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Debolezza… muscolosa!

Simboli legati a due temi di cui si è discusso e si discute molto: femminicidio e diversità di genere. 

È noto che il termine femminicidio, nell’accezione comunemente intesa, è un neologismo che può essere fatto risalire agli anni ‘90, per qualificare gli omicidi basati sul genere, che vedono come vittima la donna “in quanto donna”. Dati dell’Organizzazione Mondiale della Sanità indicano come la prima causa di uccisione nel mondo delle donne tra 16 e i 44 anni sia ad opera di persone conosciute: è un dato che fa rabbrividire. 

 Nel 2023 le donne uccise in Italia, spesso dal loro partner, hanno superato le cento unità: una ogni tre giorni. È un dato sconfortante che pone in luce soprattutto la fragilità dell’uomo. L’uomo moderno è estremamente debole e fragile e per nascondere questa fragilità mostra i muscoli.

A che cosa è dovuta questa penosa debolezza?

In primis dal peccato, elemento quasi del tutto trascurato da tutti coloro che ne parlano. L’apostolo Paolo in una delle sue lettere ricorda questa realtà: Infatti, mentre noi eravamo ancora senza forza, Cristo, a suo tempo, è morto per gli empi” (Ro 5:5); “senza forza” traduce il termine greco astenon dal quale deriva astenia, debolezza. Anche la donna, naturalmente ha le sue debolezze, ma se l’uomo arriva all’uccisione della donna è perché è più propenso a “mostrare i muscoli”. 

 In Europa non siamo soli e il triste primato di questa tragica realtà appartiene alla Germania che supera l’Italia di qualche unità. Non è un dato che può consolarci. D’altronde credo che ciò che spinge l’uomo alla violenza contro la donna sia comune al genere umano.

Quali sono i motivi di questa poco edificante diffusione?

È tutta colpa, come spesso si sente dire, di un’idea patriarcale della società? 

Patriarcato e maschilismo

Due parole sul patriarcato. Non c’è dubbio che nella Bibbia la struttura patriarcale sia piuttosto diffusa. Non è un caso che i capostipiti del popolo ebraico siano definiti “patriarchi”.

L’idea che emerge, però, rivela che patriarcato non è maschilismo, non è supremazia dell’uomo sulla donna e non prevede la supremazia di genere. L’uomo non è superiore alla donna perché entrambi furono creati a immagine divina. La Scrittura è piuttosto esplicita a riguardo: “Dio creò l’uomo a sua immagine; lo creò a immagine di Dio; li creò maschio e femmina” (Ge 1:27). Come il peccato ha trascinato il genere umano sotto la condanna divina (uomo e donna nella stessa misura), così la redenzione operata da Cristo salva tutti nello stesso modo, senza eccezione: la fede che afferra la salvezza operata da Cristo è dello stesso valore sia espressa dalla donna sia manifestata dall’uomo. Quando l’apostolo Paolo, spesso accusato di sciovinismo, afferma che “Non c’è qui né Giudeo né Greco; non c’è né schiavo né libero; non c’è né maschio né femmina” (Ga 3:28) non fa che ribadire lo stesso concetto: davanti al Signore non c’è differenza sostanziale che può dividere il genere umano in categorie nelle quali sia presente l’idea di superiorità o inferiorità. 

Va detto per inciso: il patriarcato secondo Dio non è superiorità ma responsabilità.

Perché non chiamarlo omicidio?

Definire l’uccisione di una donna da parte di un uomo “femminicidio” significa ancora evidenziare la diversità: è omicidio, è l’assassinio di una persona umana. L’omicidio è l’uccisione di un essere umano, non di un uomo nella sua accezione di maschio.

È vero che ciò che definiamo femminicidio ha spesso dei risvolti drammatici, crudeli, ma è pur sempre un atto perpetrato nei confronti di un essere che ha in sé l’immagine divina e questo è esplicitamente condannato dalla Scrittura dove il Signore giudica severamente chi sparge il sangue dell’uomo (inteso come creatura umana) perché: “Dio ha fatto l’uomo a sua immagine” (Ge 9:6).

Il femminicidio è un atto compiuto da un uomo contro una donna, ma questo non è superiore o inferiore a un assassinio perpetrato contro un uomo. Ha senz’altro dei risvolti più drammatici, più pervasivi che alle menti malate offre un modello da imitare, ma di fronte al Creatore il sesto comandamento (“non uccidere”) ha lo stesso peso.

Adamo ed Eva: l’uomo e la donna nel progetto divino

Andiamo alle origini. L’uomo è visto “solo” e questa solitudine suona come incompletezza. Dio interviene creando un essere, simile ma diverso, che sia per lui un “aiuto adatto”.

Adatto per che cosa? Non è specificato ma il testo ci offre l’idea di “completezza” necessaria per l’uomo. È troppo dire che l’uomo senza la donna si troverebbe in quella situazione definita da Dio “non buona” (Ge 2:18). Parlando della mia esperienza personale so di essere incompleto senza la mia “dolce metà”. Siamo sposati da 53 anni e la sua presenza nella mia vita è sempre più necessaria.

La donna è sicuramente diversa dall’uomo, ed è bene che questa diversità sia posta in risalto perché è proprio di questa che l’uomo ha bisogno! Per questa diversità l’uomo deve essere grato al Creatore che l’ha voluta e che ha in sé il senso di compiutezza.

Amore e possesso

L’aggettivo “mia” deve essere compreso nel giusto senso. Se dico “questa è la mia auto”, affermo che l’oggetto è di mia proprietà, io sono il proprietario dell’auto. Ma la donna non è un oggetto che può appartenermi, è una persona che come me è a “immagine e somiglianza” del Creatore. L’aggettivo in questo caso non indica possesso ma un legame; la donna non mi appartiene, ma è legata a me da un vincolo. Quando affermo che l’Italia è la mia patria non sto proponendo l’idea che il Paese sia un mio possesso; la stessa cosa quando dico “mio Dio”.

Un verso del Cantico dei Cantici, un testo che può insegnarci molto sul rapporto uomo-donna, recita: “Il mio amico è mio, e io sono sua” (2:16): è questa reciproca appartenenza, in cui l’uomo e la donna sono considerati sullo stesso piano, che potrebbe essere considerata legittima. I due sono legati l’uno all’altra.

Amare è servire

Gesù c’insegna come amare la moglie, anche senza essere mai stato sposato. È Dio che ha istituito il matrimonio, non dimentichiamolo. Le sue parole devono essere incise con caratteri di fuoco nel cuore di ogni marito, fidanzato o compagno che sia. 

“Mariti, amate le vostre mogli, come anche Cristo ha amato la chiesa e ha dato se stesso per lei, per santificarla dopo averla purificata lavandola con l’acqua della parola, per farla comparire davanti a sé, gloriosa, senza macchia, senza ruga o altri simili difetti, ma santa e irreprensibile. Allo stesso modo anche i mariti devono amare le loro mogli, come la loro propria persona. Chi ama sua moglie ama se stesso. Infatti nessuno ha mai odiato la propria persona, anzi la nutre e la cura teneramente, come anche Cristo fa per la chiesa, poiché siamo membra del suo corpo” (Ef 5:25-30).

L’amore qui descritto si riassume nel servizio, un servizio che può arrivare al dono di sé: “ha dato se stesso per lei”. Questo ci autorizza a pensare che l’amore autentico va oltre al “come te stesso” per arrivare a “più di te stesso”.

È un amore tenero che pensa soprattutto al bene dell’altra, è un continuo donarsi allo scopo di rendere la donna più bella (in senso etico), più amabile, più pura, più importante. L’amore così espresso avrà sicuramente degli enormi benefici per lei e, di riflesso, anche per lui.

Negli anni vissuti insieme può capitare che vi siano dei momenti in cui i sentimenti non siano quelli indicati da Gesù, ma è proprio in questi momenti che dobbiamo amare per amore di Gesù: l’amore va oltre il sentimento, va oltre il “ciò che io sento”, per arrivare all’obbedienza. Non ha forse detto Gesù che amare è un comandamento (Gv 13:34)? Amare anche se il cuore va in un’altra direzione. “Va dove ti porta il cuore” è un’idea che non collima con ciò che la Parola di Dio insegna.

Dovere dei genitori è quello di educare i figli ad amare, siano maschi o femmine: questo insegnamento deve avere la priorità su tutto ciò che si può insegnare, soprattutto con il proprio esempio.