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“Benedetto sia il Dio e Padre del nostro Signore Gesù Cristo, il Padre misericordioso e Dio di ogni consolazione, il quale ci consola in ogni nostra afflizione, affinché mediante la consolazione con la quale siamo stati da Dio consolati, possiamo consolare quelli che si trovano in qualunque afflizione; perché, come abbondano in noi le sofferenze di Cristo, così, per mezzo di Cristo, abbonda anche la nostra consolazione” (2Co 1: 3-5).

 

 

Introduzione

 

Per verificare la genuinità di un diamante gli esperti lo immergono nell’acqua pulita e trasparente, e solo se è vero scintillerà con riflessi di brillantezza speciale. Invece una pietra falsa non brillerà per nulla, e anche un occhio inesperto si accorgerà della differenza.

Da come affrontiamo i problemi si capirà in chi abbiamo riposto la nostra fede e se questa fede è viva o è solo apparente, oppure se è una imitazione.

Sembra un parlare duro, ma in realtà è la Parola di Dio che lo afferma; questo non deve lasciarci indifferenti, il suo effetto è sempre quello di cambiarci o di condannarci! Anche le crisi più profonde sono l’inizio di un cambiamento!

Viviamo in un mondo di peccato

 

Ognuno di noi vive una vita che non è fatta solo di gioie e felicità, incontriamo anche problemi, disagi e subiamo dure sconfitte. Oggi molti di noi vivono in un ambiente dove le “tensioni” sono all’ordine del giorno e spesso queste situazioni si ripercuotono negativamente sul nostro “stile di vita” anche a livello spirituale. Questa è l’esperienza di molti.

 

Tutto ciò non deve scoraggiarci, né dobbiamo credere o pensare che tutto sia contro di noi, altrimenti lo scoraggiamento e la depressione arriveranno subito! In realtà i problemi, le prove e le difficoltà ci sono e sono una conseguenza della natura umana peccaminosa e di un mondo e una società dominata dal peccato, dal male e corrotta dall’iniquità. E che dire della nostra superficialità che, alcune volte, accompagna le scelte della nostra vita, con conseguenze non sempre piacevoli.

 

Isaia contemplando questa situazione disse:

Il popolo volgerà lo sguardo verso terra, ed ecco, non vedrà che difficoltà, tenebre, oscurità piena di angoscia; sarà sospinto in mezzo a fitte tenebre” (Is 8:22). Non è un quadro esaltante della realtà, ma è pur sempre Parola di Dio, che non mente e non sbaglia mai.

I problemi, e le prove, sono parte integrante della nostra vita e nessuno ne è esente!

Chi può dire, a qualsiasi età, di non aver mai incontrato prove? L’apostolo Paolo scriveva ai Corinti: Vorrei che foste senza preoccupazioni (1Co 7:32). Ma… era solo un desiderio!

Il Signore ci ha avvertito: “Nel mondo troverete prove e tribolazioni” (Gv 16:33). Questa è la vita!

 

Quante volte il Signore stesso affrontò prove, tentazioni, sofferenze fino al suo sacrificio? Lui stesso “… cominciò a insegnare loro che era necessario che il Figlio dell’uomo soffrisse molte cose, fosse respinto dagli anziani, dai capi dei sacerdoti, dagli scribi, e fosse ucciso e dopo tre giorni risuscitasse” (Mr 8:31).

“Era necessario?”. Per chi era necessario? Per lui ma anche per noi! Anche l’apostolo Paolo al termine della sua carriera disse: “Noi siamo tribolati in ogni maniera” (2Co 4:8). Leggendo il lungo elenco delle prove e difficoltà incontrate da Paolo nel suo ministerio che indirizza ai credenti di Corinto (2Co 1:23-28) viene da pensare! E che dire dei nostri fratelli che affrontano anche oggi, in molti Paesi del mondo, prove e sofferenze atroci perché sono dei figli di Dio? Chi può sfuggire a dolori fisici o emotivi; a malattie o attacchi spirituali e, infine, “Qual è l’uomo che viva senza veder la morte?” (Sl 89:48).

 

Fatta questa premessa non entusiasmante, occorre spendere qualche parola sull’atteggiamento che, quasi sempre, noi abbiamo di fronte alla prova. Come ci comportiamo? Come la affrontiamo? Cosa pensiamo di Dio?

Davanti alla prova vengono in mente tante domande, prima fra tutte: “Perché? Perché a me?”. Sono domande che esprimono stupore, quasi sorpresa! Dopo un po’ di esperienza posso affermare che la risposta alla domanda “PERCHÉ?” comincia dal riconoscere che la vita è così, ed è segnata da difficoltà e sofferenza. È naturale che accada! Viviamo in un mondo perduto, rovinato dalla malattia e dal peccato. La nostra esistenza è segnata negativamente. Questo è ciò che abbiamo in dote da questo mondo!

Qualcuno potrebbe dire: “Ma perché il Signore non ha evitato tutto ciò?”. Bella domanda! Sicuramente lui ha tutto sotto controllo e niente gli sfugge. Il suo è un dominio eterno, che mai si interrompe ed è un dominio totale. Dio è onnipotente, e avrebbe potuto evitare tutto ciò, ma Dio è anche onnisciente, e noi no. È preferibile saper sommessamente e umilmente tacere davanti a Dio e riconoscere che, da questo lato dell’eternità, noi non possiamo conoscere a fondo i suoi scopi e le sue azioni a nostro beneficio. Dio ha i suoi tempi e i suoi modi, e nessuno può chiedergli il perché di quello che fa!

 

Chissà quante volte ognuno di noi avrà detto o pensato: “Perché? Perché a me? Perché proprio a me ora?”. Questa domanda non avrà mai risposte soddisfacenti: un giorno, nel cielo, conosceremo quello che oggi solo in parte vediamo (1Co 13:9).

Suggerisco un approccio diverso al problema delle prove, proponendo qualche altra domanda, ad esempio “Che cosa vuole Dio che io faccia in mezzo a questa prova?”, oppure “C’è qualcosa che io devo imparare da ciò che Dio permette?”. Queste domande devono spingere ogni figlio di Dio, che si trova nella prova, all’azione.

Occorre passare dalla perdita o dal dolore alla guarigione, occorre uscire dal dolore per arrivare alla gioia. Già la gioia! È il posto dove ci vuole Dio, ma non sempre noi siamo lì! Questo percorso non è mai semplice e piano, ma Dio vuole accompagnarci nel passare da un sentimento di completa devastazione ad un impegno per un futuro di fede e di speranza con lui accanto. “Perché?” è la domanda che tiene la persona avvinghiata al passato, mentre la domanda “E adesso?” la spinge dal presente verso il futuro.

 

 

Cosa non è una prova?

 

Non sempre ciò che ci accade è una prova che viene da Dio, spesso è frutto di scelte sconsiderate e sbagliate e quindi conseguenza del “peccato” e della disubbidienza alla Parola di Dio o alle leggi umane.

 

Ad esempio:

• Non è una prova se io mi fidanzo con una o con un non credente: questa scelta potrebbe portarmi ad allontanarmi dalla chiesa o dalle cose di Dio o da lui stesso, oppure portarmi ad una vita difficile e triste (2Co 6:14-17).

• Non è una prova se io rubassi e, qualora preso, fossi arrestato e portato in carcere (1P 4:15).

• Non è una prova se, durante una verifica a scuola, io copiassi e, scoperto, dovessi subire conseguenze negative (Pr 12:20).

 Non è una prova se, a causa della scelta sconsiderata di correre in macchina, mi accadesse un incidente, etc., etc. (Ec 9:3).

 

Insomma non è una prova tutto ciò che parte da una mia scelta contraria alla legge, contraria alle leggi naturali o contraria alla volontà di Dio.

Non dobbiamo confondere la tentazione con la prova. Sono due cose diverse e distinte.

La tentazione non viene mai da Dio. Uno dei primi incontri che ebbe il Signore sulla terra fu con il diavolo che lo tentò (Mt 4:1 e segg.). Anche in altri brani è detto che Satana tenta l’uomo (1Co 7:5; 1Te 3:5; Gm 1:14), ma mai, e poi mai, è Dio che tenta l’uomo (Gm 1:13-14).

Questo dobbiamo credere! È Satana che si serve di tanti mezzi per tentare l’uomo, e spesso riesce a fargli credere che questa sia una prova, ma non è così. La tentazione ha come obiettivo quello di far cadere l’uomo nel peccato, in molti modi e molte maniere, e in definitiva di allontanarlo da Dio. Non è così per la prova.

 

 

Cosa è una prova?

 

Cos’è allora la prova? È una evidente difficoltà, una sofferenza di varia natura e complessità, che può toccare ambiti diversi della nostra vita: la sfera morale, fisica, spirituale o addirittura più ambiti assieme. Normalmente la prova esula dalla nostra responsabilità, vale a dire non è il prodotto di scelte sbagliate, superficialità o disubbidienza. La cultura che ci sta attorno e la sofferenza che sperimentiamo, ci fanno pensare, o credere, che la prova sia qualcosa di fondamentalmente negativo.

Le prove in cui spesso i credenti vengono a trovarsi sono invece uno degli elementi necessari ed “importanti” che Dio usa in nostro favore. Sono da considerare parte del processo di formazione spirituale che Dio usa in vista sia del nostro bene sia di una crescita nel servizio, oppure di una nostra “trasformazione” a lode e gloria del suo nome.

 

La prova insomma è sempre benevola. Può avere diversi obiettivi: farci avvicinare a Dio, ricevere da Dio qualche insegnamento, essere aiutati a fare un passo avanti oppure, infine, salire un gradino verso la maturità cristiana.

La prova è quindi data direttamente da Dio, oppure è permessa da Dio, mai dal suo nemico, che invece usa la tentazione per arrivare ai suoi scopi. La prova, vista con gli occhi della fede, è un bene, perché viene da Dio.

 

 

OTTO SCOPI NELLA PROVA

 

Nella Scrittura troviamo almeno otto motivi per cui Dio permette che i suoi figli siano provati. Nessuno come Dio sa prendersi cura di noi, anche in mezzo ad una esistenza spesso travagliata, mai semplice e a volte triste o tragica. Noi sappiamo che, al di là delle apparenze, Dio ha dei piani meravigliosi per noi (Gr 29:11) volendo dirigere il nostro cammino verso il cielo: la sua presenza ci accompagna, la sua Parola ci indica il cammino e la potenza del suo Spirito ci sostiene. Nulla accade per caso, lui ha tutto sotto controllo! Egli sa cosa sta facendo ed ha cura di noi: possiamo starne certi, perché ci ama!

 

 

Dio ci vuole fiduciosi

 

Quando affrontiamo una prova, dolorosa o meno, abbiamo la possibilità di fare un check up della nostra vita spirituale. Come sto affrontando un problema, una prova o una situazione dolorosa? Mi trovo a combattere contro l’amarezza, il risentimento, il rancore o mi sto crogiolando nell’autocommiserazione? Oppure mi affido sempre di più al Signore con una forte fede e un profondo senso di sottomissione e umiltà? La nostra risposta rivelerà a che punto 
è la nostra fede reale, e qual è l’area spirituale in cui abbiamo bisogno di crescere. Noi sappiamo che Dio è onnisciente e che nessuno meglio di lui conosce a fondo il nostro cuore, ma vuole che anche noi lo conosciamo. Solo lui sa di cosa abbiamo bisogno nel cammino della nostra vita.

 

Anna, la madre di Samuele, era grandemente afflitta: la sua sterilità era causa di sofferenza, ma le molestie di Peninna (l’altra moglie di suo marito Elkana) erano la concausa del suo scoraggiamento e della sua depressione. Quando Anna capì che solo il Signore poteva guarirla, ecco che la sua preghiera sbocciò in una forte dichiarazione di fede, amore e sottomissione totale al Signore (1Sa 2). La sua debolezza la spinse nelle braccia di Dio. Fu questa attestazione di fede in Dio che la liberò dal risentimento, dallo scoraggiamento e la fece uscire dalla depressione.

Dio fece il resto.

Ella gettò il suo peso davanti all’Eterno ed egli ebbe cura di lei (1P 5:7). Anna pianse a dirotto davanti a Dio, pregò con tutta la sua fede e Dio ascoltò! Dio permise questa prova per Anna per renderla forte, trasformandola da donna depressa e umiliata a madre coraggiosa e dipendente da Dio.

Quando esaminiamo i nostri cuori abbiamo l’opportunità e la responsabilità di affidarci a lui; oppure di pentirci di una nostra iniquità, confidando in lui e nella sua grazia, come forse non avevamo fatto prima e di rivolgerci a lui con uno spirito umile, anziché di mostrarci orgogliosi e ribelli. La prova della fede serve a me, non a Dio, che già conosce ogni cosa di me!

 

Dio ci vuole umili

 

Spesso Dio usa le prove per farci ricordare che la nostra fede deve mantenersi umile; lui sa quanto sia facile per noi vantarci nel nostro orgoglio e nella nostra presunzione spirituale.

Quando penso a Giona vedo quanto anche un profeta, uomo di Dio, corra il pericolo di insuperbire e di mettere la sua volontà prima di quella di Dio.

Dio aveva già usato Giona (2Re 14:25), e voleva ancora usarlo. Ma Giona ne sapeva una più di Dio, voleva essere più giusto di lui. Così si mette di traverso al piano del Signore che, volendo far arrivare la salvezza ai Niniviti, lo chiama ad un nuovo compito. È triste vedere come le varie prove accadute a Giona lo abbiamo indurito a tal punto da litigare con Dio stesso (Gn 4). Più grandi sono le benedizioni spirituali più grande è la tendenza a considerarle come qualcosa che ci siamo guadagnati, o che ci siamo meritati, o che abbiamo raggiunto grazie al nostro “impegno/dedizione/fatica/amore per Dio”. Ci è difficile riconoscere che ogni cosa è merito della grazia di Dio che si manifesta verso di noi ogni giorno. L’esperienza di Paolo, con la sua“spina” è lì a parlarci forte che persino un uomo di Dio di tal livello doveva stare attento a non insuperbire nella sua mente e nel suo cuore (2Co 12:7). Piuttosto che a Giona dobbiamo assomigliare a Gionathan, il figlio di Saul, che aveva ben capito qual era il piano di Dio: aveva capito che sia lui che la sua casa avrebbero ceduto il passo a Davide. Dio ci prova per tenerci “umili”: che grazia!!

A Lui solo deve andare la gloria e a nessun altro!

 

 

Dio ci vuole liberi

 

Ho personalmente imparato che le più dure prove tendono a farci rivolgere lo sguardo e i pensieri su quelle cose che sono veramente importanti (eterne?). Le cose di questa terra non ci danno più nessuna soddisfazione quando siamo immersi nella dura prova, o peggio nel dolore. In realtà quello che accade è che il Signore “stacca” lui la spina dalle cose che ci circondano e che spesso diventano come delle àncore, nel senso che ci danno l’impressione di sentirci in un porto sicuro.

 

L’effetto finale è quello di arrivare a dire ciò che un grande imperatore disse: “Alla fine di quei giorni, io, Nabucodonosor, alzai gli occhi al cielo e la ragione tornò in me. Benedissi l’Altissimo, lodai e glorificai colui che vive in eterno: il suo dominio è un dominio eterno e il suo regno dura di generazione in generazione. Tutti gli abitanti della terra sono un nulla davanti a lui; egli agisce come vuole con l’esercito del cielo e con gli abitanti della terra; e non c’è nessuno che possa fermare la sua mano o dirgli: «Che fai?»…” (Da 4:34-37). Questo grande imperatore era “legato” dalla sua superbia, dal suo “io” e da tutto ciò che aveva. Ne aveva ben donde perché lui era, a quel tempo, l’uomo più potente e ricco della terra. Ma non aveva considerato chi era Dio. Per la sua grazia, il Signore si rivelò a lui attraverso una dura prova, e lui si “ravvide”. La Parola di Dio stessa ci presenta tanti esempi di altri uomini che misero la loro faccia nella polvere, pur avendo grandi beni o ricchezze, a cui non pensarono, rivolgendo invece lo sguardo in alto al Signore (Giosia). L’obiettivo divino è quello di re-indirizzare il nostro sguardo all’eternità, che dura, e non alle cose passeggere che non durano!

 

 

Dio ci vuole speranti

 

Ci sono persone che hanno sopportato prove così intense e per un periodo così lungo da farci rimanere perplessi, eppure le hanno sopportate con una capacità straordinaria di “guardare in alto” e di “guardare avanti” come se stessero rimirando e gustando già il loro futuro accanto al Signore. Brani della Parola di Dio come Romani 8:18-25 o 2Corinzi 4:13-17 ci spingono ad “uscire” dall’oggi e a camminare verso la “speranza” eterna della presenza di Dio.

Ascoltando, ad esempio, le esperienze di genitori credenti che hanno perso un figlio si nota proprio questa attitudine. Più la malattia del figlio era lunga e devastante, più questi genitori hanno provato un senso rinnovato e forte di essere in cielo e di vivere l’attesa di una speranza celeste migliore di ogni cosa terrena. Più il loro figlio si spegneva più vedevano il Signore ingrandire e divenire splendente in loro.

Non è forse questa l’opera potente di consolazione e di cura meravigliosa che solo Dio sa dare ai suoi figli? Accanto ad ogni afflizione Dio stesso ha già preparato una consolazione. (2Co 1:3-4). In ogni caso se l’Eterno affligge ha altresì compassione nella sua immensa bontà. (La 3:32). Lui ci ama davvero e sa come stare vicino a noi, sempre! Lui è il paracleto, il Consolatore, colui che è fedele e che non manca mai!

 

Un’anima così consolata può arrivare a capire il perfetto piano di Dio, e la bontà del suo agire esclamando: È un bene per me l’essere stato afflitto. (Sl 119:71). Solo il giusto sa vedere il bene anche nell’afflizione, perché sa che Dio lo “prova” proprio nel crogiuolo della sofferenza. Dio è all’opera e lui sa cosa sta facendo! Non è volentieri che Dio usa questo mezzo (La 3:33) ma è per il mio bene.

 

 

Dio ci vuole innamorati di lui

 

Dio vuole insegnare a ciascuno di noi qual è il vero amore della nostra vita, e lo fa con una meravigliosa e tenera compassione, ma a volte con mezzi e attraverso strumenti che non ci piacciono o che noi non avremmo mai scelto. Lo fa con amore e solo per amore, perché ci vuole puri, sempre più puri e sempre più perfetti (completi) in Cristo. Questo percorso, a volte duro e doloroso, è utilizzato da Dio per attirarci sempre di più a lui.

 

Abramo amava profondamente suo figlio. Il Signore sapeva che Abramo aveva questo sentimento alto e puro nel cuore. Cosa fa? Lo chiama e cosa gli dice? “Prendi tuo figlio, il tuo unico, colui che ami, Isacco, e va’ nel paese di Moria, e offrilo là in olocausto sopra uno dei monti, che ti dirò” (Ge 22:2). Cosa avrei pensato io a questa richiesta? Cosa avrei detto? Soprattutto cosa avrei fatto? Io avrei fatto come Giona: sarei partito per andare 5.000 km lontano da Dio e dalla sua volontà. Come si fa a chiedere ad un uomo di sacrificare il proprio figlio?

Invece Abramo fu pronto ad obbedire al Signore, e questo non era solo una prova della sua fede genuina in Dio, ma anche prova del suo amore per il suo Signore. Per tre lunghi giorni quest’uomo camminò vicino a suo figlio che sapeva di dover uccidere! Tre lunghi giorni in cui sicuramente questo servo di Dio avrà avuto pensieri di ogni genere. Ogni passo verso quel monte lo avvicinava alla morte. Ma questo è il cammino della fede, alla cui fine c’è il Signore e Salvatore. Abramo anticipò di secoli le parole del Signore che disse: “Se uno mi ama, osserverà la mia Parola” (Gv 14:23). Siamo disposti ad obbedire a qualsiasi richiesta del Signore? Abramo lo fece! Amiamo Dio al punto non solo di ascoltare la sua Parola, ma soprattutto di praticarla nella nostra vita! Se diciamo di amare Dio dobbiamo fare la sua volontà, la prova del nostro amore è molto pratica si chiama ubbidienza.

 

Chi amiamo di più? Attenzione: se diciamo di amare Dio più di ogni altro, allora sarà possibile che Dio ci faccia una richiesta “alla Abramo”! Perché Dio chiese questo ad Abramo? Forse perché Dio è capriccioso, oppure è geloso? Forse voleva il male di Abramo? No, assolutamente no! Dio aveva degli scopi gloriosi per il suo figlio Abramo, e questa prova faceva parte di un progetto di crescita per lui. Dio ha piani meravigliosi, per darci “un avvenire ed una speranza” (Ge 29:11). Un avvenire e una speranza!

Dio chiamò Abramo per mostrargli come doveva essere amato. Amiamo Dio al punto di essere pronti ad obbedirgli in ogni cosa?

Le prove servono anche a questo: a verificare se amiamo davvero Dio prima di tutto e di tutti. Servono a testare la nostra ubbidienza!

 

 

Dio ci vuole riconoscenti

 

Ciascuno di noi tende a dare valore alle cose che più corrispondono alla sua scala di valori. Per i giovani il piacere e il benessere stanno in cima alla scala dei valori. Più si va avanti nell’età e su questa scala appaiono e si trovano cose come potere, ricchezza e posizione. Sono tutte cose legittime, in alcuni casi, in altri no, almeno per un vero figlio di Dio!

Attraverso le prove della nostra fede Dio invece ci spinge a spostare la nostra attenzione nel dare “valore” alle cose eterne, alle cose spirituali che Dio stesso desidera per noi: l’obbedienza alla sua Parola, la riconoscenza per la sua cura o la sua provvidenza, la dipendenza dalla sua forza e, prima di tutte, la gioia per la nostra salvezza. Un grande uomo di Dio scrisse: “Poiché la tua bontà vale più della vita, le mie labbra ti loderanno. Così ti benedirò finché io viva e alzerò le mani invocando il tuo nome. L’anima mia sarà saziata come di midollo e di grasso, e la mia bocca ti loderà con labbra gioiose” (Sl 63: 3 a 5).

Preghiamo così?

Qui non c’è equivoco che tenga, in ogni cosa noi siamo chiamati a ringraziare Dio, cioè ad essergli grati per tutto quello che ci accade.

Non sono le situazioni che ci devono mettere a terra o farci contenti, piuttosto la volontà di Dio che rivela il suo amore per noi in mille modi, a volte anche non piacevoli. Posso affermare per esperienza che dopo molte prove, nella vita, mentre sto andando in là negli anni ho visto “i benefici” di questa tenera cura.

 

Come non pensare alla prigionia di Paolo a Filippi? Fu accusato ingiustamente, illegittimamente incarcerato, ma nel buio e nella putrida prigione ebbe l’opportunità di vedere una intera famiglia convertirsi. Dall’altra parte della medaglia della sofferenza Dio ha già preparato una consolazione e una benedizione. Ecco i benefici di Dio, le sue consolazioni, la sua cura che si manifesta in ogni occasione.

Molti di noi possono affermare, con l’espe-
rienza, che niente vale più della grazia del Signore, della sua misericordia e della sua bontà infinita, della sua presenza in noi e della comunione dello Spirito Santo.

 

Quando si passa attraverso una prova dura e tragica le nostre priorità della vita si sistemano, e si posizionano nel giusto ordine. Anche i nostri valori cambiano e si adeguano ai valori di Dio. Questo è il modo in cui Dio opera, anche se a volte non ci piace! Solo in questa ottica possiamo comprendere quanto ha scritto Giacomo: “Considerate una grande gioia, fratelli miei, quando vi trovate in prove di vario genere… e beato l’uomo che persevera nella prova perché… riceverà la corona della vita” (Gm 1: 3-12).

Il cuore del credente, provato e approvato, sarà riconoscente e loderà il Signore per quello che sta facendo per lui, anche attraverso le prove!

 

 

Dio ci vuole pazienti

 

Ci sono persone che sembrano essere catalizzatori di dolori e prove. Che dire di Giobbe? Sembrava che nella sua vita i problemi si accumulassero uno sopra l’altro. Come si fa a restare in piedi dopo aver subito quello che era toccato a lui?

Proviamo a immaginare noi al suo posto. Siamo in un pomeriggio tranquillo a casa nostra e all’improvviso arrivano notizie, una dietro l’altra, a farci sapere che abbiamo perso tutti i nostri beni, pecore, buoi, capre e altri animali e che anche i nostri dieci figli sono morti. La prima cosa che è detta di lui, nella Bibbia, è che era “un uomo integro e retto, temeva Dio e fuggiva il male”! Cosa avremmo pensato noi al suo posto? Come avremmo reagito? Ci abbiamo mai pensato? Io sì e vi dico che non sarei rimasto calmo, e chissà se forse sarei stato capace di mantenere la mia fede! Ma non era ancora tutto. Dopo tutte queste notizie tragiche la sua salute peggiorò in un modo terribile sino a ridurlo ad un verme strisciante per terra, abbandonato da tutti, tanto che persino la sua moglie gli disse: “Rimani ancora fermo nella tua integrità? Maledici Dio e muori!” (Gb 2:9).

Ecco il pensiero dell’uomo che accusa Dio di tutto e di più e si ribella alle prove. Che è come dire: “Ma Dio ci ama davvero”? Sì, lui ci ama davvero, e questo non deve essere mai messo in dubbio, a meno che non vogliamo ascoltare la voce del nostro nemico che dice: “Come Dio vi ha detto…, ma non è così!!?”.

 

Conosciamo tutti la storia di Giobbe, vero? Attenzione a giudicarlo perché lui non sapeva cosa stesse accadendo. Giobbe non sapeva che Satana e Dio erano in guerra e che proprio lui era l’oggetto del loro contendere. Satana aveva un piano per lui, ed era quello di distruggerlo e portarlo all’apostasia (cioè all’abbandono o rinnegamento della fede). Satana voleva rovinare Giobbe, toccandolo nella sua vita e negli affetti ed infine voleva rapirgli la sua fede in Dio, rendendo la sua vita inutile. Invece il piano di Dio era diverso, e quel piano aveva come obiettivo qualcosa di “grande”. E noi tutti sappiamo che il “piano dell’Eterno è quello che sussiste” (Pr 19:21). Dio aveva in progetto di far crescere in modo esponenziale la fede di Giobbe. Quella prova tremenda era parte del progetto divino per lui.

Infatti cosa fece Giobbe al termine della sua prova tremenda e lunghissima?

Prima di tutto lodò Dio perché ora lo conosceva come non l’aveva conosciuto prima. Conoscere Dio così è qualcosa che non si può descrivere, occorre provare.

Inoltre ora Giobbe non temeva più le prove, il dolore, le difficoltà fisiche e spirituali, perché la sua esperienza era andata aldilà, portandolo dalla polvere alla presenza del trono celeste di Dio. Mentre egli era nella polvere vicino alla morte, nel pieno del dolore inconsolabile, Dio si rivelò nel suo splendore. Si rivelò a Giobbe per chi era veramente: un Dio potente, sovrano, il Redentore vivente e il Signore del mondo e degli eventi. Ora il Signore rifulgeva in Lui. Dopo la prova poteva dire: “Ora sono pronto a vivere la vita vittoriosa che Dio ha preparato per me… Egli mi ha mostrato la sua grazia e il suo amore, egli mi ha sostenuto sin qui e continua a rivelarmi le sue benedizioni ogni giorno della mia vita, ed ho una piena fiducia che egli non mi abbandonerà mai”. Giobbe ora sì che desiderava stare all’ombra della sua protezione eterna, stretto nel suo abbraccio eterno. Quest’uomo fu trasformato dal Signore, e dalla sua potenza, prova dopo prova. Ora era un altro uomo!

 

 

Dio ci vuole forti e perseveranti

 

Molti di coloro che hanno affrontato e superato, grazie a Dio, le prove sviluppano un “ministerio” più forte ed efficace a beneficio di coloro, gli altri, che stanno per affrontare, o stanno affrontando, quelle prove. Questa era la convinzione di Paolo (2Co 1:3-6). Dio si compiace di fortificare i suoi santi attraverso le prove, e quindi attraverso l’esperienza. Quando abbiamo imparato a confidare in Dio mentre siamo nella prova, veniamo equipaggiati ad aiutare gli altri a confidare in lui e nel suo intervento di Dio nella loro vita: coloro che hanno attraversato una prova spesso sono usati da Dio per “insegnare” agli altri.

Chi è passato attraverso un’esperienza di prova e ha goduto la consolazione di Dio e ne gioisce diventa un esempio di fede. Diventa una persona che ha qualcosa da dire o da dare che altri non hanno. Chi è passato attraverso una certa esperienza può capire sino in fondo il travaglio nell’altro che la sta vivendo. Le persone consolate direttamente da Dio possono dire agli altri con grande fiducia che Dio non viene mai meno, possono dire agli altri che Dio non delude mai e che egli non ci abbandona mai nei nostri dolori. Queste persone possono testimoniare che “Dio non viene mai meno”, che è sempre presente, accanto a noi, ovunque siamo.

Ho letto e riletto le parole di Paolo riportate all’inizio di quest’articolo. Posso affermare che Dio è così! Dio è il Signore che governa gli eventi, è il Padre pieno di sviscerato affetto per me, è il Consolatore che rasserena e rialza l’afflitto. Lui c’è sempre perché è fedele! Egli è sempre vicino a chi soffre! Sempre!

A volte sta in silenzio, come ha fatto per anni con Giuseppe. Giuseppe se ne era accorto, e così la sua fede cresceva! Era stato umiliato dai suoi fratelli, deriso, venduto schiavo e strappato alla sua famiglia. Era stato di nuovo umiliato e ingiustamente condannato, imprigionato e per anni dimenticato in una prigione. “Dov’era Dio?”. Leggiamo la risposta: Il Signore era con lui (Ge 39:4). Ricordiamoci bene: Dio non cambia, non muta, non sta fermo ed opera per noi, Dio è con noi ancora oggi!

Le prove ci spingono a pregare!

Nelle prove Dio ci porta a guardare verso l’alto per ricevere aiuto e infine per dargli gloria.

Lo strumento più forte che abbiamo per avere la giusta visione di Dio è la preghiera.

Il Signore a volte permette le prove per far sì che noi ritorniamo a lui ed è proprio la preghiera che ci fa avvicinare a lui.

Davide affermò: “Una cosa ho chiesto al Signore (preghiera) e quella ricerco (azione); abitare nella casa del Signore (relazione) tutti i giorni della mia vita, per contemplare la bellezza del Signore e meditare nel suo tempio” (Sl 27:4).

La preghiera è stata l’ancora di salvezza a cui tutti i grandi uomini di Dio di ogni età si sono attaccati in mezzo a prove, tribolazioni, difficoltà. Niente meglio della preghiera ci avvicina a Dio e ci tiene lontani da Satana, dal mondo e dal peccato. Niente di meglio di una richiesta di perdono ci riammette alla sua presenza. La preghiera ci aiuta anche a confessargli la nostra debolezza ed è proprio quello che Dio vuole sentire da noi. Perché solo così potrà mostrarsi potente e confortarci e, per mezzo dello Spirito, guidarci e darci la sua forza.

 

Attraverso la preghiera possiamo presentarci a Dio e gridargli il nostro dolore e la pesantezza del nostro cammino. Egli vuole prendersi carico del nostro dolore e delle nostre sofferenze.