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Caro fratello Paolo,

mi sono deciso a scrivere per presentare un problema che si verifica puntualmente in alcuni incontri delle chiese locali che ho frequentato.

Spesso siamo invitati da altre chiese a partecipare all’incontro di battesimi per rallegrarci insieme per la conversione di nuove anime chiamate dal Signore e per ascoltare la loro testimonianza.

Non posso che gioire quando assisto a questi incontri, ma devo dire che sono anche preoccupato per la programmazione insoddisfacente che a volte non tiene conto del carattere dell’incontro né delle esigenze dell’uditorio.

Mi spiego meglio portando un esempio. Ho partecipato ad un incontro battesimale dove vi erano cinque fratelli che rendevano testimonianza con il battesimo. Su ogni sedia della sala di culto c’era un foglio con il programma dell’incontro; fui molto sorpreso nel constatare che sul foglio erano stampati undici canti (che poi abbiamo cantato integralmente), di cui cinque scelti dai battezzandi (oggi siamo più “spirituali”, perché ricordo che anni fa veniva cantata una sola strofa del canto scelto dai neofiti). Dopo lo svolgimento del programma, abbiamo notato che l’incontro è durato più di due ore.

Mi metto nei panni dei parenti e amici dei battezzandi, che per la prima volta assistono a dei battesimi (e temo che sarà per loro anche l’ultima, visto la durata dell’incontro).

Ora, facendo subito un calcolo approssimativo, per cantare undici canti ci vogliono circa 45 minuti; ma, mi domando: “Si tratta di un incontro di canto o di battesimi?”. Così, non è stato rispettato appieno il carattere dell’incontro che deve essere di testimonianza (oltre che di accoglienza dei battezzandi come membri della chiesa locale).

Al tempo dedicato al canto, si aggiunge quello del presentatore che, a volte, si dilunga più del dovuto o addirittura si sostituisce al predicatore, quando, specialmente alla fine, ripete l’appello già fatto dall’oratore; poi c’è il tempo del messaggio, ridotto per ragioni di tempo e infine il tempo delle testimonianze, che spesso vengono ridotte al minimo, perché rimane poco tempo.

Finito l’incontro, non resta più tempo per conoscere i parenti e gli amici dei battezzandi, per dare loro la possibilità di fare domande (spesso purtroppo vanno via prima della fine dell’incontro). Questa situazione si è ripetuta in altri incontri ai quali ho partecipato.

Domanda: in questo modo, stiamo rendendo una buona testimonianza?

Pensiamo allo svolgimento del programma della Chiesa o all’esigenza delle anime perdute?

Lo stesso discorso vale per i matrimoni, per i funerali, per l’inaugurazione di un nuovo locale, per i convegni, per gli incontri di evangelizzazione ….

Spero che questo problema, comune a molte Assemblee, venga affrontato e risolto, e venga resa, così, una testimonianza più efficace.

Lettera firmata

“Siate sobri”­­

Caro fratello,

comprendo il disagio che hai provato, trovandoti a partecipare ad incontri nei quali non è stata utilizzata nel migliore dei modi l’opportunità di coinvolgere persone non ancora credenti, scoraggiando anzi il loro possibile interesse ed il loro eventuale desiderio di porre domande attraverso un abuso del loro tempo e della loro pazienza.

Ricordo che diversi anni fa partecipai, in un torrido pomeriggio d’agosto, ad un funerale durante il quale i partecipanti furono “costretti” ad ascoltare ben tre predicazioni (nella sala, nella casa e al cimitero), che, aggiunte alle presentazioni, ai canti ed alle preghiere, occupò un tempo complessivo di oltre tre ore, provocando lo sfinimento dei presenti (prima di tutto dei familiari già provati). Per anni, incontrandomi con persone che avevano condiviso con me quell’esperienza, l’abbiamo ricordata come un esempio negativo di testimonianza.

È evidente – e dobbiamo riconoscerlo con obiettività – che spesso il desiderio di partecipare ad altri le verità del Vangelo e di condividere con loro il dono della salvezza in Cristo Gesù approfittando delle occasioni che ci sono concesse, ci porta a strafare cioè a non “contenerci entro i limiti della necessità e della sufficienza” e a lasciarci trasportare da “ridondanze e superfluità” (le parole virgolettate corrispondono alla definizione di “sobrietà” che troviamo in qualsiasi vocabolario della lingua italiana). Quindi, in una parola sola, dobbiamo riconoscere che spesso eccediamo e manchiamo quindi di sobrietà, venendo meno all’esortazione che il Signore ci rivolge: “Perciò, dopo aver predisposto le vostre menti all’azione, siate sobri (1P 1:13).

Il collegamento fra azione e sobrietà, anche se deve essere ovviamente riferito a qualsiasi momento ed esperienza della nostra vita e del nostro cammino con il Signore, mi sembra quanto mai adatto per trarre utili indicazioni in merito al contenuto ed alla durata degli incontri ai quali fai riferimento. Infatti ci viene qui ricordato che in ogni nostra azione dovrebbe sempre prevalere un comportamento che non sia caratterizzato da eccessi smodati di entusiasmo e di zelo e che eviti con cura ogni artificio, ogni ridondanza, ogni atteggiamento superfluo. Cioè dovremmo sempre avere come obiettivo ciò che è essenziale.

Momenti solenni di riflessione

Partendo da questa chiara indicazione della Parola, è evidente che non possiamo nasconderci dietro il falso alibi della guida dello Spirito Santo per giustificare ogni nostra esagerazione e intemperanza. È evidente infatti che, quando lo Spirito Santo esprime la sua guida nei nostri incontri, ci contiene nei limiti di ciò che è veramente necessario e sufficiente e ci libera dalla tentazione del tutto umana e carnale di essere appariscenti, insistenti e talvolta – perdonami il termine – invadenti.

Qualcuno potrebbe legittimamente appellarsi alla libertà che ogni chiesa locale ha di organizzare e programmare i propri incontri come vuole, ma la vera libertà nella vita cristiana non si vive e non si esprime certo nel fare quello che ci pare e come ci pare, ma nel ricercare davvero la guida dello Spirito Santo sottomettendoci a questa Guida e non evocandola come copertura dei nostri eccessi. E non si può neppure chiamarla in causa quando ci lasciamo condizionare dai modi di fare diffusi nel mondo, considerando con superficialità o addirittura ignorando l’esortazione a non conformarci al mondo. Penso in particolare agli applausi e ai gridolini di esultanza con cui in alcune chiese si usa da tempo accompagnare l’uscita dall’acqua dei battezzati oppure agli applausi ormai di moda anche in occasione di funerali… Non mi meraviglierei se presto anche la conclusione delle predicazioni fosse accompagnata da applausi invece che dall’amen di condivisione e riconoscenza.

Sono convinto che ogni espressione, che distrae dalla solennità e dalla riflessione che la partecipazione ad un incontro richiede, non può essere certo attribuita all’azione dello Spirito.

Ad esempio, quando partecipiamo ad un funerale, dovremmo incoraggiare i presenti ad una riflessione sulla condizione naturale di ciascuno davanti a Dio e sulla buona novella della salvezza in modo che ognuno usi l’occasione per pensare con responsabilità al proprio destino eterno.

Quando partecipiamo ad un incontro battesimale, non dovremmo mai esprimere la gioia e la riconoscenza per la grazia di Dio, che ha operato per la salvezza dei battezzandi, in modo goliardico o da stadio, ma in modo contenuto e… sobrio. La gioia dei figli di Dio è frutto di consapevolezza non di spensieratezza!

E anche quando partecipiamo ad un matrimonio, dovremmo farlo con uno spirito di preghiera: non stiamo partecipando soltanto ad una festa, ma ad un patto solennemente ratificato davanti a Dio e davanti agli uomini. Dovremmo nel cuore e nella mente disporci ad invocare sugli sposi la guida dal Signore, la sola che possa aiutarli a consolidare il patto nel loro cammino insieme e ad evitare quei naufragi di patti e promesse, tristemente sempre più diffusi.

La tua lettera, caro fratello, mi incoraggia a ripetere che non dobbiamo lasciarci condizionare dai modi con i quali nella società intorno a noi vengono vissute occasioni analoghe. Ricordiamo che al centro di ogni nostro incontro vuole esserci la persona di Gesù così come ha promesso (Mt 18:20) e che, attraverso la guida del suo Spirito e l’autorità della sua Parola, desidera che i presenti (già credenti o non ancora credenti) riflettano sui diversi argomenti di vita che il tipo di incontro invita a considerare.

Programmi, durata, testimonianza

La tua riflessione sulla durata di particolari incontri della chiesa ai quali siano stati invitati anche amici e familiari mi pare quanto mai opportuna così come sono opportune le due domande che mi rivolgi: “In questo modo, stiamo rendendo una buona testimonianza? Pensiamo allo svolgimento del programma della Chiesa o all’esigenza delle anime perdute?”.

I “sostenitori” di tempi lunghi, se chiamati in causa, evocherebbero probabilmente due testi biblici: uno nell’Antico Testamento dove Neemia racconta di un incontro solenne protrattosi “dalla mattina presto fino a mezzogiorno” (Ne 8:3) e uno nel Nuovo dove Luca riferisce l’episodio di Paolo che, a Troas, “prolungò il suo discorso fino a mezzanotte” provocando indirettamente la caduta dalla finestra del giovane Eutico che si era imprudentemente seduto sul davanzale non prevedendo forse che ad un certo momento sarebbe stato “sopraffatto dal sonno” (At 20:7-9).

Oltre a sottolineare l’eccezionalità dei due eventi (la prima lettura pubblica della Legge da parte dei Giudei rientrati a Gerusalemme dopo l’esilio babilonese e l’ultima visita di Paolo all’assemblea di Troas), dobbiamo osservare che in nessuna parte del Nuovo Testamento troviamo l’indicazione di una durata ideale per gli incontri di una chiesa locale. È evidente che essa dovrà essere di volta in volta determinata dal carattere degli incontri e dai loro conseguenti contenuti.

In questo chi ha la presidenza dell’incontro, in base al dono riconosciutogli dalla chiesa, dovrà lasciarsi guidare dal discernimento dello Spirito Santo.

Questo discernimento è particolarmente necessario quando all’incontro sono presenti amici e familiari non ancora credenti, infatti oltre al programma previsto per edificare la chiesa locale sarà necessario tenere presente la particolare situazione vissuta da chi, forse addirittura per la prima volta, partecipa ad un incontro cristiano. E, se pensiamo che per l’edificazione della chiesa ci sono le tante occasioni offerte dai consueti incontri settimanali, è evidente che l’attenzione maggiore dovrebbe essere rivolta a quelle che tu giustamente chiami “le esigenze delle anime perdute”. Ma dobbiamo farlo con saggezza ed equilibro: non soltanto evitando di provocare disagio a causa di un’eccessiva durata, a causa della quale “spesso purtroppo vanno via prima della fine dell’incontro”, ma evitando anche di “prenderli di mira” dal pulpito come talvolta accade. Mi rendo conto che non è semplice avere in vista, in tutte e tre le occasioni citate (funerali, battesimi, matrimoni) e anche nelle altre da te ricordate nella tua lettera, entrambi gli obiettivi: edificare i credenti ed evangelizzare chi non lo è ancora. Ad esempio, l’esperienza da te segnalata relativa alla scelta di un programma con “undici canti” può rafforzare l’edificazione, ma risultare controproducente per l’evangelizzazione, sottraendo del tempo alla predicazione. Dobbiamo fare attenzione anche a non creare una sorta di tradizione ecclesiale, per altro mutevole nel tempo. Ricordo che fino a molti anni fa non si cantava dopo ogni battesimo, poi, come tu scrivi, si cantava una sola strofa ed il fatto che oggi spesso si canti un intero inno, anche per lasciare un tempo sufficiente per l’uso del bagno fra un battesimo e l’altro, mi lascia assai perplesso anche se riconosco che quella di asciugarsi e cambiarsi è un’esigenza oggettiva. Non sta a me essendo, questo, compito degli anziani di ogni chiesa locale, suggerire programmi “alternativi” per snellire la durata di un incontro battesimale, ma basterebbe non avere un numero eccessivo di persone da battezzare nella stessa occasione (si potrebbero organizzare più incontri) e intercalare il passaggio da un battesimo all’altro con la testimonianza del battezzando successivo invece che con i canti.

Ma, lo ripeto, non si può essere normativi in un terreno in cui è lo Spirito Santo che deve agire ed operare in ogni realtà locale. Dobbiamo infatti ben guardarci dall’avere programmi tradizionali e ripetitivi che potrebbero indurre a pensare ad una sorta di nostra “liturgia”. In ogni chiesa locale è bene che gli anziani concordino, ricercando la guida divina, programmi e tempi tenendo sempre ben presenti i due obiettivi dell’edificazione della chiesa e dell’evangelizzazione delle “anime perdute”. Abbiamo quindi bisogno di vivere pienamente la consapevolezza che il Signore è nel mezzo di noi e poi programmare l’annuncio della Parola, le preghiere e i canti, mai dimenticando che “dopo aver predisposto le nostre menti all’azione”, dobbiamo essere sobri.