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Al Dio e Padre nostro sia la gloria nei secoli dei secoli. Amen” (Fl 4:20). Perché queste parole di Paolo sono state prese come motto dai riformatori? Come mai “contemplando a viso scoperto come in uno specchio la gloria del Signore, siamo trasformati nella sua stessa immagine, di gloria in gloria”? (2Co 3:18)

Introduzione

Siamo giunti all’ultimo principio della Riforma, quello di “Solo a Dio la gloria”. “Soli Deo gloria”, così come lo esprimono i riformatori, afferma che

la gloria appartiene soltanto a Dio e
che di conseguenza tutta la nostra vita deve essere vissuta per la sola gloria di Dio.

Il Dio della Bibbia è un Dio geloso che non condivide la sua gloria con gli dèi, né tantomeno con gli esseri umani (Es 20:5; Is 48:11). “Solo a Dio la gloria” sembra, in qualche modo, il quinto incomodo tra gli altri “Sola” della Riforma, infatti questi ultimi si concentrano principalmente su questioni teologiche dibattute e contrastanti del 16° secolo, ma che hanno prodotto una profonda spaccatura all’interno della Chiesa. Mentre non sembra che la chiesa di Roma abbia avuto problemi nel dichiarare la gloria di Dio. L’ordine gesuita, fondato nel 1540 con lo scopo di fermare la diffusione della Riforma, adottò come motto: Ad Majorem Dei Gloria, cioè “Per la maggior gloria di Dio”. In effetti sia da parte riformata che cattolica nel 16° secolo, si sottolineava che non solo la Bibbia nega ogni possibilità di ricerca della gloria umana ma la considera anche una vanità.

Tuttavia molti studiosi hanno suggerito che il principio di “Solo a Dio la gloria” è il pilastro centrale che contiene tutti gli altri “Sola”, ed io credo che sia corretto. I quattro “Sola” che abbiamo considerato ci dicono che la salvezza non viene dalle nostre opere, non importa quanto l’uomo possa fare, se non sperimenta la grazia di Cristo per mezzo della fede (Ef 2:8), per lui c’è solo perdizione. Nessuna chiesa, nessun credo, nessun ministro, nessun sacramento potrà mai concedere la grazia. Dio è colui che salva e parla attraverso la sua Parola, ispirata direttamente da lui (2Ti 3:16). Il cuore del messaggio cristiano, in altre parole, è Dio stesso, perciò la gloria va solo a lui, per la sua parola, per la fede, per la grazia e per aver donato Gesù.

In verità nel 16° secolo, sia da parte riformata che cattolica, si sottolineava che non solo la Bibbia nega ogni possibilità di ricerca della gloria umana, ma la considera anche una vanità. L’essere umano è stato creato per rendere gloria a Dio e non per essere un pretendente della sua gloria. Questo significa che un credente deve riconoscere Dio come Dio, come l’unico degno di ricevere la gloria, l’onore e la potenza (Ap 4:11), e che ogni essere umano è stato creato per la gloria di Dio, per manifestare la gloria di Dio nel mondo. Il principio di “Solo a Dio la gloria” è posteriore alla Riforma classica, non fu stabilito da Lutero, Zwingli e Calvino, ma dai loro successori che l’hanno aggiunto ai quattro “Sola”, lo hanno mantenuto e difeso perché è il coronamento dei precedenti.

Il Dio della gloria

La gloria nel nostro linguaggio è una realtà molto presente, significa “Fama e onore universale”, oppure “Persona o cosa che è motivo di vanto, di orgoglio”. La gloria richiede e merita riconoscimento, attenzione, elogio e anche adorazione. Questo tema non è affatto periferico nella nostra vita, perché tutti sentiamo la necessità, l’impulso a glorificare qualcosa o qualcuno con esiti diversi, che però determinano la nostra libertà o la nostra schiavitù. E soprattutto sentiamo l’impulso di ricevere gloria, di essere lodati e magnificati, siamo presi dalla vertigine che ci porta a scambiare l’essere con l’apparire, di conseguenza uno dei peccati oggi più diffusi, anche se più taciuti, è la vanagloria, problema presente nella chiesa di Filippi: “Non fate nulla per spirito di parte o per vanagloria, ma ciascuno, con umiltà, stimi gli altri superiori a se stesso” (Fil 2:3). Ma secondo la Bibbia solo a Dio spetta la gloria: “Non a noi, o Signore, non a noi, ma al tuo nome dà gloria, per la tua bontà e per la tua fedeltà” (Sl 115:1). Il Salmo continua con la contrapposizione tra gli idoli e il vero Dio, mentre gli idoli sono muti e non agiscono, il vero Dio parla, perciò Israele è esortato a confidare nel Signore (Sl 115:9).

Nell’Antico Testamento vediamo la gloria di Dio nel provvedere al suo popolo liberato dalla schiavitù. Nel deserto Dio risponde con la sua gloria ai mormorii di un popolo nostalgico dell’Egitto: “Domattina vedrete la gloria del Signore, poiché egli ha udito i vostri mormorii contro il Signore” (Es 16:7), e il giorno dopo puntualmente la gloria del Signore si manifesta dando “carne da mangiare e pane a sazietà” (Es 16:18). Poi vediamo la gloria di Dio trasformare Mosè sul monte Sinai (Es 24:16), egli riceve la Torah, ma i segni della gloria di Dio sono visibili sul viso di Mosè. Quando scende dal monte il popolo vede sul suo volto gli effetti dell’esposizione alla gloria di Dio (Es 34:29-35). Ma è soprattutto la manifestazione della sua essenza. Mosè fece una richiesta a Dio, quella di vedere la sua gloria e il Signore non solo rispose alla sua richiesta, ma lo invita a nascondersi nella cavità di una roccia. Eppure, mentre Mosè aspettava la manifestazione della gloria di Dio, non vide né tuoni, né fulmini, né terremoti. Piuttosto, la gloria di Dio venne a lui con una semplice rivelazione: “Il Signore passò davanti a lui, e gridò: «Il Signore! Il Signore! Il Dio misericordioso e pietoso, lento all’ira, ricco in bontà e fedeltà»” (Es 34:6).

Vediamo, infine, la gloria di Dio riempire il tabernacolo (Es 40:34) e il tempio di Salomone (2Cr 7:2). Una grande benedizione, dunque, per il popolo del patto di Dio. Ma leggiamo anche che la gloria di Dio non poteva più manifestarsi per una nazione perennemente ribelle (Ez 9-10). Quindi nell’antico patto dare gloria a Dio significa riconoscere Dio come colui che libera, salva e provvede e soprattutto rivela la sua essenza: un Dio misericordioso. Perciò Geremia ricorda al saggio di non gloriarsi della sua saggezza, ma della conoscenza del Signore che pratica la bontà e il diritto (Gr 9:23-24).

Ma nel Nuovo Testamento abbiamo una rivelazione maggiore: Dio non si accontenta di agire dal cielo, ma manifesta la sua gloria nel Figlio: “Egli è lo splendore della sua gloria e impronta della sua essenza…” (Eb 1:3). Il tanto atteso Messia, tuttavia, non ha manifestato la gloria di Dio nel modo in cui il suo popolo si aspettava, è nato in una stalla e “non aveva forma né bellezza da attirare i nostri sguardi” (Is 53:2). Nessuno di questi eventi fu molto glorioso, ma la Scrittura ci insegna che Dio è glorificato anche nell’umiliazione di Cristo. Ingrandisce la grazia e la misericordia verso l’umanità, perché l’umiliazione di Cristo ha compiuto esattamente ciò che l’Antico Testamento ha mostrato: la necessità del perdono e la riconciliazione con Dio.

Ecco perché la Riforma ci ha lasciato un principio fondamentale: Dio vuole glorificare se stesso attraverso la salvezza del peccatore. In Cristo, Dio condivide la realtà umana e vive accanto agli uomini. La gloria di Dio viene comunicata agli uomini attraverso Gesù Cristo. Dio sceglie di camminare con noi, di percorrere le nostre strade, di parlare la nostra lingua, di abitare nel nostro cuore e tutto questo per manifestarci la sua gloria. Perciò Gesù è veramente l’Emmanuele, Dio con noi, una gloria donata agli uomini che possono viverla soltanto attraverso la fede.

Solo a Dio la gloria

Questi aspetti che la Bibbia rivela riguardo alla gloria di Dio sono importanti quando pensiamo ai “Sola” della Riforma. “Solo a Dio la gloria” vuol dire che la gloria, la fede, la salvezza hanno una sola direzione: Dio. Ma nello stesso tempo dare gloria solo a Dio non solo è un principio biblico, ma soprattutto polemico. Significa che nessuno e niente può essere glorificato, e la chiesa del medioevo certamente non dava la gloria a Dio.

Lutero mentre insegnava ai suoi studenti la lettera ai Galati disse: “Io posso dire con fiducia questo, anche se la chiesa o Agostino o altri dottori e ancor di più un angelo insegnassero altre cose, la mia dottrina è e rimane quella che annuncia Dio soltanto in purezza e che condanna ogni uomo che confida nella sua saggezza e nella sua giustizia”. (Commento alla lettera ai Galati). Questa affermazione dal punto di vista teologico e storico ha la sua importanza, perché pronunciata in un contesto in cui il principio di “Solo a Dio la gloria” non era ancora stato formulato. Lutero quindi è un precursore di questo principio perché era pienamente convinto che la gloria spettasse solo a Dio.

Anche Calvino, sulla scia di Lutero, afferma la stessa cosa: “È evidente che non ci gloriamo rettamente in Dio, se non rinunciando alla nostra propria gloria. Anzi deve essere chiaro il principio generale che chiunque si gloria in sé, si gloria contro Dio. Infatti san Paolo dice che gli uomini sono sottomessi a Dio solo quando ogni motivo di gloria è loro tolto” (Istituzione religione cristiana c. 13).

Perché queste affermazioni riguardo alla gloria di Dio? Perché l’idea di Dio è molto importante. Studiando il pensiero della Riforma abbiamo visto che il compito dei riformatori non era quello di riformare la Chiesa, anche se questo fu inevitabile, essi non avevano in mente questo come prima priorità, ma soprattutto riformare il rapporto tra Dio e l’uomo. L’uomo conosce Dio per la grazia di Gesù Cristo, mediante la fede rivelata nella Scrittura in modo che possa dare gloria a Dio. La differenza tra i riformatori e la chiesa di Roma (diremmo oggi: tra evangelici e cattolici), sta proprio nell’idea di Dio. Avendo un’idea distorta di Dio ci si affida ad altri (Madonna, Santi, Patroni…), perciò il principio di “Solo a Dio la gloria”, fa capire in che modo l’uomo può conoscere Dio e come Dio conosce l’uomo.

Nessuno può vantarsi di nulla o attribuirsi meriti, come se un qualsiasi bene provenisse da lui. Il Soli Deo gloria della Riforma si contrappone così all’esaltazione di una qualsiasi creatura o prodotto umano, quale che sia la sua elevata condizione, che deve essere così considerata idolatria. Non ci sono quindi “santi”, “madonne”, autorità religiose o civili, ideologie o realizzazioni umane che possano vantare alcunché di per se stesse, perché tutto ciò che hanno e sono deriva da Dio, al quale solo va rivolto il culto, la lode, la preghiera. A nessuno è lecito di “essere elevato alla gloria di Dio”.

Si è festeggiato il 500° anniversario della Riforma Protestante e, come abbiamo già documentato, ci sono stati vari incontri tra le varie confessioni religiose. L’anno scorso c’è stato in Svezia l’incontro tra papa Francesco e il rappresentante mondiale della chiesa luterana, il papa chiede perdono per la scomunica di Lutero: “Abbiamo sbagliato”, ma afferma: “Sarà un viaggio molto importante per l’unità dei cristiani”. Dunque dopo aver riabilitato Lutero si può parlare di unità cristiana, di ecumenismo, non c’è più divisione tra la chiesa di Roma e quella protestante. Ma i conti non tornano! Dopo 500 anni si parla ancora di Chiesa, di Ecumenismo? Non è stato questo il centro e il dibattito della Riforma. Lutero non ha mai parlato di Chiesa (e quando lo ha fatto in termini negativi), ma di Scrittura, di grazia, di fede, di Cristo, dunque di come l’uomo può arrivare a Dio e riconciliarsi con lui, e, come sappiamo, ancora oggi, le posizioni sono nettamente distanti e opposte. “Solo a Dio la gloria” mette al centro la dimensione di Dio e il rapporto che l’uomo può avere con lui, e la dimensione di Dio contempla Gesù Cristo, la grazia e la fede. Questo è il centro della Riforma e di questo doveva parlare il rappresentante delle chiese luterane con papa Francesco e non di ecumenismo, tradendo Lutero e lo spirito della Riforma.

Solo a Dio la gloria” è un messaggio chiaro contro una chiesa che pretende di essere mediatrice tra Dio e l’uomo. La chiesa di Roma attribuisce moltissima importanza alla mediazione. Mediatori sono Cristo, Maria, i santi, i sacerdoti. La stessa chiesa si ritiene mediatrice tra il divino e l’umano, quando amministra i sacramenti con tutte le conseguenze che ne scaturiscono. Prima fra tutte il concetto di “chiesa docente”, cioè attraverso il ministero petrino si impegna a fare discepoli e a insegnare (dal latino “docere”). Ecco una delle differenze che la Riforma ha evidenziato: una chiesa che pretende di essere mediatrice tra Dio e gli uomini oscura la gloria di Dio.

Anche se il 31 ottobre 1999 la chiesa di Roma ha firmato la Dichiarazione congiunta sulla dottrina della giustificazione per fede, non ha modificato minimamente la sua struttura gerarchica e la sua dottrina. A molti è sfuggito, ma la storia non inganna. Quasi due mesi dopo la firma congiunta, esattamente l’8 dicembre 1999, papa Wojtyła ha proclamato l’anno santo che rappresenta la celebrazione delle indulgenze, tanto combattute da Lutero e dalla Riforma. Mi ricordo che l’ultimo giorno del Giubileo del 2000, la porta santa di San Pietro rimase aperta fino all’alba per la moltitudine di pellegrini in fila in attesa di passare attraverso la porta per ottenere l’indulgenza plenaria. Ecco l’inganno della chiesa di Roma, ed ecco il poco discernimento della chiesa luterana, che di fatto ha taciuto questo incidente. Eppure la Scrittura dice chi è la vera porta: “Io sono la porta; se uno entra per me, sarà salvato, entrerà e uscirà, e troverà pastura” (Gv 10:9).

Risulta evidente che il concetto di chiesa è diametralmente opposto tra i riformatori e Roma. Per i riformatori la Chiesa è materialmente un gruppo di credenti che si riuniscono nel nome di Cristo (Mt 18:20), e spiritualmente il corpo di Cristo (1Co 12:27), che ha come capo Cristo stesso (Ef 4:15). Per il cattolicesimo la Chiesa è una struttura gerarchica, al cui vertice non c’è Cristo ma il Papa, vicario di Cristo. Affermare, dunque, “Solo a Dio la gloria” significa rifiutare questo tipo di chiesa e affermare che nessun altro può essere mediatore tra Dio e l’uomo, se non Gesù Cristo, e non può esistere una chiesa che pretende di gestire, attraverso il suo clero, il rapporto tra Dio e l’uomo. La chiesa così assume una potenza spirituale che toglie la gloria a Dio. Ma la cosa che turba ancora di più è che questo tipo di chiesa può decidere chi è santo e chi è beato.

Solo a Dio la gloria” significa anche rifiutare una chiesa che si fa Stato. È risaputo che, oltre al potere spirituale, la chiesa detiene anche il potere temporale, cioè un potere politico notevole, infatti ha i suoi ambasciatori in quasi tutti gli Stati del mondo e persino alle Nazioni Unite. In Italia il potere temporale della chiesa si manifesta anche con l’otto per mille. Secondo la notizia riportata dal Fatto Quotidiano dell’11 luglio 2016, solo il 36,7% dei contribuenti italiani hanno firmato per la chiesa, ma come ogni anno il meccanismo di ripartizione ha fatto sì che ricevesse oltre l’80% delle risorse. Così lo Stato ha ricevuto 187 milioni di euro, mentre la chiesa di Roma 1,3 miliardi di euro. Questa dottrina dei “Due Stati” temporale e spirituale, si è sviluppata soprattutto nel medioevo. Lutero spazza via con la sua Riforma questo concetto di chiesa. La Chiesa è essenzialmente spirituale, anche se nel mondo non fa parte del mondo, non ha potere temporale e non si impiccia in questioni temporali. Il suo compito è manifestare la gloria di Dio predicando il vangelo di Cristo.

Conclusione

E noi tutti, a viso scoperto, contemplando come in uno specchio la gloria del Signore, siamo trasformati nella sua stessa immagine, di gloria in gloria, secondo l’azione del Signore, che è lo Spirito” (2Co 3:18). Quando si contempla la gloria di Dio non si può rimanere indifferenti. La rivelazione della gloria di Dio ha riempito il primo uomo che l’ha contemplata. Quando Mosè ebbe questa rivelazione, egli vide (anche se a viso coperto) la misericordia, la bontà e la fedeltà di Dio verso un popolo dal collo duro, idolatra; fu così scosso da gettarsi a terra e adorare (Es 34:8). Prima di questa rivelazione troviamo Mosè che prega e intercede, piange e supplica Dio per Israele, ma davanti alla gloria di Dio non può fare altro che adorare.

Anche noi contempliamo la gloria del Signore, ma a differenza di Mose: a viso scoperto. È necessario dunque che non nascondiamo questa gloria, come faceva Mosè, noi dobbiamo camminare nel mondo a viso scoperto, essere testimoni e proclamare che: “Dio ha voluto far loro conoscere quale sia la ricchezza della gloria di questo mistero fra gli stranieri, cioè Cristo in voi, la speranza della gloria” (Cl 1:27), mostrando di essere partecipi di questo mistero. Mentre a viso scoperto, manifestiamo la gloria di Cristo della quale siamo divenuti un solo mistero, lo Spirito del Signore ci trasforma, ci rende simili a lui. Il cammino del cristiano diviene, pertanto, un percorso nella gloria di Cristo: “Sia dunque che mangiate, sia che beviate, sia che facciate qualche altra cosa, fate tutto alla gloria di Dio” (1Co 10:31).

Il 31 ottobre 2017 si è celebrato il 500° anniversario della Riforma (evento fra l’altro che i media italiani hanno appena sfiorato). In Germania la parola d’ordine è stata: Diversità riconciliate”, per sottolineare la possibilità di conservare e sviluppare la propria identità nel reciproco riconoscimento e apprezzamento. Come dire siamo ancora diversi ma più uniti di prima.

In Italia invece il Vaticano ha celebrato l’anniversario con l’emissione di un francobollo il 23 novembre. Gesù crocifisso a Wittemberg la città delle “95 tesi” e, in atteggiamento di penitenza e inginocchiati ai piedi della croce, a sinistra Martin Lutero che sostiene la Bibbia mentre a destra Melantone, suo amico e uno dei maggiori divulgatori della Riforma, tiene in mano la Confessione di Augusta, prima esposizione ufficiale dei principi del protestantesimo. Questo sarà il ricordo da parte cattolica dell’anniversario della Riforma, un’immagine che vede i riformatori inginocchiati al simbolo del cattolicesimo, “il crocifisso”, proprio ciò che Lutero ha condannato:

Onorare Dio e non avere altri dèi, come chiede il primo comandamento, non è recitare rosario e salmi, vestirsi a festa e inginocchiarsi davanti al crocifisso o alle immagini dei santi. Queste cose le fanno ogni giorno gli usurai, gli adulteri e ogni genere di peccatori” (Adriano Prosperi, Lutero, gli anni della fede e della libertà, Mondadori 2017).

Da parte nostra, a parte anniversari e ricorrenze, riaffermare il pensiero della Riforma significa riconoscere e ribadire i “cinque Sola che rappresentano la reazione alla decadenza spirituale e morale nella quale la chiesa dei papi era sprofondata. Il clero di fatto, li negava e li nega tuttora, aggiungendo: alla Scrittura, la tradizione; alla Grazia, i sacramenti; alla Fede, le opere meritorie; a Cristo, altri mediatori; alla Gloria di Dio, i meriti umani. Se questa è la chiesa di Roma si capisce che dalla Riforma a oggi nulla è cambiato, ed è impossibile un dialogo che non abbia come base i “cinque sola” della Riforma. Il cristiano come i riformatori non ritratta nulla perché “ha la coscienza prigioniera della Parola di Dio e non può e non vuole ritrattare alcunché. Dio ci aiuti” (Lutero).