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Dal modernismo al post-modernismo


Viviamo in un’epoca un po’ strana, definita dai pensatori post-moderna. Perché? Che cosa la caratterizza?

L’epoca moderna, quella che ci preceduti, è stata caratterizzata dal razionalismo. Il principio base di questo movimento è stato: è vero solo ciò che la mia ragione può comprendere, posso considerare verità solo ciò che entra negli schemi della mia razionalità. Questo principio ha portato una ventata di ateismo materialista nel mondo e un diffuso liberalismo nell’ambito della Chiesa, della teologia in particolare. Ateismo e liberalismo, perciò, hanno fatto da padroni nella sfera del pensiero. Era la ragione a dettare legge, ma una ragione abbandonata a se stessa, non illuminata e sorretta dalla fede; la fede è stata considerata non ragionevole.

L’epoca attuale, post-moderna, è invece caratterizzata dall’irrazionalismo. Ora è l’irrazionalità che detta legge. È l’epoca del sentimento, dell’esperienza soggettiva, dell’idea che esorta l’uomo a guardare dentro di sé per trovare la verità. Per il pensatore post-moderno non esiste verità oggettiva; tutte le religioni sono buone, purché vi sia coerenza; tutte le vie portano a un indefinito dio, purché vi sia sincerità. Pensare e credere che esista “un solo Dio e un unico mediatore tra Dio e gli uomini”[1], è considerato intolleranza fondamentalista (il termine fondamentalismo è diventato offensivo in questo tempo, ma significa semplicemente attenersi a ciò che crediamo come fondamenti inalienabili della fede cristiana). Razionalismo e irrazionalismo, pur su posizioni antitetiche, hanno in comune l’abbandono della fede oggettiva e, in particolare, della verità, quella con la V maiuscola. Se il primo affermava “Non c’è verità”, il secondo grida al mondo “Tutto è verità”.

Un processo sommario

L’episodio sul quale punteremo i nostri riflettori, ne hanno parlato tutti gli evangelisti, ma Giovanni è quello che lo racconta in maniera più dettagliata.

Poi, da Caiafa, condussero Gesù nel pretorio. Era mattina, ed essi non entrarono nel pretorio per non contaminarsi e poter così mangiare la Pasqua. Pilato dunque andò fuori verso di loro e domandò: “Quale accusa portate contro quest’uomo?”. Essi gli risposero: “Se costui non fosse un malfattore, non te lo avremmo dato nelle mani”. Pilato quindi disse loro: “Prendetelo voi e giudicatelo secondo la vostra legge”. I Giudei gli dissero: “A noi non è lecito far morire nessuno”. E ciò affinché si adempisse la parola che Gesù aveva detta, indicando di qual morte doveva morire. Pilato dunque rientrò nel pretorio; chiamò Gesù e gli disse: “Sei tu il re dei Giudei?”. Gesù gli rispose: “Dici questo di tuo, oppure altri te l’hanno detto di me?” Pilato gli rispose: “Sono io forse Giudeo? La tua nazione e i capi dei sacerdoti ti hanno messo nelle mie mani; che cosa hai fatto?”. Gesù rispose: “Il mio regno non è di questo mondo; se il mio regno fosse di questo mondo, i miei servitori combatterebbero perché io non fossi dato nelle mani dei Giudei; ma ora il mio regno non è di qui”. Allora Pilato gli disse: “Ma dunque, sei tu re?” Gesù rispose: “Tu lo dici; sono re; io sono nato per questo, e per questo sono venuto nel mondo: per testimoniare della verità. Chiunque è dalla verità ascolta la mia voce”. Pilato gli disse: “Che cos’è verità?” (Gv 18:28-38).

Gesù, tradito da uno dei suoi discepoli, è stato arrestato. Inizia un processo sommario, di fronte a diverse autorità, religiose e civili. Il primo a incontrare Gesù è Caiafa, sommo sacerdote di quell’anno. Era presente anche Anna, suo suocero che pur non esercitando più la funzione di sommo sacerdote, aveva ancora una grande influenza. Di Caiafa, l’evangelista, ricorda che aveva già espresso opinione favorevole alla eliminazione di Gesù. Una volta subìto l’interrogatorio dei due, Gesù è trascinato legato nel pretorio, davanti all’autorità imperiale. Qui incontra Ponzio Pilato, il cinico e spietato procuratore romano.

Nella prima parte di questo episodio troviamo il dialogo tra Pilato e gli accusatori e nella seconda parte il dialogo tra Pilato e l’accusato. È su questo dialogo che punteremo la nostra attenzione; in esso troviamo due domande che il procuratore romano rivolge al Maestro: alla prima domanda troviamo una risposta piuttosto articolata, mentre alla seconda Gesù risponde con un silenzio enigmatico.

La prima domanda: sei re?

Questa prima domanda è chiaramente di natura politica: questo aspetto è quello che interessava di più a Pilato.

L’esercito romano aveva ormai conquistato buona parte del mondo conosciuto. Ai tempi di Gesù anche la Giudea era sotto il dominio romano, essendo stata annessa alla Siria, che allora era provincia romana, governata da un proconsole. Era lui che rispondeva direttamente al senato ed era aiutato dai questori che riscuotevano i tributi e li versavano al tesoro gestito dal senato. I procuratori dipendevano dal proconsole, per la gestione degli affari della provincia: Pilato era uno di questi. Il Re Erode aveva dei poteri molto limitati e spesso era semplicemente un fantoccio nelle mani dei procuratori. Per questo motivo Gesù, dopo essere stato condannato dal Sinedrio (massima autorità civile-religiosa giudaica) ha dovuto subire il processo di Pilato. Ricordiamo tutti il famoso gesto del procuratore romano di lavarsi le mani; il gesto indicava chiaramente che egli, pur possedendo l’autorità di liberare Gesù, lascia la decisione ad altri e rifiuta di essere coinvolto nell’affare. Anche questo modo di amministrare la giustizia è piuttosto diffuso.

Gesù, un re inconsueto

Quale risposta dare alla prima domanda di Ponzio Pilato? Gesù era o non era un re? Egli risponde, ma in modo enigmatico: “Sì, sono un re, ma il mio regno non è di questo mondo”. La sua risposta merita una riflessione.

In tre passi della Scrittura, Gesù è definito Re dei re [2]. Egli, dunque, non è semplicemente Re, ma il Re dei re, ossia colui che è al disopra di ogni re, di ogni autorità politica e religiosa. Ma è un Re particolare, inconsueto, signore di un regno che non è “di questo mondo”. A quale mondo si riferisce il Maestro? È evidente che non si tratta di questione geografica o temporale, ma di qualcos’altro. Il termine mondo (gr. kosmos) è molto caro a Giovanni e lo troviamo nei suoi scritti oltre ottanta volte. Il termine, però, ha diversi significati:

1) la creazione,

2) gli uomini e

3) il modo di pensare e vivere degli uomini.

Questa distinzione deve essere tenuta in debita considerazione, se non vogliamo cadere in grossolani errori. Gesù è sicuramente Re dell’universo e degli uomini, ma il suo regno non s’identifica con il modus vivendi della società. A questo si riferisce, quando risponde a Pilato: il mio regno non è di questo mondo. In altre parole: sì io sono Re, non solo dei Giudei, ma di tutti. C’è una frase di Gesù, nel secondo colloquio con Pilato, che getta una vivida luce su quanto stiamo affermando.

Dopo che Pilato, lavandosi le mani consegna Gesù agli aguzzini che lo deridono e lo flagellano, lo incontra di nuovo. Questo è il dialogo che intercorre tra i due:

“«Di dove sei tu?». Ma Gesù non gli rispose. Allora Pilato gli disse: «Non mi parli? Non sai che ho il potere di liberarti e il potere di crocifiggerti?». Gesù gli rispose: «Tu non avresti alcuna autorità su di me, se ciò non ti fosse stato dato dall’alto»” (Gv 19:9-11).

I silenzi di Gesù sono molto eloquenti: anche se incatenato, anche se al limite delle sue forze (dopo la terribile flagellazione), egli è libero! Ritorniamo al nostro tema. Le parole da sottolineare sono: “Tu non avresti alcuna autorità su di me, se ciò non ti fosse stato dato dall’alto”. In altre parole: “Non sei tu che decidi, ma qualcun altro”. Che gli uomini lo riconoscano o no, volenti o nolenti, Gesù è Re e alla fine tutti saranno costretti a riconoscerlo:

“Perciò Dio lo ha sovranamente innalzato e gli ha dato il nome che è al di sopra di ogni nome, affinché nel nome di Gesù si pieghi ogni ginocchio nei cieli, sulla terra, e sotto terra, e ogni lingua confessi che Gesù Cristo è il Signore, alla gloria di Dio Padre” (Fl 2:9-11).

La seconda domanda: che cos’è verità?

La seconda domanda di Pilato nasce da un’affermazione di Gesù:

Tu lo dici; sono re; io sono nato per questo, e per questo sono venuto nel mondo: per testimoniare della verità. Chiunque è dalla verità ascolta la mia voce”.

Il Maestro accosta la questione dibattuta precedentemente alla verità. A prima vista sembra un discorso sconclusionato: che cosa c’entra la verità con la regalità? È quello che cercheremo di scoprire. In maniera ardita Gesù identifica la verità con se stesso:

Io sono la via, la verità e la vita; nessuno viene al Padre se non per mezzo di me” (Gv 14.6).

Egli non è solo colui che annuncia la verità, ma è la verità.

Gesù è la verità incarnata. Quali implicazioni ha, in campo filosofico e teologico, questa affermazione? Non solo ciò che Gesù ha detto e fatto è vero, ma egli è perfettamente coerente con ciò che ha detto e fatto. Io posso dire cose vere, posso anche compiere delle azioni conformi alla verità che affermo, ma nonostante questo, nella mia interiorità, posso essere scisso da ciò che affermo e faccio. Paolo ci ricorda che si possono compiere gesti altamente altruistici, ed essere incapaci di amare (1Co 13:1-3). Gesù è la verità in quanto ciò che ha detto e fatto è in perfetta sintonia con il suo essere. Egli ama perché è amore (come il Padre), compie azioni di giustizia perché è giusto, si adira contro l’ipocrisia e la malvagità (pur continuando ad amare), perché è integro e santo.

La non risposta di Gesù

Da sempre, chi ama leggere la Bibbia, si è posto questa domanda: perché Gesù non risponde alla domanda di Pilato? Perché tace?

Le risposte possibili possono essere queste:

  1. Disinteresse di Pilato.

Qualcuno ha proposto questa tesi: Pilato non era veramente interessato alla verità, per questo motivo se ne va senza nemmeno aspettare la risposta. Lui, rude soldato del potente esercito romano, di “cose religiose” non s’interessava più di tanto. Questo è l’atteggiamento di molti che, in fondo al loro cuore vorrebbero dare delle risposte alle domande che ogni tanto affiorano, ma sono troppo impegnati negli affari giornalieri per spendere tempo in cose che non apportano dei benefici immediati e concreti. Gesù ha detto: “Cercate e troverete”, perciò si può trovare solo se si cerca. Pilato era troppo preso dalla sua carriera politica, per interessarsi di Gesù: lui non aveva alcun desiderio di vedere Gesù perché la sua attenzione era rivolta agli affari politici.

  1. Pilato non merita una risposta.

Quali intenzioni aveva il procuratore nel formulare la fatidica domanda? La frase di Gesù che ha preceduto le parole di Pilato, è significativa: “Chiunque è dalla verità ascolta la mia voce”. Che cosa significa essere dalla verità. Probabilmente ha questo significato: essere motivati da un sincero desiderio di cercare la verità e ascoltare chi può farla conoscere. Pilato vedeva in Gesù solo una grana da risolvere al più presto, una patata bollente da passare a qualcun altro, non colui che poteva presentargli la verità, in maniera completa e definitiva.

Per questo il Maestro, che conosceva il cuore dei suoi interlocutori, non risponde. Pilato non meritava una risposta. Nella sua domanda si evince un’ironia arrogante: “Che cos’è verità?”. In altre parole:

“La verità, di che natura è? Ha una sua reale consistenza? C’è qualcosa, oltre il potere, la gloria, il successo politico-miltare, che possa essere degno della mia attenzione? Io sono un politico pragmatico e posso dedicarmi solo a cose concrete e le questioni religiose m’interessano solo se sono in relazione con ciò che per me riveste carattere prioritario”.

No, Pilato non era dalla parte della verità, ossia non era mosso da sentimenti onesti, quando formulò la domanda; per questo motivo non meritava una risposta.

Gesù ha cercato in ogni modo di far entrare il potente governatore romano in una logica che gli sfuggiva. Egli non aveva di fronte un poveraccio che si spacciava per qualcosa d’importante o uno dei tanti pseudoprofeti che lo hanno preceduto. Jeshua ben Joseph non era semplicemente figlio di un carpentiere, senza istruzione e senza alcun potere, circondato da un gruppo di persone né ricche né potenti: era Re, di un regno diverso, ma pur sempre Re. È vero, non aveva né l’apparenza né il potere, ma era proprio questo che il procuratore avrebbe dovuto capire. C’era qualcosa di anormale in quello strano personaggio che doveva essere approfondito: Pilato, con un semplice sforzo, doveva superare la soglia di ciò che appare, per andare oltre, dove solo la fede può portare: nel cuore dell’essere.

Non semplici parole, non idee astratte, aliene da una realtà che provoca miseria e sofferenza, più o meno pie, non concetti di alto contenuto filosofico, ma che non danno una risposta adeguata al dramma umano. In Cristo la verità si è incarnata, perché Dio è verità; nello stesso istante si sono incarnati anche l’amore, la giustizia e la santità.

Gesù tace, e il suo silenzio dovrebbe far pensare ai Pilato di tutti i tempi, perché è un silenzio più eloquente di tante parole.  

 

   

[1] 1 Timoteo 2.5: “Infatti c’è un solo Dio e anche un solo mediatore fra Dio e gli uomini, Cristo Gesù uomo, che ha dato se stesso come prezzo di riscatto per tutti; questa è la testimonianza resa a suo tempo, e della quale io fui costituito predicatore e apostolo (…), per istruire gli stranieri nella fede e nella verità”.

[2] 1 Timoteo 6:15: “…la quale sarà a suo tempo manifestata dal beato e unico sovrano, il Re dei re e Signore dei signori”.

Apocalisse 17:14: “Combatteranno contro l’Agnello e l’Agnello li vincerà, perché egli è il Signore dei signori e il Re dei re; e vinceranno anche quelli che sono con lui, i chiamati, gli eletti e i fedeli”.

Apocalisse 19:16: “E sulla veste e sulla coscia porta scritto questo nome: RE DEI RE E SIGNORE DEI SIGNORI”.