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Premessa

Si va parlando da molto tempo di un cristianesimo in declino. Da molti anni la predicazione evangelistica ristagna, è sempre più difficile ascoltare una parola che si rivolga direttamente alla società. Sembra che facciamo fatica a trovare il modo e il contenuto specifico per presentare l’Evangelo alla nostra generazione, c’è uno scarto importante tra ciò che annunciamo e le drammatiche domande che la collettività pone. Non incidiamo nemmeno più sul vuoto esistenziale presente tra la gente, che viene riempito andando a cercare risposte in spiritualità lontane da quella tradizionale.

Insomma, la domanda che pongo è: il cristianesimo ha ancora qualcosa da dire alla nostra generazione? È ancora un messaggio adatto alla società di oggi, o è scaduto e fuori tempo?

Oppure no, siamo noi, Chiesa, che non sappiamo presentarlo? Ma se fosse così, come renderlo comprensibile e utile per l’uomo di oggi?

Questa domanda vuole tenersi lontana da qualunque tipo di critica verso qualcuno, verso questa o quella chiesa, il discorso investe la cristianità in generale e il suo attuale modo di presentare il messaggio. Quello che non voglio fare è chiudere gli occhi sulla crisi che ha investito tutte le chiese; voglio cercare di comprendere perché si creano sempre più vuoti nelle comunità, non per disperarmi e deprimermi, ma perché credo giusto guardare in faccia la realtà, interrogandomi su “come” annunciare l’Evangelo.

Di questo vorrei parlare, anche se per il momento mi accontento di porre la domanda, perché la risposta è difficile; da anni molti si stanno interrogando.

Letture

Per questa riflessione ho scelto due testi di riferimento tratti dall’evangelo di Matteo, entrambi dell’inizio del ministero pubblico di Gesù:

Gesù andava per tutte le città ed i villaggi insegnando nelle sinagoghe, annunciando l’evangelo del regno e prendendosi cura di ogni malattia e di ogni infermità. Guardando le folle ne ebbe compassione, perché erano stanche e scoraggiate, come pecore senza pastore. Allora dice ai suoi discepoli: «La messe è grande, ma gli operai sono pochi. Supplicate dunque il signore della messe in modo che spinga operai a raccogliere la sua messe. E fatti venire i suoi dodici discepoli… li mandò in missione»”

Mt 9:35-10:1

“Voi siete il sale della terra: ora, se il sale diventa insipido, con che lo si salerà? Non è più buono a nulla, se non ad essere gettato via e calpestato dagli uomini

Mt 5:13

Folle stanche e deluse

Gesù “guardando le folle ne ebbe compassione, perché erano stanche e scoraggiate, come pecore senza pastore”. Questa è la fotografia della società di quel tempo: una folla di stanchi e sconsolati che vanno da Gesù nella speranza di trovare da lui quello che oramai non trovano nelle loro “chiese” (sinagoghe) né nei governanti della nazione: cercano una guarigione, un aiuto per la loro vita materiale, una parola di conforto spirituale e di incoraggiamento, di solidarietà, soprattutto di speranza e di vita.

Sono più di 400 anni che in Israele non c’è un profeta. Dio sembra tacere. C’è la Scrittura, ci sono le sinagoghe, i “teologi”, ci sono i sacerdoti impegnati a mantenere la spiritualità, ma con i secoli questa è scaduta nella ritualità e nel formalismo.

È già un grande sforzo quello del movimento di rinnovamento spirituale fariseo, impegnato a mantenere viva almeno la tradizione e il rispetto della Scrittura; ma il messaggio dei rabbini non riesce a toccare i cuori, non sa alleviare e dare conforto ai bisogni reali delle coscienze.

La Bibbia viene studiata, insegnata, letta e riletta con impegno, ma appare sempre più come una parola antica, stanca, ripetitiva.

Che in Israele sia un tempo di perplessità dottrinale è attestato anche da quello scriba (un “teologo” che studia e insegna la Bibbia – Mr 12:28 ss.) che va da Gesù (un maestro senza istruzione regolare) per chiedergli quale, secondo lui, sia il comandamento più importante.

Anche la situazione politica non va meglio, il governo è caduto nelle mani di arrivisti, speculatori e approfittatori come la famiglia degli “Erodi”, che per il potere e i soldi adula persino l’invasore romano.

Dove trovare una parola di speranza?  

L’attualità: la crisi sociale e religiosa

Nulla di nuovo sotto il sole.

Anche oggi, non solamente nelle chiese e non solamente in Italia, stiamo vivendo un tempo nel quale i popoli vivono una condizione di sbandamento, di scoraggiamento e delusione senza vedere all’orizzonte una soluzione. Sono in crisi la religione e la politica.

Finite le grandi ideologie e i partiti del XX secolo, che per più di 100 anni hanno rappresentato punti di riferimento ideali e materiali, è subentrato un sentimento di smarrimento, un fare segnato dall’improvvisazione che non incide sui problemi profondi lasciando le folle smarrite e deluse.

La speranza in un’unità europea che non sia esclusivamente economica si è fatta sempre più lontana, anzi sta perdendo pezzi.

Se i movimenti del ’68 sono stati in grado di criticare e abbattere ipocrisie e ingiustizie, negli anni successivi non sono stati capaci di costruire qualcosa di positivo, lasciando le nuove generazioni prive di riferimenti etico-morali.

Il futuro è incerto.

Nelle chiese

Anche le chiese sembrano stanche.

Siamo in una società oramai secolarizzata, divincolata dalla tradizione religiosa; le mésse e i culti vengono disertati e le regole della convivenza civile non seguono nemmeno più quella che fino a poco tempo fa era semplicemente buona educazione.

Nelle chiese si aprono vuoti. È vero che la Chiesa – la vera Chiesa – non sarà mai un movimento di massa, sarà come granellini di lievito nella pasta, il seme di senape, come il pizzico di sale, una spina nel fianco alla società per spronarla al cambiamento; ma la crisi c’è ed è spirituale, dura da tanto tempo e riguarda tutto il cristianesimo.

Le cause sono molte, la lista sarebbe troppo lunga e varia. Ma non dobbiamo scambiare i tanti sintomi per la malattia. La malattia la vedo proprio nel servizio alla Parola, nel contenuto della predicazione, non tanto quella diretta alle chiese ma quella evangelistica.

Ci sono comunità che accentuano sempre più la parte emotiva e coreografica degli incontri a scapito di quella dottrinale; chiese che nel tentativo di rimanere al passo coi tempi hanno messo in secondo piano la spiritualità, appiattendo la predicazione su tematiche socio-politiche; mentre altre, per paura di contaminarsi, predicano un messaggio che prospetta la fuga dal mondo.

Ma le conversioni si fanno sempre più rare.

Certamente questa è solamente una faccia della medaglia, ci sono anche molte cose buone: credenti che si impegnano, uomini e donne che si convertono ad una fede vera, viva, che credono all’Evangelo, cose che sarebbe ingiusto e colpevole dimenticare.

Ma questa parte non deve coprire l’altra, non deve diventare un alibi per chiudere gli occhi sul problema.

Siamo rimasti indietro

Come cristiani siamo da troppo tempo a traino della società. Ora si tratta di vedere se abbiamo la forza sufficiente per dire al mondo che non siamo dei sognatori. Dovremmo dimostrare che la nostra fede non è come dicevano un tempo, oppio che ci rende contenti in un mondo sempre più ingiusto; far capire che abbiamo un messaggio che può incidere sulla realtà, che ha ancora la forza di affermare con fede “Beati voi”, ma anche gridare con coraggio “Guai a voi”.

Tornare ad essere un punto di riferimento per chi è stanco e disorientato, indicando non noi, ma nella persona del Cristo la speranza di vita vera.

Com’è possibile che il cristianesimo, iniziato in forma così rivoluzionaria, ora sia diventato o anonima voce uguale a tante, o messaggio ultra conservatore?

Sembra che saltiamo il presente, che ci rifugiamo o in un passato glorioso oppure ci lanciamo in avanti in un volo che ci porta lontano dalla realtà.

E oggi? L’oggi in cui viviamo non lo sappiamo più affrontare! Se continuiamo così, non ci dobbiamo poi meravigliare se nel nostro cuore nascerà un sentimento deprimente di “servi inutili”. Ma Cristo non ci vuole così deboli, non ci conduce in una fuga religiosa dal mondo, ma ci restituisce al mondo – nel mondo – per aiutarlo. Gesù non si è ritirato dalla società, l’ha affrontata in tutta la sua violenza e alla fine ha detto: “Nel mondo avrete tribolazione, ma siate coraggiosi: io ho vinto il mondo” (Gv 16:33).

Giovanni Battista, Gesù, l’apostolo Paolo, Lutero, Rossetti e molti altri riformatori hanno predicato lo stesso Evangelo, ognuno però con parole e accenti differenti, adatti a essere compresi e accolti dalla società del loro tempo. Ognuno di loro (compreso Gesù) ha predicato cose “vecchie”, già annunciate, ma in una maniera così attuale da sembrare nuove. Sono stati capaci di incidere profondamente nella loro realtà sapendo coglierne il malessere, dando risposta alle ansie; hanno avuto la capacità di riconoscere quali fossero gli errori delle loro “chiese” e ritrovare la Verità.

E noi oggi?

E noi oggi? Cerchiamo di parlare al mondo (anche se poco) ma siamo i primi a percepire il distacco tra ciò che vogliamo testimoniare e le problematiche di chi ci ascolta; c’è un salto, sembra che manchiamo il bersaglio. Non possiamo però solamente incolpare il mondo cattivo che non ci vuole ascoltare, il mondo è sempre stato mondo, lo era anche quello a cui hanno parlato Gesù, Paolo o Lutero e Rossetti; la differenza è che noi non riusciamo ad intercettare il nesso tra i bisogni profondi delle persone e il messaggio dell’Evangelo.

Sono convinto che non sia per niente facile capire cosa e come dovremo fare, ogni epoca ha le sue problematiche. Non possiamo però credere che, ripetendo allo stesso modo ciò che è stato detto nel passato, riusciremo a trasmettere l’Evangelo per oggi. Il contenuto certamente deve restare lo stesso, ma la forma, i temi prioritari, dovrebbero essere adatti a chi ascolta.

La dottrina della sola grazia

Un solo esempio per tutti. Io credo che la dottrina della “salvezza per sola grazia” sia il cuore dell’Evangelo, la rivelazione della buona volontà di Dio, la dottrina sulla quale è nata la Riforma del 1500. Ora mi domando fino a che punto l’uomo contemporaneo sia in grado di capire, di apprezzare e fare propria questa dottrina che presuppone contesti culturali e problematiche religiose che esistevano cinque secoli fa, ma che sono del tutto assenti oggi.

Se dico a qualcuno che Dio lo accoglie per sola grazia e non per opere buone, invece che meravigliarsi è probabile che mi risponda che è ovvio, il mestiere di Dio è quello di essere buono e accogliente con tutti. L’uomo moderno non soffre, come l’uomo medioevale, perché si sente peccatore. No, non è angosciato dal senso di peccato. Magari l’uomo attuale soffre perché non riesce a dare un senso alla realtà che lo circonda e alla sua stessa vita, ma non è l’ira di Dio che lo può spaventare; oggi è possibile che soffra per aver perso l’idea di Dio, per aver rifiutato l’immagine tradizionale senza averne trovata una che la sostituisca; l’uomo odierno ha un grande vuoto di non senso, di solitudine e di precarietà. Però la dottrina della giustificazione per sola grazia, nella sua formulazione tradizionale è troppo lontana per essere capita e apprezzata. Eppure se si perde questo “articolo” della fede si perde l’intero Evangelo; ma come trasmetterlo in termini nuovi, comprensibili non solamente nelle parole, ma nel suo contenuto profondo?

Come evangelizzare la nostra generazione?

Gesù vede e agisce

Il testo di Matteo che abbiamo letto dice che Gesù vede e ha compassione di un popolo allo sbando. Che Gesù “veda” non è una semplice constatazione che lascia le cose come sono, quando Gesù guarda la realtà è per farsi partecipe della sofferenza intervenendo, non da solo però, ma mandando i discepoli.

Gesù cerca operai

Gesù vedendo le folle “…dice ai suoi discepoli: «La mèsse è grande, ma gli operai sono pochi. Supplicate dunque il Signore della mèsse in modo che spinga operai a raccogliere la sua mèsse». E fatti venire i suoi dodici discepoli…” (Mt 9:37 e ss,).

Dalla compassione delle folle, stanche e sfinite, nasce la chiamata dei discepoli e l’invio ad annunciare l’Evangelo del Regno. Questa soluzione non è mai cambiata. Guardando la folla, il mondo, Gesù non sottolinea il male – come a volte sentiamo dire tra noi – ma scorge tanta mèsse pronta da mietere per il Regno di Dio.

Quello che purtroppo mancano sono gli “operai”; oppure ci sono ma oggi sono confusi. C’è un grande bisogno di coloro che hanno una visione di un mondo diverso, c’è bisogno di spiritualità che parla di vita. Gesù non cerca dei leader, dei capipopolo con doti speciali, cerca O-P-E-R-A-I perché il valore è nell’amore espresso a tu per tu. Per questo nel testo vengono elencati i nomi dei discepoli uno per uno, persone concrete, con il loro vissuto e con i loro pregi e i loro difetti come persone destinatarie di una vocazione.

Oggi ad essere chiamati siamo io e te, perché la chiesa siamo noi; non c’è altro modo di essere discepoli.

Sale e luce?

Gesù ci manda nel mondo a portare il messaggio del suo Regno dicendoci un’ultima cosa: “Voi siete il sale della terra: ora, se il sale diventa insipido, con che lo si salerà? Non è più buono a nulla, se non ad essere gettato via e calpestato dagli uomini” (Mt 5:13).

L’immagine che Gesù usa per definire i suoi discepoli e il loro compito è: “Voi siete il sale della terra… Voi siete la luce del mondo…”.

“Voi siete sale e luce” è una analogia forte, è un riconoscimento di una realtà attiva, viva, una realtà che dovrebbe avere un impatto sulla realtà presente. “Voi siete il sale della terra. Voi siete la luce del mondo”! Poche parole cariche di contenuto; lo dice al plurale, vale a dire che lo dice alla Chiesa di ieri e di oggi. “Voi siete”! Non “Dovete diventare”; lo “siete” perché siete discepoli di Cristo che annunciano il suo Evangelo.

Tutti sappiamo a cosa serve il sale, anche all’epoca di Gesù il sale si usava in cucina per dare sapore agli alimenti. Molti cibi, se manca il sale, sono insipidi, senza sapore, diremmo “sciocchi”, e il significato peggiora.

Dare sapore è la prima funzione della Chiesa nel mondo e nella società in cui vive. Non penso che ci vogliano altre parole per spiegare questo brano. Aggiungo solamente un altro particolare riguardo al paragone della Chiesa come “sale”; finché il sale resta in grani, separato dagli alimenti, la sua presenza è inutile, potremmo farne a meno; per svolgere la sua funzione il sale si deve sciogliere negli alimenti. Così deve essere la Chiesa; se pensiamo invece che la nostra funzione sia quella di stare separati (lontani) dal mondo, saremo una Chiesa inutile; solamente se la nostra caratteristica tocca, contamina gli elementi vicini, avrà assolto alla sua funzione.

Ma le parole di Gesù contengono, oltre ad una affermazione, anche un ammonimento che si rivolge a quei credenti, a quella chiesa che non sa più svolgere la sua funzione di sale, dice Gesù: “Ora se il sale diventa insipido, con che lo si salerà? Non è più buono a nulla, se non ad essere gettato via e calpestato dagli uomini”.

Questo riguarda la mia domanda.

Predicare il regno di Dio

Non dico che dobbiamo diventare mondo, anzi siamo noi che dobbiamo contaminarlo. Non dimentichiamo che Gesù ha predicato il Regno di Dio e la sua giustizia, vale a dire un mondo con princìpi e ideali che contestano quelli attuali, princìpi per i quali i discepoli vennero anche perseguitati. Noi non corriamo questo rischio, non diamo noia a nessuno; questo non è male in sé, ma è male se significa che il nostro messaggio non tocca più nessun tema vero per la società, è male quando la Chiesa non dà noia perché si è fatta troppo simile alla società.

Una chiesa che non sa più trasmettere l’Evangelo che tocca la realtà concreta di vita, è una chiesa diventata insipida. Una chiesa che non sa pronunciare più una dura parola di giudizio su una realtà come quella della nostra società (e delle chiese), non è più nemmeno autorizzata a pronunciare la parola della grazia e del perdono perché sarebbe una grazia troppo a buon mercato.

E se non può o non sa pronunciare né giudizio, né annunciare la grazia, allora non è più nemmeno la Chiesa di Cristo.

Questa è la mia preoccupazione.