vita alla nazione che è diventata la più ricca, la più potente del mondo, che ha dato una patria, prosperità e dignità a immense folle di poveri e di miseri provenienti dall’Europa (e tanti dall’Italia) e da tutto il mondo. I tanti che attraversarono l’oceano non lo fecero certo perché erano dei rassegnati, ma perché avevano un sogno: riuscire, scacciare la miseria, dare un avvenire ai proprio figli e per questo erano disposti ad affrontare qualunque pericolo e qualunque sacrificio. È il «sogno americano», il valore americano per eccellenza: «riuscire, riuscire ad ogni costo».

Il West è il segno, l’emblema di questo sogno: per questo esso è stato tanto caro non solo agli Americani, ma in genere a tutti coloro che hanno il sogno di una vita migliore a qualunque razza e popolo appartengano”.

 

 

Un uomo straordinario

 

Si arriva così ai primi anni del XIX° secolo. In una sperduta capanna di tronchi – una sola stanza con pavimento in terra battuta – presso Hodgenville nel Kentucky il 12 febbraio 1809 nacque un bambino. Avrebbe avuto un’infanzia difficile. I suoi genitori erano modesti pionieri: il colono quacchero Thomas e sua moglie Nancy Hanks che, negli ultimi quattro anni della sua vita, si impegnò ad insegnare a leggere e a scrivere al suo figlioletto utilizzando la Bibbia. A dieci anni il bambino si ritrovò orfano di madre e a undici già impegnato nel lavoro di boscaiolo per aiutare il padre. Poi avrebbe fatto altri mestieri. conducente di barche, commesso in una drogheria, impiegato alle poste, continuando nel contempo gli studi come autodidatta. Riuscì a completare gli studi giuridici, divenendo avvocato, poi senatore ed infine 16° presidente degli Stati Uniti d’America dal 4 marzo 1861 fino al 1865. Quest’uomo era Abramo Lincoln.

La sua intera vita fu condizionata dalla lettura della Bibbia. Fu il presidente che abolì la schiavitù da tutto il territorio degli Stati Uniti, proclamando dal 1° gennaio 1863 l’emancipazione immediata in tutti gli Stati, che fu poi resa formalmente effettiva il 18 dicembre 1865 dal tredicesimo emendamento della Costituzione.

Fu rieletto presidente, ma cinque giorni dopo la sua rielezione, la sera del 14 aprile 1865, fu assassinato da un fanatico sicuramente contrariato dalla sua difesa dalla gente di colore.

 

 

Il bisogno di ringraziare!

 

Lincoln è ancora oggi ricordato come una delle più luminose figure nella storia degli Stati Uniti.

Nel periodo più difficile della sua presidenza, mentre era in corso la guerra di secessione provocata dagli Stati del sud contro quelli del nord, egli sentì la necessità di istituzionalizzare il “Thanksgiving Day” (“il Giorno del Ringraziamento” già istituito dai Padri pellegrini), fissandone in modo definitivo la celebrazione nel quarto giovedì del mese di novembre.

Egli accompagnò questo suo atto con queste parole:

 

“Siamo stati i beneficiari delle più eccellenti benedizioni del Cielo, siamo stati preservati in tutti questi ultimi anni, godendo della pace e della prosperità; siamo aumentati in numero, in ricchezza ed in potenza più di ogni altra nazione.

Ma abbiamo dimenticato Dio.

Abbiamo dimenticato la mano piena di grazia che ci ha guardati in pace, ci ha arricchiti e fortificati, ed abbiamo orgogliosamente immaginato, nell’inganno dei nostri cuori, che tutte queste benedizioni provenissero da qualche merito derivante da noi stessi.

Intossicati da un successo senza incrinature, siamo diventati troppo presuntuosi per sentire la necessità della Grazia che riscatta e che protegge, troppo orgogliosi per pregare l’Iddio che ci ha creati.

Mi è sembrato opportuno e convenevole che Dio sia solennemente riconosciuto, con riverenza e riconoscenza, e questo con un solo cuore ed una sola voce, da parte di tutto il popolo americano.

Invito dunque con insistenza i miei concittadini di tutte le regioni degli Stati Uniti, come quelli che sono in mare e quelli che soggiornano all’estero, a mettere a parte ed a rispettare l’ultimo giovedì di novembre, come un giorno di azioni di grazie e di lode al nostro buon Padre che abita nei cieli”.

 

Sono parole straordinarie e ricche di significato. Ancora oggi è un giorno che i cittadini degli Stati Uniti sentono profondamente e che coinvolge tutti.

Nelle chiese evangeliche è un giorno d festa che viene ricordato con azioni di grazie e di lode al Padre, perché nessuno dimentichi Dio e le eccellenti benedizioni che ha loro concesso come nazione.

Ho un ricordo vivo ancora nel mio cuore, anche se sono trascorsi moltissimi anni da quella sera.

Quando l’assemblea di Perugia si riuniva ancora in via Benincasa nel centro storico della città, al termine del nostro incontro di studio biblico che cadeva allora e cade ancora oggi proprio di giovedì, mi trovai a fare un tratto di strada in via dei Priori insieme al fratello Jim Lines (oggi residente a Rimini) ed a sua moglie Franca. Jim mi disse: “Stasera dobbiamo incontrare dei nostri amici americani per festeggiare insieme il Giorno del Ringraziamento”. Eravamo nel mese di novembre.

Allora non conoscevo il significato di questa ricorrenza, ma l’episodio è rimasto sempre nella mia mente.

 

 

Un esempio da imitare

 

Non sarebbe bello, come credenti, avere anche noi in Italia uno speciale giorno di ringraziamento?

Le persone della mia età e quelle ancora più anziane ricorderanno sicuramente come alla fine della seconda guerra mondiale l’Italia era povera, distrutta, ridotta alla rovina e alla fame, completamente a terra. Io avevo allora cinque o sei anni: per avere un pezzo di pane bisognava possedere la tessera e fare poi una lunga fila davanti al forno. Furono anni difficili.

 

Mi tornano in mente due testi biblici:

“Lascerò in mezzo a te un popolo umile e povero, che confiderà nel nome del Signore” (So 3:12).

“Gli occhi del Signore sono sui giusti e i suoi orecchi sono attenti alle loro supplicazioni; ma la faccia del Signore è contro quelli che fanno il male” (1P 3:12).

 

Per la Grazia di Dio l’Italia pian piano si risollevò, noi siamo stati beneficiari delle più eccellenti benedizioni di Dio. Ma… lo abbiamo ringraziato?!?

Non potremmo trasformare ogni fine anno, il momento del passaggio dal vecchio al nuovo, in uno speciale momento di ringraziamento, in un nostro Thanksgiving Day?

Un giorno di azioni di grazie, di lode, di ringraziamento per le benedizioni che il nostro Dio Onnipotente ci ha concesso in tutti gli anni, godendo della pace e della prosperità, della libertà di culto, di stampa, di riunione. È lui che, anno dopo anno, ci arricchisce e ci fortifica e noi siamo chiamati a confidare nella sua mano piena di Grazia e di Verità e a non dimenticare mai questa straordinaria realtà!

Che Dio possa inculcare anche in noi questo profondo desiderio!

 

Benedici, anima mia, il Signore, e NON DIMENTICARE alcuno dei suoi benefici” (Sl 103:2).

 

 

APPENDICE

 

Breve storia del Thanksgiving Day

 

Gran parte degli storici moderni associa la prima “Festa del Ringraziamento” ai Padri Fondatori, quando a Plymouth nel Massachussets nell’anno 1623, gli abitanti di quella colonia, dopo il duro lavoro degli inizi per dissodare e rendere coltivabile il terreno, ebbero nel mese di novembre un abbondante raccolto di mais, orzo, fagioli e zucche.

Il governatore della colonia, William Bradford, indisse un giorno di ringraziamento a Dio per l’abbondanza da lui ricevuta e per celebrare il successo di quel primo raccolto:

“Tutti voi, pellegrini, con le vostre mogli e i vostri piccoli, radunatevi nella Casa delle Assemblee sulla collina…per ascoltare il pastore e rendere grazie a Dio Onnipotente per tutte le sue benedizioni”.

Nel menù di quel primo Ringraziamento ci furono delle pietanze che divennero poi tradizionali per le feste: in particolare il tacchino e la zucca.

Negli anni seguenti i coloni continuarono a celebrare il raccolto annuale con una Festa del Ringraziamento.

 

Poi il 29 giugno 1676 il governatore della contea di Charleston, sempre in Massachussets, emanò un proclama con il quale indisse uno speciale Giorno del Ringraziamento per la buona sorte di cui godeva la comunità. Negli anni successivi poi la Festa si estese a tutto il Paese, anche se i primi tredici Stati non la celebravano contemporaneamente.

Proclamata l’indipendenza, il Congresso stabilì stabilì un Giorno del Ringraziamento da celebrare ogni anno.

Nei primi trent’anni di storia degli Stati Uniti, in occasione della ricorrenza, furono pronunciati solenni discorsi dai vari presidenti.

 

Il 3 ottobre 1789 a New York fu George Washington, il primo presidente, a suggerire la data del 26 novembre con un solenne discorso:

 

“Poiché è il dovere di tutte le nazioni riconoscere la provvidenza di Dio Onnipotente e ubbidire alla sua volontà, essere grati per i suoi benefici ed implorare umilmente la sua protezione ed il suo favore, e poiché entrambe le Camere del Parlamento mi hanno chiesto una giornata di pubblico ringraziamento e preghiera, riconoscendo con i cuori grati e molti favori di Dio Onnipotente, di quel grande e glorioso Essere che è l’Autore benefico di tutto il bene che è stato, che è e che sarà.

Vi invito tutti ad unirci per rendere a lui i nostri grazie sinceri ed umili, per la sua gentile premura e protezione del popolo di questo Paese prima ancora che diventasse una Nazione…

Che possiamo unirci nell’offrire umilmente le nostre preghiere e suppliche al grande Signore e Regnante delle Nazioni ed implorarlo di perdonare le nostre trasgressioni.”

 

Il secondo presidente, John Adams, anche lui emanò un analogo decreto nel 1798 accompagnandolo con queste parole:

 

“Dato che la sicurezza e la prosperità delle Nazioni dipendono in ultima analisi ed essenzialmente dalla protezione e dalla benedizioni di Dio Onnipotente, e dato che il riconoscimento nazionale di questa verità non è solo un dovere indispensabile che il popolo deve a lui, ma un dovere per la promozione della moralità e della devozione, raccomando che mercoledì 9 maggio sia osservato, in tutti gli Stati Uniti, come giornata di solenne umiliazione, digiuno e preghiera… riconoscendo davanti a Dio i molteplici peccati e le trasgressioni di cui siamo accusabili come singoli e come Nazione, implorando allo stesso tempo, per la sua infinita grazia, e per la mediazione del Redentore del mondo, di perdonare tutti i nostri peccati e di inculcarci, tramite il suo Santo Spirito, un sincero pentimento ed una conversione reale che ci dia motivo di sperare ancora nel suo favore e nella sua benedizione celeste.

E infine raccomando che in questo giorno l’umiliazione e la preghiera siano accompagnati da fervidi ringraziamenti al Datore di ogni dono…”

 

Il terzo presidente, Thomas Jefferson, non fece alcun particolare proclama.

 

Mentre il quarto presidente, James Madison, il 16 novembre 1814 nel 38° anno dell’Indipendenza, su richiesta delle due Camere del Congresso, invitò tutto il popolo, dati i tempi di calamità causati dalla Guerra d’Indipendenza con l’Inghilterra, ad osservare “un giorno di umiliazione pubblica, di digiuno e di preghiera a Dio Onnipotente per la sicurezza ed il benessere di tutti gli Stati”.

Il solenne proclama invitava anche a dedicare la giornata del 12 gennaio successivo ad incontri, nelle rispettive assemblee di culto, in cui offrire volontariamente la loro adorazione a Dio, invocare il ripristino di una situazione di pace e confessare i peccati attraverso un percorso di sincero pentimento.

 

Per circa mezzo secolo, fra il 1815 ed il 1862, non vi fu più alcuna proclamazione nazionale del Thanksgiving Day. Fu, come abbiamo già ricordato nella pagine precedente, il 16° presidente, Abramo Lincoln, a ripristinare la festa e ad assegnarle nel calendario il quarto giovedì del mese di novembre. Lincoln era convinto, fra le altre cose, che proclamare ufficialmente in tutti gli Stati ed osservare uno specialeGiorno di Ringraziamento avrebbe unito il Paese e lo avrebbe riappacificato, durante il difficile periodo della Guerra di Secessione.

 

 

L’istituzione definitiva della Festa

 

Diversi anni dopo il presidente Roosevelt, nel 1939, anticipò la celebrazione di una settimana per motivi economici e nel 1941 il Congresso degli Stati Uniti stabilì in modo definitivo che il quarto giovedì di novembre sarebbe stato, da allora in poi, giorno di festa nazionale proclamata ogni anno dal presidente in carica.

Anche oggi il Giorno del Ringraziamento cade il quarto giovedì di novembre, ogni anno ovviamente in un giorno diverso.

Questo giorno costituisce un prezioso momento di condivisione e di solidarietà, durante il quale i membri di una famiglia, anche se vivono distanti fra di loro, si riuniscono in casa di qualche vecchio parente per ringraziare Dio per le sue infinite benedizioni. In questospirito di solidarietà vi sono organizzazioni assistenziali che offrono un pasto tradizionale alle persone che si trovano nel bisogno, in modo particolare ai senzatetto. Nella maggior parte delle case si mangia lo stesso cibo che, secondo la tradizione, avrebbero mangiato i primi coloni e che ha portato al formarsi di un menù tradizionale: tacchino, mais, patate, zucche e salsa di mirtilli.

Nel 1988 a New York, durante il Thanksgiving Day, si riunirono più di quattrocento persone, fra le quali vi erano molti nativi americani in rappresentanza delle tribù di tutta la nazione e degli antenati che erano emigrati dall’Europa nel Nuovo Mondo. Questa unione di etnie diverse e soprattutto la presenza degli “indiani” costituì un pubblico riconoscimento del loro ruolo. Infatti senza il loro aiuto sarebbe stato impossibile per i primi coloni vivere in quella terra sconosciuta.

Oggi tutti i cittadini degli Stati Uniti, in patria ed all’estero, sentono molto questa festa. La gente si riversa con gioia per le strade dando vita alle caratteristiche parate.

Se qualcuno volesse unirsi a questa festa, o per nostalgia o per condivisione, può prepararsi a casa un menù a tema, con tacchino, salsa di mirtilli, patate e mais. Non sarà certo come essere in America, ma aiuterà a sentirla più vicina.

Ma soprattutto unirsi a questa festa significa ricordarne l’obbiettivo: ringraziare Dio per i suoi doni.

Allora: “Happy Thanksgiving Days a tutti i credenti e che Dio ci benedica!”.