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Un servizio totale

“Vi siete convertiti dagl’idoli a Dio per servire

il Dio vivente e vero” 

(1Te 1:9)

Noi siamo stati salvati per servire Dio; l’appartenere a Gesù implica che siamo diventati suoi servi o, per essere più fedeli all’originale greco, suoi schiavi (Ro 6:22; Ap 22:3; 1Co 7:22) e tali nei loro scritti si riconoscono Paolo e Timoteo (Fl 1:1; Ro 1:1; Tt 1:1), Giovanni (Ap 1:1, 19:10, 22:9), Giacomo (Gm 1:1), Giuda (Gd 1), Pietro (2P 1:1).

Stiamo parlando di fratelli che vivevano la grazia, che non potevano essere certo accusati di legalismo o di religiosità, che erano consapevoli di essere figli di Dio, liberi in Cristo, partecipi della natura divina. Eppure si definiscono schiavi e chiamano Cristo “Signore” o addirittura despotes (vedi At 4:24; Gd 4; 2P 2:1; Ap 6:10), un termine che in italiano ha una connotazione assolutamente negativa e indica il tiranno o chi abusa della propria autorità. In origine invece era un titolo dato ai re degli imperi orientali (e in questo senso era sinonimo di kyrios) e nel mondo greco-romano indicava il padrone di casa (es.: 2Ti 2:21), il possessore. Cristo è il Signore, il Sovrano, il Padrone di tutto e noi siamo suoi schiavi e siamo chiamati a servire 24 ore al giorno per 365 giorni all’anno. Questo è lo scopo della nostra vita.

Perché serviamo?

Il concetto di servizio cristiano, però, si presta a possibili fraintendimenti. Potremmo per esempio pensare che:

  • Servire significhi fare qualcosa per il Signore, dare qualcosa al Signore.
  • Servire significhi essenzialmente fare qualcosa per gli altri; e questo mi potrebbe portare a:
    • pretendere che gli altri facciano come me o più di me; può succedere che in una certa comunità i più impegnati si lamentino del fatto che gli altri non si adoperano “allo stesso modo”.
    • aspettarsi qualcosa in cambio, ammirazione, gratitudine, onore, favori… Come mia figlia, che quando cede al fratello il pezzo di cioccolato più grande dice “Dimmi grazie!”.
  • Per servire occorra essere capaci; e questo spinge:
    • alla inoperosità (non sono capace)
    • all’orgoglio (sono più bravo degli altri)
    • a pensare che per svolgere un servizio efficace bisogna dare “il meglio” di sé.
  • Dobbiamo e possiamo servire il Signore nel modo che ci piace di più, nel campo in cui ci sentiamo più a nostro agio, nel modo che pensiamo che sia il migliore.
  • Dobbiamo dedicare un certo “quantitativo” al servizio; per esempio la “decima” del mio tempo, visto che il tempo è il bene più prezioso.
  • Dobbiamo servire solo se ce la sentiamo, se ci viene naturale, se non ci costa fatica; in caso contrario sarebbe solo “religione”, quindi è meglio se non serviamo.

L’apostolo Pietro, nella sua prima lettera, dà importanti indicazioni sul perché e sul come servire:

“Come buoni amministratori della svariata grazia di Dio, ciascuno, secondo il dono (gr.: carisma) che ha ricevuto, lo metta a servizio (gr.: diaconia) degli altri. Se uno parla, lo faccia come si annunciano gli oracoli di Dio; se uno compie un servizio, lo faccia come si compie un servizio (gr.: diaconia) mediante la forza che Dio fornisce, affinché in ogni cosa sia glorificato Dio per mezzo di Gesù Cristo, al quale appartengono la gloria e la potenza nei secoli dei secoli” (1P 4:10-11).

Pietro dice che siamo chiamati a essere “amministratori della grazia di Dio e dobbiamo servire secondo il carisma che ci è stato donato. Usa il pronome ciascuno, perché tutti abbiamo ricevuto un carisma e tutti siamo chiamati a servire, anche se non tutti nella stessa maniera.

E non è superfluo sottolineare la parola “carisma” (che viene da caris, grazia) e la parola “ricevuto.

Nel ricevere per grazia, gratuitamente, un dono non vi è alcun merito; è triste vedere come un carisma possa essere invece un motivo di vanto o di auto-glorificazione o auto-gratificazione. I carismi sono dati per essere messi al servizio degli altri. Ed è Dio, non noi, che sceglie come lo dobbiamo servire “secondo il dono che abbiamo ricevuto”. Siamo servi gli uni degli altri e siamo servi di Dio e di Cristo. E qui ci troviamo davanti a un paradosso perché se ci risulta comprensibile e accettabile il concetto di servire i fratelli, è assurdo servire Dio, perché Dio non ha bisogno di niente e nessuno; Dio (e solo Dio) è autosufficiente, indipendente, completo; le cause, l’origine, le risorse, i mezzi, gli scopi per la sua esistenza sono solo in se stesso.

  • “Se avessi fame, non lo direi a te, perché mio è il mondo, con tutto quel che contiene” (Sl 50:12).
  • “Il Dio che ha fatto il mondo e tutte le cose che sono in esso, essendo Signore del cielo e della terra… non è servito dalle mani dell’uomo, come se avesse bisogno di qualcosa; lui, che dà a tutti la vita, il respiro e ogni cosa (At 17:24-25).

Allontaniamo dalla nostra testa l’idea di poter “fare qualcosa per il Signore”. Può l’uomo recare qualche vantaggio a Dio?” si chiede retoricamente Elifaz (Gb 22:2).

Il servizio: dono della grazia di Dio

Ma se Dio non ci chiede di servirlo per un suo bisogno, perché vuole che lo serviamo?

La risposta è una sola: perché ci vuole dare qualcosa e ci vuole felici.

Servire è un aspetto della “svariata o multiforme grazia di Dio” come scrive Pietro (1P 4:10) e, quando parliamo di grazia, parliamo di un dono che Dio fa alla chiesa ma anche e soprattutto al servitore stesso. Paolo scrive: “… io sono diventato servitore secondo il dono della grazia di Dio a me concessa in virtù della sua potenza. A me… è stata data questa grazia di annunciare agli stranieri le insondabili ricchezze di Cristo” (Ef 3:6-8; vedi anche 2Co 4:1; Fl 1:7; Lu 1:74). Ai Romani scrive: “Vi ho scritto un po’ arditamente su alcuni punti, per ricordarveli di nuovo, a motivo della grazia che mi è stata fatta da Dio, di essere un ministro di Cristo Gesù tra gli stranieri (Ro 15:15-16).

La chiesa di Gerusalemme all’unanimità pregava: Concedi ai tuoi servi di annunciare la tua Parola in tutta franchezza, stendendo la tua mano per guarire, perché si facciano segni e prodigi mediante il nome del tuo santo servitore Gesù” (At 4:29-30).

Servire è una grazia ma questo non significa che non sia faticoso, che non richieda tempo, impegno, abnegazione, energia, disciplina. Paolo parla spesso delle sue fatiche: “Sono servitori di Cristo? Io (parlo come uno fuori di sé) lo sono più di loro; più di loro per le fatiche, più di loro per le prigionie, assai più di loro per le percosse subite” (2Co 11:23).

Non solo, loda i Tessalonicesi per le fatiche del loro amore (1Te 1:3); loda Trifena, Trifosa e Perside che si affaticano nel Signore (Ro 16:12). Ai Corinzi scrive: La vostra fatica non è vana nel Signore” (1Co 15:58) e li esorta a “sottomettersi a chiunque lavora e fatica nell’opera comune” (1Co 16:16).

Senza dubbio servire è faticoso, ma è meraviglioso perché siamo schiavi di un padrone fantastico che ci ama e ci ordina cose che sono per il nostro bene. Quindi siamo chiamati a essere schiavi per amore e non per dovere, per convinzione e non per costrizione. Non mercenari che servono in cambio di qualcosa, ma figli che servono per il piacere di servire il loro Padre.

Infatti servire è un privilegio, è una grazia che il Signore fa in primis a noi stessi, un regalo che il Signore ci fa perché ne godiamo; se il Signore mi chiama a svolgere un certo servizio e io rifiuto di farlo, sto di fatto rigettando un regalo del Signore. Ai Corinzi Paolo scrive che “ciascuno riceverà il proprio premio secondo la propria fatica” (1Co 3:8). Dio ricompensa sempre chi lo serve; e non parliamo (solo) di corone nell’aldilà o di speciali benedizioni su questa terra. Piuttosto lo stesso atto del servire è la ricompensa, perché nel servire riceviamo. Quando serviamo, non siamo noi a dare qualcosa a Dio ma è Dio che ci dona.

Quale è dunque la mia ricompensa? Questa: che annunziando l’Evangelo, io offra l’Evangelo gratuitamente, senza valermi del mio diritto nell’Evangelo” (1 Co 9:18).

Servire è una grazia; se non serviamo non stiamo privando di qualcosa Dio, visto che è onnipotente e autosufficiente, né il mio fratello né il mondo, perché Dio può provvedere a loro in altro modo che non attraverso me, ma stiamo privando noi stessi di qualcosa, di gioia, di felicità, di piena soddisfazione perché servire Dio e vivere in comunione con lui è la unica cosa che può soddisfarci in pieno.

Ecco perché la Parola insiste sul servire con gioia, come leggiamo per esempio in Romani 12:6-8. Un servizio fatto senza gioia non ha senso. Ci saranno inevitabilmente momenti in cui la gioia viene meno, il lavoro diventa più pesante, la fatica si fa sentire ma se è la norma vuol dire che stiamo servendo nel modo sbagliato.

Come serviamo?

A questo punto quindi ci dobbiamo chiedere: come servire?

La risposa ce la dà Pietro nello stesso testo che abbiamo esaminato: “mediante la forza che Dio fornisce (iskus, energia ). E anche qui dobbiamo chiarire. La forza di cui si parla non è qualcosa di esterno a Dio, è Dio stesso la nostra forza oltre che il nostro cantico (Sl 118:14). Dio non si limita a darci la potenza per compiere un certo ministero; ci ha dato molto di più, ci ha donato il Figlio, ci ha donato lo Spirito Santo. Abbiamo il Dio trino che vive in noi. La forza di cui parla Pietro non è dunque qualcosa di esterno a Dio e neanche qualcosa di esterno a noi stessi, ma il Dio vivente in noi, è lo Spirito Santo di cui siamo il tempio, è il Cristo che abita nei nostri cuori.

Un servizio può piacere a Dio ed essere efficace se e solo se lasciamo che sia Cristo, il santo servitore di cui leggiamo in Atti 4:29 o il diacono di Romani 15:8, a servire in noi. In caso contrario, prima o poi, diventerà un peso, diventerà noioso, porterà a orgoglio o vanagloria.

Mi fa molto riflettere il famosissimo Salmo 23, dove al versetto 5 leggiamo: “Per me tu imbandisci la tavola, sotto gli occhi dei miei nemici; cospargi di olio il mio capo; la mia coppa trabocca”.

Imbandire la tavola e cospargere di olio sono compiti da servitori. Il nostro Sposo, Cristo, è talmente meraviglioso che non solo si è incarnato per servirci (Mr 10:45, Lu 12:35-37 dove è usato proprio il termine diaconia), ma in un certo senso continua a servirci, benché sia il Re dei re, il Signore dei signori, il Padrone dell’universo.

Allora solo se impariamo a presentarci come morti viventi, a spogliarci del vecchio uomo e a lasciare che Cristo prenda il comando dirigendo i nostri pensieri, le nostre parole e le nostre azioni, solo così potremo veramente svolgere un vero servizio. Servire ci verrà spontaneo e non sarà un dovere ma un piacere, le fatiche saranno sopportabili e non ci aspetteremo niente in cambio perché il servire stesso sarà la nostra ricompensa.

E solo così, attraverso la forza di Dio e la vita del Cristo posso “glorificare Dio in ogni cosa per mezzo di Gesù Cristo”, come abbiamo letto in 1Pietro 4, altrimenti finirò per cercare di dare gloria a me stesso o a qualcos’altro.

Io non ho fatto il servizio militare, nel 1991 fui scartato alla visita di leva. I medici militari mi hanno giudicato non idoneo, non abile; non ho potuto “servire la patria” per incapacità fisica. Adesso, ogni giorno mi stupisco e mi chiedo come può il Signore aver chiamato me a servire come anziano nella mia comunità. La risposta è che il nostro Medico Celeste, a differenza dei medici dell’esercito, chiama e usa i malati che si riconoscono tali affinché, usando la sua potenza, il suo amore, la sua saggezza e la sua vita, sia data gloria a lui, a lui solo.

Chiudo ripetendo: non priviamo noi stessi della gioia di servire il nostro Sposo, mettiamoci al servizio di Cristo e della sua Chiesa, perché per questo siamo stati creati e redenti e solo questo ci può veramente soddisfare. E serviamolo non con i nostri miseri mezzi carnali, ma con la sua forza, riconoscendoci morti e lasciando che Cristo viva con tutto il suo amore e la sua potenza in noi.