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Fai quel che dico, ma non quel che faccio.

Oggi ci si accontenta spesso di un cristianesimo basato sul credere le cose giuste” piuttosto che sul fare le cose giuste”.

Non è quindi infrequente incontrare persone che sanno di vivere nella disubbidienza in un determinato aspetto della loro vita eppure dicono: “Che importa? Questo non intacca la mia fede”.

 

La fede viene vissuta nei pensieri piuttosto che negli atti.

Si dovrebbe fare questo. Si dovrebbe fare quello. Ma purtroppo… non si fa. “Siamo fatti così…Che ci vuoi fare?…”. E con queste parole si considera conclusa l’applicazione del testo biblico.

 

La fede, invece di costituire una relazione con il Dio vivente e vero che ha trasformato la vita del credente, viene sostituita da un surrogato, un insieme di dogmi, di articoli scritti su un pezzo di carta, che ci accontentiamo di conoscere a livello intellettuale.

I credi diventano fondamentali mentre la condotta passa in secondo piano.

Può il popolo di Dio accontentarsi di una religione in cui l’intenzione sostituisce la realizzazione?

Possiamo accontentarci di dire agli altri:

“Fai quel che dico, ma non quel che faccio.”?

 

 

Cattivi maestri

 

I cattivi maestri non sono solo coloro che insegnano cose sbagliate, ma anche quelli che insegnano la verità ma non la mettono in pratica. Gesù stesso ne diede un esempio:

 

“«Gli scribi e i farisei siedono sulla cattedra di Mosè. Fate dunque e osservate tutte le cose che vi diranno, manon fate secondo le loro opere; perché dicono e non fanno…»” (Mt 23:1-4).

 

“Dicono e non fanno”.

Molti scribi e farisei insegnavano cose che Gesù riteneva degne di essere applicate da chi li ascoltava, tuttavia essi non vivevano in maniera coerente con quanto insegnavano agli altri e questo era considerato un problema da parte di Gesù che in diverse occasioni si rivolse ad alcuni di loro chiamandoli “scribi e farisei ipocriti” (Vedi Mt 23:13, 14, 15 ecc.).

 

L’ipocrisia deve essere considerata la norma anche nella chiesa?

Ci accontenteremo dell’apparenza della pietà, rinnegandone la potenza? (2Ti 3:5)

 

Ci si è abituati a ritenere il momento della predicazione come un momento in cui vengono insegnati precetti biblici che potrebbero essere importanti per la propria vita, cose che dovrebbero essere fatte e che si desidererebbe proprio fare; ci si accontenta però di averli compresi, si fa un complimento al predicatore di turno e si rimanda l’applicazione ad un momento imprecisato della nostra vita, aspettando con impazienza il sermone della settimana successiva in cui ci verranno dette tante altre cose importanti che potremmo, dovremmo, desidereremmo proprio fare.

 

Talvolta, sembra quasi che ci sia un tacito accordo tra chi predica e chi ascolta, una rassegnazione implicita al fatto che le spine soffocheranno inevitabilmente il germoglio nato dalla parola seminata. Non ci si preoccupa di fare un po’ di pulizia e togliere di torno quelle spine perché forse fa comodo che rimangano lì dove sono…

 

Il problema della coerenza tra pratica e teoria diventa fondamentale nella testimonianza personale.

Come pensiamo di testimoniare agli altri se noi stessi non pratichiamo ciò che diciamo?

Se il nostro coniuge non è credente, o non lo sono i nostri figli, come pensiamo di conquistarli al Signore se le nostre parole non sono coerenti con le nostre azioni?

 

Troppi credenti trascurano l’importanza del buon esempio verso i propri figli o verso il proprio coniuge non credente non rendendosi conto che loro stessi sono l’ostacolo principale alla conversione dei propri famigliari.

Non si rendono conto di essere cattivi maestri che insegnano ciò che si dovrebbe fare, ma non sono in grado di mostrare agli altri ciò che il Signore è in grado di fare nella vita di un cristiano.

 

 

L’esempio di Cristo

 

Il cristianesimo, lungi dall’essere un insieme di dogmi da professare, è una relazione viva con Dio.

Nella sua grazia il Signore ha un piano meraviglioso stabilito per il credente.

Siamo infatti nuove creature predestinate ad essere conformi all’immagine di suo figlio (Ro 8:29). Abbiamo rivestito “l’uomo nuovo che è creato a immagine di Dio nella giustizia e nella santità che procedono dalla verità” (Ef 4:24).

 

Se dobbiamo assomigliare sempre più al Figlio, siamo interessati a sapere come egli ha vissuto. La vita di Gesù sulla terra è stata caratterizzata dall’imitazione perfetta del Padre:

 

“Gesù quindi rispose e disse loro: «In verità, in verità vi dico che il Figlio non può da sé stesso far cosa alcuna, se non la vede fare dal Padre; perché le cose che il Padre fa, anche il Figlio le fa ugualmente»” (Gv 5:19).

 

L’identità tra Gesù e il Padre era talmente perfetta che Gesù poteva dire:

“Chi ha visto me ha visto il padre” (Gv 14:9) e:

“Io e il padre siamo uno” (Gv 10:30).

 

Gesù non ha solo vissuto nell’imitazione perfetta del Padre, ma ha invitato i suoi discepoli a seguire le sue orme. L’imitazione del Maestro è fondamentale per il vero discepolo.

 

Le orme che Gesù ha lasciato ai suoi discepoli non sono solo parole.

Egli non si è limitato a parlare di amore, ma ha amato; non si è limitato a parlare di servizio, ma ha servito.

Poco tempo prima di essere arrestato e andare sulla croce, egli ha lavato i piedi ai discepoli e poi li ha invitati a fare lo stesso gli uni verso gli altri:

 

“Infatti vi ho dato un esempio, affinché anche voi facciate come vi ho fatto io (Gv 13:15).

 

Pur essendo il Maestro, ha preso la posizione del servo per lasciare loro un esempio. E poco prima di andare sulla croce, Gesù lasciò ai suoi discepoli il comandamento fondamentale per camminare sulle sue orme:

“Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri, come io ho amato voi. Nessuno ha amore più grande di quello di dar la sua vita per i suoi amici” (Gv 15:12-13).

 

“Ama il prossimo tuo come te stesso” era un comandamento che qualunque buon Israelita conosceva, ma Gesù stava alzando l’asticella ad un livello più elevato invitando i discepoli ad amarsi come lui li aveva amati: egli avrebbe dato la sua vita per loro.

 

Sarebbero stati capaci di fare altrettanto gli uni per gli altri?

O si sarebbero accontentati di parlare d’amore senza essere in grado di amare davvero?

 

 

L’ESEMPIO DEGLI APOSTOLI

 

Cristo ha imitato il Padre e ha lasciato ai suoi discepoli delle orme da seguire. Dagli scritti del Nuovo Testamento apprendiamo come gli apostoli hanno effettivamente seguito le orme del loro Signore.

 

 

Giovanni: “Camminate come Gesù”

 

Giovanni, nelle sue epistole, dimostra di non aver dubbi sul modo letterale in cui andavano prese le parole di Gesù:

 

“Da questo conosciamo che siamo in lui: chi dice di rimanere in lui, deve camminare com’egli camminò” (1Gv 1:5-6).

 

Da questo abbiamo conosciuto l’amore: egli ha dato la sua vita per noi; anche noi dobbiamo dare la nostra vita per i fratelli. Ma se qualcuno possiede dei beni di questo mondo e vede suo fratello nel bisogno e non ha pietà di lui, come potrebbe l’amore di Dio essere in lui? (1Gv 3:16-17).

 

Per Giovanni conoscere Dio e professare di essere suoi figli si manifesta in maniera naturale in un carattere trasformato a immagine di Dio, che si manifesta appunto manifestando nel proprio comportamento (cammino) il carattere del Figlio. Quando nel carattere di un figlio di Dio non si manifestano le caratteristiche dell’amore di Dio, Giovanni si domanda se è possibile pensare che quella persona abbia davvero conosciuto l’amore di Dio.

 

Il cristiano si riconosce perché manifesta la vita di Dio in sé, non semplicemente in base a ciò che lui pensa di Dio e dell’opera di Gesù.

Chi non ha sperimentato la nuova nascita non può manifestare la vita di Dio e rimane piuttosto indifferente di fronte a ciò che Dio vuole fare nella sua vita.

Ma l’uomo rigenerato da Dio, quando legge queste parole rimane senza fiato perché si rende conto di quanto alta sia l’aspettativa di Dio nei sui confronti.

Tuttavia egli non si scoraggia di fronte a tale aspettativa ma ringrazia piuttosto il Signore per il suo piano meraviglioso!

Egli sa che Dio opera in lui affinché la vita di Cristo possa manifestarsi nella sua e, invece di rassegnarsi, risponde con timore e tremore alla chiamata di Dio, adoperandosi affinché Dio possa operare in lui (Fl 2:12-13).

 

 

Pietro: “Cristo ci ha lasciato un esempio”

 

Pietro aveva già un’età piuttosto avanzata quando scrisse le sue epistole. Dal loro contenuto ci rendiamo conto che Pietro era diventato un uomo molto diverso dal giovane irruento di cui leggiamo nei vangeli!

 

In passato aveva sgridato Gesù perché non poteva accettare che il Cristo dovesse soffrire e morire (Mt 16:22), ma nella sua epistola scrive:

 

“Infatti a questo siete stati chiamati, poiché anche Cristo ha sofferto per voi, lasciandovi un esempio, perché seguiate le sue orme” (1P 2:21).

Pietro aveva fatto un percorso di imitazione del suo Maestro. Aveva imparato a servire il Signore anche se ciò poteva comportare sofferenza. Gesù aveva lasciato un esempio e occorreva seguire le sue orme.

Più avanti nell’epistola esortò gli anziani ad essere esempi del gregge (1P 5:3).

Pietro non vedeva altro modo di trasmettere la fede agli altri se non attraverso l’esempio e l’imitazione di Cristo.

 

 

Giacomo: “La fede senza opere è morta”

 

Giacomo, nell’epistola che porta il suo nome, dimostra un attaccamento particolare al concetto di fede che trova espressione negli atti e non solo nei pensieri.

 

“Ma mettete in pratica la parola e non ascoltatela soltanto, illudendo voi stessi” (Gm 1:22).

 

Per Giacomo l’ascolto della parola è efficace solo nella misura in cui modifica il nostro comportamento.

Egli considera l’ascolto, non accompagnato dall’applicazione, nient’altro che mera illusione. Più avanti egli definisce così una fede non accompagnata da azioni coerenti:

 

“Così è della fede; se non ha opere, è per sé stessa morta” (Gm 2:17).

 

Cosa penserebbe Giacomo di un cristianesimo che si accontenta di pensieri pii non accompagnati da atti concreti?

 

 

Paolo: “Siate miei imitatori”

 

L’apostolo Paolo aveva capito che non si trattava solo di trasmettere agli altri un insieme di dottrine, ma occorreva lasciare un esempio affinché gli altri lo seguissero.

Questo emerge nelle sue epistole.

 

Per questo Paolo dedicò la vita ad imitare Cristo in modo che gli altri vedessero in lui la vita di Cristo e a loro volta potessero manifestarla:

 

“Siate miei imitatori, come anch’io lo sono di Cristo” (1Co 11:1).

 

“Siate miei imitatori, fratelli, e guardate quelli che camminano secondo l’esempio che avete in noi” (Fl 3:17).

 

Paolo era un presuntuoso?

No! Egli era un cristiano maturo che aveva imparato a vivere ciò che predicava e sapeva come trasmetterlo.

Paolo non avrebbe potuto scrivere ai Tessalonicesi esortandoli ad ammonire coloro che si comportavano disordinatamente se non avesse avuto l’autorità per dire:

 

“Infatti voi stessi sapete come ci dovete imitare: perché non ci siamo comportati disordinatamente tra di voi; …abbiamo voluto darvi noi stessi come esempio, perché ci imitaste” (2Te 3:7, 9).

 

“infatti sapete come ci siamo comportati fra voi, per il vostro bene. Voi siete divenuti imitatori nostri e del Signore…” (1Te 1:5-6).

 

L’apostolo Paolo poteva rispondere con franchezza anche ai suoi oppositori perché era sicuro di non aver dato nessun motivo di scandalo a Corinto:

 

“Noi non diamo nessun motivo di scandalo affinché il nostro servizio non sia biasimato; ma in ogni cosa raccomandiamo noi stessi come servitori di Dio, con grande costanza nelle afflizioni, nelle necessità, nelle angustie” (2Co 6:3-4).

 

Paolo non lasciò solo parole ai suoi più stretti collaboratori, ma lasciò un esempio di vita:

 

“Tu invece hai seguito da vicino il mio insegnamento, la mia condotta, i miei propositi, la mia fede, la mia pazienza, il mio amore, la mia costanza, le mie persecuzioni, le mie sofferenze…” (2Ti 3:10-11).

 

“Prendi come modello le sane parole che hai udite da me con la fede e l’amore che si hanno in Cristo Gesù” (2Ti 1:13).

 

Timoteo non aveva solo ascoltato l’insegna-
mento di Paolo ma aveva anche visto la sua condotta, la sua fede, il suo amore.

Paolo non era stato solo un buon insegnante ma un modello di vita. Le sue parole e la sua condotta, anche nelle sofferenze e nelle persecuzioni, sarebbero state per Timoteo un esempio indelebile che lo avrebbe accompagnato nel suo ministero per tutto il resto della propria vita.

 

 

Generazioni di esempi

 

Gesù agiva in imitazione del Padre.

Gli apostoli hanno seguito le orme di Gesù e sono stati esempi per coloro che li hanno seguiti.

Ma l’esempio non si è fermato agli apostoli. Da allora in poi il Vangelo è stato trasmesso attraverso la testimonianza di uomini fedeli che seguivano l’esempio di Cristo, generazione dopo generazione.

 

Paolo esortò i suoi collaboratori ad essere, a loro volta, esempi:

 

“Nessuno disprezzi la tua giovane età; ma sii di esempio ai credenti, nel parlare, nel comportamento, nell’amore, nella fede, nella purezza” (1Ti 4:12).

 

Timoteo seguì infatti le orme di Paolo al punto che Paolo non aveva timore di citarlo come esempio nelle sue lettere:

 

“Infatti non ho nessuno di animo pari al suo che abbia sinceramente a cuore quel che vi concerne…Voi sapete che egli ha dato buona prova di sé, perché ha servito con me la causa del vangelo, come un figlio con il proprio padre” (Fl 2:20-22).

 

“Egli ha dato buona prova di sé”.

Non sono queste le parole con cui ognuno di noi vorrebbe essere ricordato?

 

Anche i Tessalonicesi erano diventati imitatori di Paolo e del Signore, diventando un esempio per tutti i credenti della Macedonia e dell’Acaia (1Te 1:6-7).

 

Tutti i credenti sono chiamati in qualche modo essere esempi verso le nuove generazioni di credenti, non solo i conduttori.

Quando Paolo esortò Tito a “presentare sé stesso in ogni cosa come esempio di opere buone” (Tt 2:7), lo scopo era proprio quello di stimolare anche gli altri a fare altrettanto. Ad esempio, il comportamento delle donne più anziane sarebbe stato la chiave per insegnare alle donne più giovani ad onorare il Signore nella loro vita famigliare:

 

“Anche le donne anziane abbiano un comportamento conforme a santità…siano maestre nel bene, per incoraggiare le giovani ad amare i mariti, ad amare i figli…” (Tt 2:3-4).

 

Ognuno è chiamato a tramandare la fede anche attraverso il proprio esempio. I fatti parleranno più forte delle parole.

 

 

Voglio essere un esempio

 

“Siate invece benevoli e misericordiosi gli uni verso gli altri, perdonandovi a vicenda come anche Dio vi ha perdonati in Cristo. Siate dunque imitatori di Dio, perché siete figli da lui amati; e camminate nell’amore come anche Cristo vi ha amati e ha dato sé stesso per noi in offerta e sacrificio a Dio quale profumo di odore soave”(Ef 4:32-5:2).

 

Dio ci ha perdonati in Cristo. Cristo ci ha amati dando sé stesso per noi.

 

È così strano che come amati figli di Dio siamo chiamati ad imitare il nostro Padre celeste e seguire le orme del nostro Salvatore?

Tutti gli esempi che troviamo nella Scrittura sono da considerarsi ideali irraggiungibili?

Il Signore che ha operato in Paolo e Timoteo non è lo stesso che opera in noi?

Abbiamo forse ricevuto uno spirito diverso?

O Dio non è più abbastanza potente da trasformare le nostre vite?

 

Se il nostro cuore rimane insensibile di fronte alle numerose esortazioni del Nuovo Testamento che ci indicano come dobbiamo camminare sulle orme di Cristo, probabilmente ciò che chiamiamo fede è solo una religione come tutte le altre.

 

“Non sapete che coloro i quali corrono nello stadio, corrono tutti, ma uno solo ottiene il premio? Correte in modo da riportarlo…tratto duramente il mio corpo e lo riduco in schiavitù, perché non avvenga che, dopo aver predicato agli altri, io stesso sia squalificato” (1Co 9:24-27).

 

Paolo viveva la sua vita come una corsa in cui l’importante non era partecipare, ma ottenere il premio. Era disposto al sacrificio pur di riuscirci. Egli non voleva assolutamente correre il rischio di aver predicato ad altri ed essere trovato lui stesso mancante.

 

Sono sicuro che molti cristiani non si sentono a loro agio leggendo espressioni come “trattare duramente” e“ridurre in schiavitù” il proprio corpo. Infatti molti preferiscono credere che la vita cristiana non costi nulla e che, grazie all’opera dello Spirito in noi, tutto accada in maniera automatica.

Ma, se fosse così, perché nel Nuovo Testamento ci sono numerose esortazioni a resistere al diavolo, a vegliare, a ricordarci che abbiamo una battaglia spirituale da combattere?

Lo Spirito Santo non è una specie di pilota automatico per la nostra vita di santificazione.

 

Egli ci guida, ci consola, ci esorta, ci insegna ma non ci costringe. Ecco perché siamo esortati anche a non rattristarlo (Ef 4:30).

 

Fai quel che dico, ma non quel che faccio. Vogliamo continuare a vivere così?

Oppure vogliamo essere degli esempi e lasciare, con timore e tremore, che Dio compia la sua opera in noi e attraverso di noi, affinché le orme di Cristo siano visibili nel nostro cammino?

 

Cosa c’è di più bello di poter trasmettere la fede ad altri potendo dire, senza vergogna: “Fai come me”?