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Introduzione

Il rapporto tra legge e misericordia non è sempre facile gestirlo. Noi, uomini limitati nella comprensione dei fatti e delle persone, siamo facilmente preda di estremismi: è facile scivolare in un legalismo duro e puro per difendere la legge, ma è altrettanto facile assumere un atteggiamento buonista, tanto di moda oggi, in cui la legge diventa opzionale. Il legalismo è legge senza bontà mentre il buonismo è bontà senza legge.

Riconosco le grosse difficoltà nel gestire la legge, proprio a causa dei nostri limiti umani: c’è sempre il rischio di commettere errori che lasciano un segno indelebile nella vita delle persone. Uno dei motivi per cui sono decisamente contro la pena di morte è dovuto proprio a questa difficoltà: in questo caso l’errore giudiziario diventerebbe irreversibile. È recente il caso del governatore di uno Stato americano che ha graziato numerosi detenuti condannati a morte, dopo aver scoperto che qualcuno era stato condannato ingiustamente.

Riconosco anche che una eccessiva “misericordia” (notate le virgolette), che si trasforma in buonismo, che è una parodia della bontà, ha rimesso in libertà persone che, una volta libere, sono tornate a commettere dei
reati. Anche questo non è giusto. Gesù, nell’episodio che analizzeremo, ci dà un esempio di equilibrio tra misericordia e legge.

Gesù andò al monte degli Ulivi. All’alba tornò nel tempio, e tutto il popolo andò da lui; ed egli, sedutosi, li istruiva. Allora gli scribi e i farisei gli condussero una donna còlta in adulterio; e fattala stare in mezzo, gli dissero: «Maestro, questa donna è stata còlta in flagrante adulterio. Ora Mosè, nella legge, ci ha comandato di lapidare tali donne; tu che ne dici?». Dicevano questo per metterlo alla prova, per poterlo accusare. Ma Gesù, chinatosi, si mise a scrivere con il dito in terra. E siccome continuavano a interrogarlo, egli si alzò e disse loro: «Chi di voi è senza peccato, scagli per primo la pietra contro di lei». E, chinatosi di nuovo, scriveva in terra. Essi, udito ciò, e accusati dalla loro coscienza, uscirono a uno a uno, cominciando dai più vecchi fino agli ultimi; e Gesù fu lasciato solo con la donna che stava là in mezzo. Gesù, alzatosi, e non vedendo altri che la donna, le disse: «Donna, dove sono quei tuoi accusatori? Nessuno ti ha condannata?» Ella rispose: «Nessuno, Signore». E Gesù le disse: «Neppure io ti condanno; va’ e da ora in poi non peccare più». Gesù parlò loro di nuovo, dicendo: «Io sono la luce del mondo; chi mi segue non camminerà nelle tenebre, ma avrà la luce della vita»

(Giovanni 8:1-12)

Un astuto tranello

Anche questo è un episodio inedito, raccontato solo da Giovanni. Gesù era stato sul monte degli Ulivi (v. 1), probabilmente in preghiera. Ora torna nel tempio e istruisce coloro che si erano avvicinati (v. 2).

Mentre stava insegnando si avvicinano gli scribi e i farisei, spinti dal solito desiderio di cogliere nelle sue parole un motivo per metterlo in cattiva luce davanti alle autorità civile e religiose e davanti al popolo (v. 6). I farisei presentano al Maestro una donna colta in flagrante adulterio (v. 4) e gli pongono una domanda relativa alla legge (v. 5).

Dove stava il tranello? Che cosa si aspettavano da Gesù? Una cosa è certa: il Maestro li spiazza di nuovo a tal punto che uno a uno se ne vanno, come si usa dire, con la coda tra le gambe e con le orecchie basse. Il tranello consisteva in questo: qualunque fosse stata la risposta di Gesù si sarebbe trovato contro qualcuno, o l’autorità romana che vietava la lapidazione, o la legge mosaica che la imponeva (una legge che è rimasta in vigore in alcuni Paesi fondamentalisti islamici).

Il Maestro si è trovato spesso in situazioni del genere, e sempre ha dato una risposta che lo tirava fuori da una situazione pericolosa. Alla fine, per condannarlo, hanno dovuto prendere dei falsi testimoni che lo accusarono di cose mai dette.

Chi scaglia la prima pietra?

C’era, però, un’altra questione in ballo: o Gesù stava dalla parte della legge in maniera rigorosa, o della misericordia di cui aveva tanto parlato. Occorreva una risposta che gli impedisse di cadere nel tranello.

Gesù va oltre la questione legale e affida alle loro coscienze la decisione da prendere. La legge prevedeva che i testimoni per primi dovessero scagliare la pietra, la famosa “prima pietra”. Perché nessuno fece l’atto di prendere e scagliare la pietra? Eppure c’erano dei testimoni oculari, visto che la donna era stata colta sul fatto.

«Chi di voi è senza peccato, scagli per primo la pietra contro di lei». In pratica Gesù sta dicendo: “Volete essere giudici di questa donna? Potete esserlo solo a condizione che anche voi non siate caduti nello stesso peccato” (secondo alcuni esegeti il Signore non allude al peccato in genere, ma a quello specifico di adulterio). Nessuno si muove, perché? Erano tutti adulteri? C’è un dato che dobbiamo tenere presente:

La facilità con la quale si poteva presso i Giudei ottenere il divorzio per i più frivoli motivi, ne faceva un sistema di adulterio legalizzato (…) e non era per niente in senso figurato che Gesù chiamava i suoi concittadini: «generazione adultera e peccatrice» (Mr 8:38) [1].

Davanti a Gesù, perciò, c’era una massa di adulteri che aveva la pretesa di condannare un’adultera. Chissà se tra gli accusatori c’era anche chi aveva commesso il fatto di cui accusavano solo la donna.

Perché solo la donna?

C’è dell’altro: perché è stata portata solo la donna? Di solito un adulterio si compie in due. È probabile che esistesse l’idea di considerare l’adulterio femminile più sbagliato di quello maschile: non è forse l’uomo un cacciatore per natura? Questo pensiero era presente anche nella nostra società, fino a non molto tempo fa (e lo è tuttora nella testa di alcuni “maschietti”). È evidente, però, che nessuno aveva la coscienza pulita. Nonostante la loro cattiva fede, gli accusatori della donna, e di Gesù, avevano ancora una coscienza e Gesù è stato in grado di risvegliarla. Credo che questo sia un compito della Chiesa: risvegliare le coscienze assopite degli uomini che le vivono a fianco. In che modo? Con il giusto equilibrio tra legge e misericordia.

Il giusto equilibrio

Gesù dimostra di avere il giusto equilibrio: la sua bontà non si trasforma in buonismo e la sua giustizia è sempre immersa nell’amore per il prossimo, quell’amore che cerca sempre la redenzione del colpevole. Questo equilibrio è dimostrato in due modi complementari.

Non condannando la donna: «Neppure io ti condanno».

Vuol forse intendere che non condanna l’adulterio? No, in altre occasioni Gesù ha parlato in maniera chiara contro i peccati di ordine sessuale (ha persino condannato l’adulterio a livello di pensiero, Mt 5:27-28). Non ci è detto quale sia l’atteggiamento della donna, ora che si trova sola, davanti a Gesù che si manifesta quale suo salvatore.

Conoscendo Gesù, siamo portati a pensare che egli veda nel cuore della donna, oltre a una gran paura per il pericolo vissuto, un sincero pentimento. Se vi fosse stata in lei una evidente sfrontatezza, l’idea che, tutto sommato, ciò che aveva fatto rientrava nelle categorie del lecito, non vi sarebbe stato il perdono di Cristo.

Indicando la via da seguire: «Va’ e non peccare più».

Un accentuato rigore che sfocia nel legalismo non aiuta le coscienze a risvegliarsi, ma acuisce la loro antipatia nei confronti della legge; una “misericordia” che non tiene conto in nessun modo della legge, addormenta ancora di più le coscienze. Occorre, ripeto, il giusto equilibrio tra legge e misericordia: equilibrio che troviamo solo in Gesù. La legge, prima di essere applicata, deve essere immersa nella misericordia. Questa è la nuova “regola” apportata da Gesù. Applicare questa regola non significa non tener conto della legge, ma significa piuttosto darle il giusto valore, il giusto senso, la giusta dimensione. Noi, creature che difficilmente trovano il giusto equilibrio, dobbiamo continuamente rifarci al modello che Gesù ci ha trasmesso, lui che è la luce del mondo, che illumina chi lo segue (v. 12).

Gesù, luce e libertà

Nel discorso che segue l’episodio, sono sottolineate due verità riguardanti la persona e l’opera di Gesù. Come abbiamo già detto più volte, questa struttura è presente in tutto il Vangelo di Giovanni. Il compito dell’evangelista è quello di farci conoscere Gesù (“vieni a vedere Gesù”) e lo fa attraverso gli episodi che racconta.

Interessante notare che l’affermazione «Io sono la luce del mondo» è posta proprio in questo contesto (Gesù la userà di nuovo nell’episodio in cui incontra un cieco): Gesù, come luce, ha dato il vero senso alla legge («Son venuto per compierla»). Per conoscere il giusto equilibrio tra legge e misericordia, occorre guardare a Gesù. Gesù è luce che illumina il senso di giustizia.

Se la Chiesa vuole essere luce, come il suo Signore è luce, deve essere una voce che predica la salvezza, che non si erige giudice del mondo, anche se non può venir meno alla sua funzione profetica nello smascherare il peccato nelle sue molteplici forme. Credo che abbiamo il dovere di capire che cosa significhi denunciare il peccato (ossia essere la coscienza del mondo) senza cadere nel farisaico giudizio.


Gesù non contesta il carattere colposo dell’adulterio, né la norma etica che lo proibisce; egli contesta piuttosto la malizia di chi si fa tutore della legge tenendo in ombra i propri peccati ed esasperando il giudizio e la sanzione sui peccati altrui. Di più: egli rivela l’insufficienza della legge, anche di quella morale, a liberare l’uomo dalla schiavitù del peccato e propone… la nuova legge, quella dell’amore, che non esprime una condanna del peccatore ma lo redime col perdono. Egli non oppone alla durezza farisaica quel tipo di tolleranza che pervade lo spirito moderno; coerentemente con l’economia dell’amore, che è la sostanza del suo annuncio, Gesù interiorizza il peccato, sottraendolo alla falsa oggettività del moralismo giuridico 
[2].

In Gesù c’è vera libertà (30-59)

Il discorso rivolto ai Giudei continua. Nei vv. 31 e 32 è scritto che Gesù rivolse il suo discorso a quei Giudei che “avevano creduto” in lui:

“Gesù allora disse a quei Giudei che avevano creduto in lui: «Se perseverate nella mia parola, siete veramente miei discepoli; conoscerete la verità e la verità vi farà liberi»” (Gv 8:31-32).

C’è qualcosa di strano nelle parole di Gesù, che il testo stesso chiarirà. Se questi Giudei hanno creduto, perché ricordargli che solo la perseveranza nella sua parola farà di loro dei veri discepoli? Perché usa il futuro, quando ricorda che la conoscenza della verità libera? La risposta, come abbiamo detto, si trova nel testo stesso. Infatti, subito dopo Gesù fa tre affermazioni riguardo quei Giudei:

1) essi sono “figli del diavolo” (v. 44);

2) non credono in Lui (v. 45) e

3) non ascoltano Dio (v. 47).

Parole durissime che mettono in luce il loro vero stato. Infatti essi lo ricambiano con queste affermazioni: “I Giudei gli risposero: «Non diciamo noi con ragione che sei un Samaritano e che hai un demonio?»”; “I Giudei gli dissero: «Ora sappiamo che tu hai un demonio»” (vv. 48, 52), e accompagnarono queste parole con questo gesto: “Allora essi presero delle pietre per tirargliele; ma Gesù si nascose e uscì dal tempio” (v. 59).

Allora: erano credenti o no? Cosa dite? Eppure è chiaramente detto che “avevano creduto in lui”. Anche qui troviamo una chiara indicazione di come leggere la Scrittura: tenere sempre conto del contesto! Un letteralismo che si ferma alle singole parole, alle singole frasi o versetti, uccide il senso della Scrittura, la travisa, gli fa dire ciò che ognuno vuole.

È chiaro che questi hanno creduto solo a una parte della verità annunciata da Cristo e la loro incredulità è smascherata proprio quando Gesù parla di libertà (vv. 31, 32, 36). Erano ancora troppo legati al concetto legalistico della legge per godere di quella libertà donata da Cristo. Per uscirne fuori essi avrebbero dovuto “perseverare nella parola” (v. 31): ossia continuare nella ricerca, non fermarsi alle prime impressioni, alla prima comprensione.

La libertà è legata alla verità! E la verità è Cristo, colui che è prima che Abramo fosse (Gv 8:56-58). Il pericolo di fermarsi alle prime parole del Maestro è costante; la tentazione di prendere da Gesù solo ciò che collima con il nostro modo di pensare, ciò che non scombussola troppo la nostra esistenza, è sempre presente. Per essere autentici discepoli di Cristo occorre perseverare nella sua parola: perseverare nella ricerca, perseverare nell’applicazione delle verità rivelate nella propria vita.

Gesù offre la giusta luce per avere l’equilibrio tra legge e misericordia e, mediante questa, dona al credente quella libertà che lo fa uscire dai stretti legami di un legalismo giustizialista e da un superficiale buonismo. Anche per questo amo Gesù, anche per questo desidero conoscerlo sempre meglio…      

[1] R.G. Steward, L’evangelo secondo Giovanni, Claudiana reprint.

[2] AA.VV., Evangelo secondo Giovanni, Verona, Mondadori 1973.