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Mentre il mondo religioso si prepara, già da ora e soprattutto nel prossimo anno, a discutibili celebrazioni della Riforma nel suo cinquecentesimo anniversario, siamo qui a riflettere sull’attualità di un messaggio che appare ancora ben lontano dall’essere stato compreso e accolto. Il mercato delle indulgenze, quello che nella giornata del 31 ottobre 1517 fece indignare Lutero convincendolo che era arrivato il momento di uscire alla scoperto, è più fiorente che mai, così come sono oltremodo fiorenti le ostensioni delle più svariate reliquie ed i traffici commerciali ad esse collegate (basti pensare alla interminabile serie di bancarelle che circondano i più gettonati “santuari” cattolici e sulle quali superstizione ed idolatria trovano ampia esposizione). La religione continua ad essere, ancora oggi, una notevole fonte di profitto. Si è ancora lontani dall’aver compreso che non esiste commercio che in qualche modo possa essere collegato al nome del Dio di grazia.

E che dire dei famosi cinque “solo” con cui i riformatori sintetizzarono la loro testimonianza delle basi su cui una chiesa autenticamente cristiana ed evangelica avrebbe dovuto fondare il proprio cammino? Sola Scrittura, sola grazia, sola fede, solo Cristo, solo a Dio la gloria: sono affermazioni ormai annacquate nel tempo da un fuorviante ecumenismo che appiattisce e deforma insegnamenti e valori. L’unicità esclusiva della Scrittura, della grazia, della fede, di Cristo e della gloria da rendere a Dio è quotidianamente deturpata dai più vari surrogati (la tradizione e il magistero della chiesa, i meriti, le opere, i santi e le madonne che oscurano l’opera di Cristo e la gloria di Dio!).

E, nonostante una maggior libertà ed una più diffusa preparazione culturale, non vi sono stati progressi neppure sul piano della responsabilità individuale: gli uomini non si pongono domande o preferiscono accogliere passivamente chi offre loro risposte preconfezionate. Continuano, come ebbe a scrivere diversi anni fa il noto e compianto giornalista Indro Montanelli, a “dare la loro anima in appalto ai preti”. Scelgono di affidare ciecamente alla “chiesa” la loro relazione ed il loro cammino con Dio, così come la soluzione del problema del male e del peccato ed il loro destino eterno. La responsabilità individuale è ignorata. Mi piace ricordare che Lutero non affisse le famose 95 tesi all’interno della cattedrale di Wittenberg perché fossero lette dai “preti” e dagli esponenti ecclesiastici inviati dal Vaticano e presenti in quel giorno in città. Lutero le affisse fuori perché fossero viste e lette dal popolo, incoraggiando in questo modo ciascuno ad assumersi le proprie responsabilità: seguire gli insegnamenti di una chiesa o seguire gli insegnamenti della Parola di Dio? Seguire il papa o seguire Cristo? Per Lutero dovevano essere ripresi e corretti non soltanto i venditori di indulgenze (i preti), ma anche i compratori (il popolo). Non si può irresponsabilmente affidare ad altri la propria relazione con Dio e la propria eternità! Quando Gesù entrò nel tempio di Gerusalemme e fu indignato vedendo il mercato che vi si svolgeva, non mandò via soltanto i mercanti, ma anche i loro clienti (“ne scacciò quelli che vendevano e compravano”, Mt 21:12). Per Gesù Il compratore non appare quindi meno responsabile del venditore. Non è quindi responsabile soltanto il prete che accoglie in appalto le anime (pur se oggettivamente il suo tasso di responsabilità può essere considerato maggiore), ma è responsabile anche chi gli affida, senza accertarsi personalmente e responsabilmente come stanno davvero le cose, l’appalto del proprio destino. Gesù desidera avere al suo seguito discepoli che abbiano compiuto per lui una scelta personale, responsabile, motivata, unica, esclusiva: è questo il messaggio che ancora oggi dobbiamo proclamare ad alta voce a chi a questa scelta preferisce… l’appalto.