Tempo di lettura: 7 minuti

Una Parola sempre attuale

Il brano biblico che il Signore ha posto alla mia attenzione è stato quello del profeta Abacuc.

Fino a quando griderò, o Signore, senza che tu mi dia ascolto? Io grido a te: «Violenza!» e tu non salvi. Perché mi fai vedere l’iniquità e tolleri lo spettacolo della perversità? Mi stanno davanti rapina e violenza; ci sono liti e nasce la discordia. Perciò la legge è senza forza, il diritto non si fa strada, perché l’empio raggira il giusto e il diritto ne esce pervertito

(Ab 1:2-4)

Io starò al mio posto di guardia, mi metterò sopra una torre e starò attento a quello che il Signore mi dirà, e a quello che dovrò rispondere circa la rimostranza che ho fatta. Il Signore mi rispose e disse: «Scrivi la visione, incidila su tavole, perché si possa leggere con facilità; perché è una visione per un tempo già fissato. Essa si affretta verso il suo termine e non mentirà; se tarda, aspettala, poiché certamente verrà, e non tarderà». Ecco, egli si è inorgoglito, non agisce rettamente; ma il giusto per la sua fede vivrà”

(Ab 2:1-4)

Situazione di Abacuc

Il contesto storico in cui visse e profetizzò Abacuc, contemporaneo di Geremia, è quello di grandi cambiamenti socio-politici nei quali il regno di Giuda, cento anni dopo la fine del regno d’Israele, assiste alla caduta dell’impero assiro, trovandosi però stretto tra due grandi potenze come l’Egitto e Babilonia, che dopo poco marcerà su Giuda. La spiritualità del popolo è in decadenza: ci sono la Legge e il Tempio, ci sono i teologi, ma tutto è formalismo e ritualità. Geremia rimprovera i falsi profeti e i sacerdoti che non vedono la profondità della crisi: “Essi curano alla leggera la piaga del mio popolo; dicono: «Pace, pace», mentre pace non c’è” (Gr 6:14). La Scrittura viene studiata, insegnata, letta e riletta con impegno, ma appare sempre più debole, una parola antica, stanca, lontana dalla realtà. Anche la situazione politica è traballante, ma si fa finta che funzioni; il malvagio re Joakim, persecutore di Geremia, si piega a compromessi pur di durare più a lungo possibile. Dove trovare una parola di vita e di speranza?

Abacuc è un uomo sconcertato e scoraggiato dalla situazione del suo popolo, che pure è il “popolo di Dio”. Lui è un profeta: un uomo consapevole che Dio parla e agisce nella storia. La sua è la frustrazione delle parole – l’unica arma che il profeta ha – che non hanno più effetto; grida a Dio fino a stancarsi: “Fino a quando griderò, o Signore, senza che tu mi dia ascolto? Perché mi fai vedere l’iniquità e tolleri lo spettacolo della perversità? ci sono liti e nasce la discordia” – ma tu, Dio, taci. Anche il profeta conosce il tempo degli interrogativi che non hanno una risposta.

La situazione attuale

Non è difficile capire come non ci sia nulla di nuovo sotto il sole. Anche oggi, non solamente in Italia, stiamo vivendo un tempo nel quale i popoli soffrono una condizione di sbandamento sociale e spirituale, tempo di scoraggiamento, delusione senza che si intravveda all’orizzonte una soluzione. Finite le grandi ideologie del XX secolo, finiti i grandi partiti che per più di 100 anni hanno rappresentato punti di riferimento ideali e materiali, è subentrato un sentimento di smarrimento e un fare segnato dall’improvvisazione. La speranza in una unità europea che non sia solamente economica si è fatta sempre più lontana, anzi sta perdendo pezzi. Il futuro è incerto. La Chiesa arranca. Dio sembra tacere.

Crisi sociale e religiosa

Come testimoniare di Dio in questo contesto culturale, sociale e spirituale? Questo è tutto il nostro problema. Il mondo nel quale la Chiesa vive è tornato ad essere un mondo apertamente secolarizzato. Essere ateo è la norma, chi si deve giustificare è il credente. Il rifiuto a volte anche sgarbato e canzonatorio della nostra testimonianza ci mette a confronto con una società apertamente lontana da Dio, realtà alla quale la Chiesa sembra non essersi ancora del tutto abituata. Il confronto è difficile; difficile rendere il messaggio dell’Evangelo attraente, incisivo, eppure la Chiesa ha solamente questo tesoro. La teologia ha frugato in mille direzioni, ma non sembra aver trovato ancora una via convincente.

Si sente bene che i vecchi metodi non funzionano più; gli schemi teologici validi ieri suonano oggi incomprensibili. Se diciamo a qualcuno che Dio salva per sola grazia, ci guarda con fare distratto e alzando le spalle ci dice che quello è il “mestiere di Dio”. Siamo i primi a percepire il distacco tra ciò che vogliamo testimoniare e le problematiche di chi ascolta; manchiamo il bersaglio. Ma non possiamo solamente incolpare il mondo cattivo che non ci vuole ascoltare, il mondo è sempre stato mondo. È vero, la Chiesa non sarà mai un movimento di massa, ma la crisi c’è e dura da tanto tempo; eppure il mondo non vive felice e sereno, l’uomo e la donna di oggi hanno molti interrogativi, però rifiutano le vecchie parole, il già sentito dire, anche perché proviene da istituzioni – le chiese – che in secoli non hanno saputo dare molta fiducia.

Anche all’interno delle chiese è difficile fare un discorso sul risveglio della Chiesa. C’è il pericolo che in questa persistente perplessità, non sapendo che strada prendere, le varie comunità cristiane comincino a dimissionare dal loro mandato: chiese che preferiscono l’entusiasmo superficiale alla dottrina; chiese che per non perdere il contatto con la realtà scelgono di accentuare la diaconia, centrano il messaggio sull’aiuto al prossimo, parlano di sociologia e di ecologia, con il pericolo di assomigliare troppo alle organizzazioni non governative; oppure, altre comunità, per paura di contaminarsi si ritirano in piccoli ghetti predicando la fuga dal mondo e indicando il cielo e le nuvole, lasciando spazio a chi ha interesse a che le cose rimangano come sono. Ma la somma di queste posizioni non fa l’Evangelo. Dobbiamo dircelo che così non va bene e considerare come vogliamo procedere. Perché se si pensasse di riprendere come prima, andando a fare al mondo incredulo una lezione su Dio, allora è inutile mettersi in cammino. Il discorso su Dio oggi non può essere fatto con una coscienza tranquilla da nessuno, prima di accusare gli altri di incredulità, noi cristiani dobbiamo riguardare noi stessi perché non siamo senza responsabilità. Non dobbiamo nasconderci il pericolo di non sapere più quale sia il messaggio di Dio per oggi. Dobbiamo tornare alla domanda fondamentale: Fratelli, cosa dobbiamo fare?(At 2:37).

Dio tace

Abacuc grida a Dio, che tace. Non è né la prima né l’ultima volta che Dio è in silenzio. Già al tempo del profeta Samuele è detto che “la parola del Signore era rara… e le visioni non erano frequenti” (1Sa 3:1), e il profeta Amos chiarisce: “Ecco vengono i giorni, dice il Signore, in cui io manderò… fame e sete di ascoltare la parola del Signore. Allora vagando da un mare all’altro, …in cerca della parola del Signore, non la troveranno” (Am 8:11,12). Silenzio di Dio che hanno dovuto sopportare con fede anche il vecchio Simeone e la vecchia Anna prima di poter vedere la “consolazione d’Israele” (Lu 2:25ss). Questa è la situazione.

Nel secolo passato, è già stato detto di tutto e di più sulla crisi del cristianesimo: da “Dio è morto” a “Viviamo in un periodo in cui Dio è per noi il Dio assente”; sul silenzio di Dio il teologo Paul Tillich scrive: “È l’opera dello Spirito stesso di Dio; Dio si sottrae alla nostra vista, non soltanto ai singoli, ma ad intere epoche… per poi, l’Assente, tornare a riprendere il posto che gli appartiene; e la presenza dello Spirito di Dio può di nuovo irrompere nella nostra coscienza”.

Può darsi allora che passi ancora questa generazione senza che la Chiesa trovi la giusta via per la sua missione; ma noi dobbiamo interrogarci sulla ragione di questo silenzio di Dio, capirne la ragione.

La fede pone domande

Finché Abacuc e la Chiesa pongono sotto inchiesta l’operare di Dio: “Perché non fai? Perché non dici?”, la fede sarà l’agitarsi impaziente del “non potere”, come un girare affannoso dentro un labirinto. Solamente nel momento in cui il profeta-chiesa stanco del suo daffare, scoprirà di essere povero e impotente e porrà domande, ma come i gemiti degli Ebrei in Egitto, Dio avrà la possibilità di aprire una strada in mezzo al mare. L’immagine vera della Chiesa è quella dell’uomo inginocchiato, che esaurite le sue energie e le sue speranze, a mani vuote, pone domande fiduciose a Dio, riconoscendo che davanti a lui esiste un Tu, un Tu che è silenzio e mistero. Dio è in silenzio, ma non dorme.

La risposta: sola fede

Alla fine Dio risponde ad Abacuc, ma non a tono. Può davvero accadere che le risposte di Dio mettano l’uomo e la Chiesa ancora più in difficoltà, ma è per far scoprire qual è il loro posto. Il messaggio è una visione e un giudizio:

Il Signore mi rispose e disse :«Scrivi la visione, incidila su tavole, perché si possa leggere con facilità; perché è una visione per un tempo già fissato. Essa si affretta verso il suo termine e non mentirà; se tarda, aspettala, perché certamente verrà, e non tarderà. Ecco, egli si è inorgoglito, non agisce rettamente; ma il giusto per la sua fede vivrà»”

(Ab 2:2-4)

Il giudizio è allora quello su una cultura e un popolo inaridito, imbarbarito, violento, ma anche avvertimento alla Chiesa dalla predicazione priva di autorità, a riconsiderare le sue scelte. Il silenzio di Dio è già parola che chiama a ravvedimento i figli che ama.

La “visione” invece riguarda “un termine”, una soluzione certa che Dio chiede di aspettare; chiede dunque fede che ora non vede, che non garantisce un oggi, che non assicura una forza ma garantisce “un fine”, e “se tarda…, aspettalo”. La fede non è un potere per fare ciò che vogliamo, ma impotenza: impotenza della Chiesa che turbata dalle vicende che la circondano resiste e si acquieta solo arrendendosi totalmente a Dio. È quando la fede scopre sé stessa come debolezza, interrogativo senza risposta e sa aspettare rimettendosi solo in Dio che diventa forza; allora “… il giusto per la sua fede vivrà”; questa è la vittoria che ha vinto il mondo: la nostra fede” scrive l’apostolo Giovanni (1Gv 5:4)

È per sola fede che avremo un futuro, è per sola fede che comprenderemo il mistero della storia che Dio porta avanti.

Un’ultima cosa

Dio rivela ad Abacuc che la soluzione alla crisi è già in atto, si muove nascosta nella trama della storia; un brano della profezia, velatamente indica la venuta di Cristo quale soluzione definitiva al travaglio del mondo e della chiesa (3:13). Ma una cosa è certa: a noi il Messia è già venuto, a noi la Parola è già stata data e il tesoro dell’evangelo di Gesù Cristo della salvezza per sola grazia non cambia; ma chi lo rende vivo è lo Spirito; quello che deve nuovamente soffiare è lo Spirito del Signore, come tante volte è accaduto nella storia quando la Parola di Dio torna libera da tanti legacci. Non dobbiamo sbagliare bersaglio; la Chiesa non deve cercare la forza in sé stessa né in grandi personalità, ma in Dio. La soluzione non sarà nei movimenti che cercano l’affermazione della Chiesa, ma nell’umiliazione e pentimento, ritrovando nella sola fede in Cristo il principio, la fine e il centro della sua esistenza.

Ora, quello che ci è chiesto è la cosa più difficile. Dice Abacuc: “Starò al mio posto di guardia, sopra una torre, attento a quello che il Signore mi dirà” (2:1); la cosa più difficile è saper aspettare Dio, saperlo aspettare con una fede che si fida. La vera incredulità è quella di coloro che sono sempre sicuri di cosa fare e dire, che impazienti devono sempre agire senza fermarsi un momento, uomini che non aspettano più nulla. La vera disposizione del cuore credente di ogni epoca e in ogni situazione è quella di coloro che aspettano Dio con viva fede, e se tarda aspettano. Questo sarà il contributo più efficace per testimoniare ancora oggi l’Evangelo che solo salverà il mondo. Questa aspettativa fiduciosa che Dio opererà, è la vera tradizione della chiesa dell’Evangelo, perché “Non ci vergogniamo dell’evangelo; perché esso è potenza di Dio per la salvezza di chiunque crede, del Giudeo prima e poi del Greco; poiché in esso la giustizia di Dio è rivelata da fede a fede, com’è scritto: «il giusto per fede vivrà» (Ro 1: 16-17).