Tempo di lettura: 12 minuti

 L’ubbidienza ai datori di lavoro

 

Ogni ambiente sociale è positivamente condizionato dall’eventuale esistenza di uno spirito di ubbidienza e di sottomissione. Anche in ambito lavorativo, sottolinea la Parola di Dio, questo tipo di atteggiamento, da parte dei lavoratori subordinati, aiuta senz’altro a rasserenare ed a migliorare il clima dell’ambiente lavorativo.

Anche in questo caso, ovviamente, i dettami biblici confliggono con la realtà individuale e sociale in cui viviamo oggi, dove prevalgono l’egoismo e l’interesse personale, oltre alla cultura dominante della nostra società occidentale, in cui sono ben conosciuti i diritti di ogni categoria di lavoratori ma spesso se ne dimenticano i corrispettivi doveri.

Per questo motivo, i comandamenti scritturali esistenti in materia sono rivolti in primo luogo ai lavoratori c#332971;entiche abbiano qualche autorità superiore cui dar conto, perché è quasi certo che le persone non dominate dallo Spirito Santo – quindi anche gli stessi c#332971;enti, se vivono lontani da Dio -non hanno alcuna possibilità di mettere in pratica i comandamenti del Signore in materia.

Bisogna anche considerare che, dal primo secolo d. C. ai nostri giorni, molto è cambiato e che, per esempio, noi oggi ci troviamo ad applicare versetti biblici rivolti agli schiavi ed ai servi di duemila anni fa. Se, da un lato, è ovvio che la situazione sociale che vedeva contrapposti uno schiavo e un padrone del primo secolo d. C. non è senz’altro paragonabile a quella di un odierno metalmeccanico e del suo dirigente aziendale, dall’altro lato è anche vero che i principi scritturali contenuti nei versetti biblici sono validi anche oggi ed il loro messaggio spirituale trascende il tempo e lo spazio.

A questo punto, possiamo procedere nell’analisi dei passi scritturali in tema di ubbidienza ai datori di lavoro, e lo faremo ponendoci cinque domande, cui risponderemo proprio con i dati che emergono dalla Parola di Dio. Innanzitutto ci chiediamo:

 

 

“A quali datori di lavoro bisogna ubbidire?”

 

La Scrittura, in merito, è lapidaria: dobbiamo obbedire a tutti i datori di lavoro. In 1Pietro 2:18, infatti, troviamo scritto:

 

“Domestici, siate con ogni timore sottomessi ai vostri padroni, non solo ai buoni e ai ragionevoli, ma anche a quelli che sono difficili”

 

I servi, anzi gli schiavi dei tempi apostolici, se erano diventati dei figli di Dio, venivano esortati ad essere sinceramente sottomessi ed a manifestare concreta ubbidienza ai loro padroni, qualunque fosse il trattamento che questi ultimi riservavano loro. Anche con i padroni più duri e spietati, ingiusti ed irragionevoli, gli schiavi cristiani erano chiamati ad imitare Cristo (cfr v. 21-23) ed a sopportare pazientemente ogni angheria ed ingiustizia.

Su questo tema il brano di 1Timoteo 6:1-2 aggiunge, poi, che i servi cristiani dovevano reputare i loro padroni “degni di ogni onore”. Lo stesso comandamento valeva anche se i loro padroni erano c#332971;enti, anzi in questo caso gli schiavi “…non li disprezzino perché sono fratelli, ma li servano con maggiore impegno”.

In altre parole, la sottomissione e l’ubbidienza non dovevano diminuire se il padrone fosse stato un fratello in Cristo: la situazione sociale non cambiava e neppure la necessaria testimonianza della potenza del Dio vivente doveva essere modificata. Anzi, la presenza di un padrone c#332971;ente imponeva al servo di usare maggiore rispetto verso l’autorità, anche per dimostrare ai pagani che la fonte di quell’autorità era Dio stesso e non l’uomo, per cui a tale, più alta autorità bisognava comunque sottomettersi.

In secondo luogo ci chiediamo:

 

 

“In che cosa bisogna ubbidire ai propri datori di lavoro?”

 

Anche in questo caso la risposta biblica è chiara e univoca.Scrive infatti l’apostolo Paolo:

 

“Servi, ubbidite in ogni cosa ai vostri padroni…” (Cl 3:22).

 

È un po’ lo stesso tenore del comandamento, onnicomprensivo e totalizzante, che abbiamo già visto, nell’articolo precedente, destinato ai figli per i loro comportamenti verso i genitori (vd. Cl 3:20): Dio non conosce mezze misure e chiede ai servi di essere ubbidienti non solo quando gli ordini sono facili o sembrano giusti da essere eseguiti, ma piuttosto in ogni cosa, lasciando che sia lui a giudicare sull’eventuale ingiustizia dell’ordine impartito, perché solo così il c#332971;ente potrà ricevere, in caso contrario, la giusta retribuzione da Dio stesso.

Se ci sottomettiamo al Signore, ci sottometteremo anche a tutte le autorità da lui costituite e saremo protetti dalla giustizia di Dio. Se non vivremo la sottomissione all’autorità significherà, piuttosto, che non siamo sottomessi neppure a Dio e che ci siamo svincolati dalla sua cura e dalla sua protezione, cercando di risolvere i problemi con le nostre presunte capacità. Con tutte le conseguenze del caso, immaginabili e non.

La terza domanda è:

 

 

“Quando dobbiamo ubbidire ai nostri datori di lavoro?”

 

Il brano di Colossesi 3:22, nella sua seconda parte, fornisce un’esauriente risposta ed una convincente motivazione, allorché lo Spirito Santo afferma:

 

“…non servendoli soltanto quando vi vedono, come per piacere agli uomini, ma con semplicità di cuore, temendo il Signore”.

 

“Sempre”, ecco la risposta di Dio. Sempre dobbiamo ubbidire ed essere sottomessi ai nostri datori di lavoro. Sempre, se davvero temiamo il Signore e vogliamo ubbidire innanzitutto ai suoi comandamenti. Come figli di Dio, siamo chiamati a ubbidire sempre ai nostri datori di lavoro perché preferiamo ubbidire a Dio anziché piacere agli uomini. Per questo motivo, saremo sottomessi anche ai nostri datori di lavoro in ogni momento, sia che ci vedano e ci controllino, sia che ci lascino liberi di fare ciò che ci pare: anche in questi momenti, infatti, il Signore ci guarda e ci scruta, e non possiamo certamente allontanarci dal suo sguardo (cfr Sl 139:7-12).

In quarto luogo ci chiediamo:

 

 

“Come dobbiamo ubbidire ai nostri datori di lavoro?”

 

In altre parole: “Quale dev’essere il nostro atteggiamento di fondo ed il relativo comportamento esteriore?”.

Abbiamo già accennato a quest’aspetto in rapporto alla distinzione ed alla complementarietà fra sottomissione e ubbidienza; qui aggiungeremo solo tre versetti che chiariscono ulteriormente i contenuti di tale distinzione.

In Colossesi 3:22, nella sua seconda parte, abbiamo già visto che il servizio da rendere ai datori di lavoro dev’essere fatto “…con semplicità di cuore…”.

Non vi devono essere, cioè, secondi fini o interessi personali che motivino l’ubbidienza del lavoratore cristiano; egli, piuttosto, se ha un cuore semplice e interamente dedicato al suo Signore, saprà anche sottomettersi ai suoi datori di lavoro.

Un secondo passo biblico in materia può essere quello di Efesini 6:5-7, dove troviamo scritto che ai servitori dei tempi apostolici veniva comandato anche:

 

“Ubbidite… ai vostri padroni… come a Cristo…come servi di Cristo… di buon animo…con benevolenza, come se serviste il Signore e non gli uomini”.

 

Lo schiavo c#332971;ente, come abbiamo già visto, doveva ubbidire al padrone a prescindere dal controllo che quest’ultimo operava sul suo lavoro. Qui si aggiunge la motivazione spirituale più profonda per quest’atteggiamento: anche oggi siamo chiamati ad essere sottomessi ai nostri datori di lavoro come faremmo con Cristo.

In altre parole, riconoscere in Dio la fonte dell’autorità esercitata dal padrone significa mostrare verso di lui lo stesso rispetto che avremmo per Gesù! E questo implica, come dice il brano appena citato, anche un’ubbidienza fatta volentieri e con benevolenza, ovvero con uno spirito positivo e ottimista, oltre che pieno di benignità verso il padrone.

Il terzo atteggiamento di fondo è riportato in diversi passi biblici già menzionati in questo studio (Ef 6:5, Cl 3:22 e 1P 2:18):

• “…con timore e tremore…”

• “…temendo il Signore…”

• “…con ogni timore…”

È il timore del Signore quella marcia in più, quella molla speciale che conduce lo schiavo di ieri e il lavoratore di oggi a comportarsi con i propri superiori in modo completamente diverso da quello usuale. Egli ha un profondo rispetto, una speciale riverenza nei confronti del suo Dio e ciò lo conduce ad ubbidire ai suoi comandamenti e, quindi, anche a sottomettersi alle autorità costituite, comprese quelle esistenti in campo lavorativo.

La quinta e ultima domanda è la seguente:

 

 

“Perché dobbiamo mettere in pratica tutti questi comandamenti?”

 

Vi sono almeno due principali ragioni per far questo, che troviamo rispettivamente nei brani di 1Timoteo 6:1 e di Efesini 6:8, già parzialmente esaminati in precedenza:

 

“…affinché il nome di Dio e la dottrina non vengano bestemmiati…”

“…sapendo che ognuno…ne riceverà la ricompensa dal Signore…”

 

Da un lato, dunque, la spinta per ubbidire ai nostri padroni deve venire proprio dalla considerazione che, altrimenti, i nostri colleghi possano prendersela con Dio e con la sana dottrina, magari anche bestemmiando il suo santo nome.

Dall’altro lato, poi, non dobbiamo neanche dimenticare le promesse del Signore in merito alle ricompense che egli ha in serbo per chi ubbidisce alla sua santa Parola, e delle quali parleremo più diffusamente nel prosieguo di questo studio.

 

 

L’ubbidienza alle autorità costituite

 

Un quarto campo d’azione del generale dovere di sottomissione e di ubbidienza che troviamo nelle Sacre Scritture, è quello concernente le autorità costituite. Si tratta di un campo d’azione piuttosto generale, nel quale possiamo ricomprendere tutte le autorità esistenti nella società, oltre quelle finora menzionate nel presente lavoro.

L’ubbidienza alle autorità costituite, senza dubbio, è un tema scottante per il quale i comandamenti contenuti nella Bibbia, a molti, sembreranno antiquati se non superati. Ciò potrà accadere, però, soltanto a menti non sottomesse allo Spirito Santo, menti che non conoscono la sapienza e la potenza di Dio. Devo ammettere, senza falsi pudori, che quest’argomento è stato anche per me un duro banco di prova nei primi tempi dopo la mia conversione: se prima di aver conosciuto Cristo avrei senz’altro strappato capitoli della Bibbia come Romani 13, da c#332971;ente in Cristo ho potuto sottomettermi ai dettami del mio Signore in questa materia solo dopo aver deciso fermamente e concretamente di diventare suo servo.

Con riferimento alle autorità in generale, qualcuno ha detto, con tono provocatorio e polemico: “L’ubbidienza non è (più)una virtù”1.

Ma che cosa ne dice la Parola di Dio?

 

 

Un obbligo

 

Innanzitutto, le Scritture ispirate dall’Eterno pongono un obbligo generale in questa materia, quando affermano a chiare lettere:

 

“Ogni persona sia sottomessa alle autorità superiori…” (Ro 13:1).

Questo comandamento, come può vedersi, non è diretto solo ai figli di Dio. “Ogni” persona sulla faccia della terra è chiamata da Dio a essere sottomessa alle autorità superiori. Non ci sono eccezioni o sconti comitiva: in qualunque nazione, in qualunque tempo, in qualunque situazione vale quest’ordine divino, diretto a tutti gli uomini e a tutte le donne da lui creati.

 

 

Quali autorità?

 

In secondo luogo, possiamo chiederci chi sono queste autorità superiori nel pensiero di Dio e come egli le consideri. Tanto per cominciare, la seconda parte del testo sopra citato afferma che:

 

“…non vi è autorità se non da Dio…” (Ro 13:1).

 

Questo significa, per quanto difficile sia da digerire, che proprio tutte le autorità sono degne di essere ubbidite perché sono volute da Dio. Pensiamo ad un Capo di Stato o di Governo oppure alle leggi del Parlamento, ma pensiamo anche al professore di matematica, al vigile urbano o alla stessa segnaletica stradale. Tutte le autorità superiori vengono da Dio e sono da lui stabilite per il bene della società, per cui noi tutti siamo chiamati a sottometterci a ciascuna di esse indistintamente.

Collegato a quest’aspetto c’è quello citato ancora da Romani 13:1 e poi in 1Pietro 2:14, secondo cui le autorità superiori sono:

 

•“…stabilite da Dio…”

• “…come mandate da Lui…”.

 

Anche se sono materialmente elette dagli uomini, le autorità superiori sono in realtà stabilite e ordinate da Dio stesso, che le manda nel mondo per lo specifico compito di assicurare la giustizia terrena e di fare la sua volontà. Le autorità, pertanto, hannoun grandissimo compito ed un’enorme responsabilità: ubbidire a Dio per essere suoi rappresentanti sulla terra! D’altronde allo stesso Pilato fu detto da Gesù (Gv 19:11):

 

“Tu non avresti alcuna autorità su di Me se non ti fosse data dall’Alto…” (Gv 19:11).

Per quanto ciò possa sembrare strano e forse anche incomprensibile, sussiste un diretto collegamento fra Dio e le autorità umane da Lui costituite. Il testo di Proverbi 8:15-16 afferma con chiarezza, a tale proposito:

 

“Per mio mezzo regnano i re e i principi decretano ciò che è giusto. Per mio mezzo governano i capi, i nobili e tutti i giudici della terra”

 

Proprio per questo noi tutti siamo chiamati a sottometterci a tutte le autorità esistenti: ciascuna di esse, infatti, è uno strumento che Dio usa per affermare la sua giustizia sulla terra, a prescindere dal fatto che noi ce ne rendiamo conto oppure no.

 

 

Perché sottomettersi?

 

I motivi sono esplicitati nei vv. 4 e 6 di Romani 13:

 

• “…perché il magistrato è un ministro di Dio per il tuo bene…”

• “perché essi… sono ministri di Dio”.

 

Ecco come il Signore considera tutte le persone che sono in autorità: avendo posto il principio dell’autorità come fondamento sociale imprescindibile, l’Eterno usa delle persone per realizzarlo e le pone a capo della società o di singoli settori di essa. Anche in quest’ambito, come in quello familiare, sussiste una situazione speculare: le autorità hanno il compito di governare (bene!) il settore ad esse affidato ed i loro sottoposti hanno il compito di ubbidire alle loro prescrizioni.

 

E se la giustizia tarda ad affermarsi? È forse colpa di Dio? Assolutamente no, perché ciò significa soltanto che le persone delegate di autorità hanno agito ingiustamente dinanzi agli uomini ma soprattutto dinanzi a quel Dio, perfettamente giusto, che ha delegato loro la sua autorità.

Ma c’è di più: se ciò dovesse accadere, le autorità stesse ne pagheranno il conto nell’ultimo giorno, quello del giudizio di Dio, però non dobbiamo certamente noi metterci al posto di Dio nel giudicarle né metterci contro di esse, perché questo significherebbe metterci anche contro colui che le ha poste in autorità.

D’altra parte, questo “conto” può essere pagato – e spesso ciò avviene – anche prima o molto prima del giudizio finale. Sia nell’Antico che nel Nuovo Testamento vi sono passi biblici che attestano questa realtà, in termini sia di promesse sia di episodi storici realmente accaduti. Le principali promesse di questo genere sono contenute in Daniele 2:21 e in Luca 1:52, dove sta scritto:

• “Dio depone i re e li innalza…”

• “…egli ha detronizzato i potenti”.

Nella stessa misura in cui il Signore stabilisce le persone che sono in autorità, egli è potente da farli scendere dal tronodove li aveva costituiti. C’è un solo Re dei re, e nulla è troppo difficile per lui!

Nella storia dell’umanità, è possibile scorgere numerosi esempi in cui le promesse appena citate si sono realmente verificate. Limitandoci ad alcuni dei casi riportati nella Scrittura2, come non ricordare l’improvvisa morte del re Baldassar, con relativa fine del potentissimo impero babilonese (Da 5:30-31) oppure la tragica fine di re Erode Agrippa, che si faceva adorare come un dio (At 12:21-23)?

 

 

Una vera necessità

 

L’ubbidienza alle autorità costituite, sotto altro profilo, è una vera e propria necessità agli occhi di Dio. In Romani 13:5, infatti, sta scritto:

 

“È necessario stare sottomessi, non soltanto per paura della punizione, ma anche per motivo di coscienza”.

 

In altre parole, non si tratta di una mera facoltà per la quale i cristiani possono liberamente decidere se aderire o meno al suggerimento divino… No!

Siamo di fronte a un vero e proprio comandamento e, come tale, ad esso dobbiamo ubbidire, senza “se” e senza “ma”. Infatti, sta scritto sempre in Romani 13 ma al versetto 2:

 

“…chi resiste all’autorità si oppone all’ordine di Dio…”.

 

Se facciamo un passo avanti nella Scrittura, scopriamo che il Signore penetra ancora più profondamente nei meandri del nostro essere, fino alla divisione dello spirito dall’anima (cfr Eb 4:12). In particolare, nella sua Parola l’Eterno ci rivela anche quale dev’essere la motivazione di fondo perché ciascun c#332971;ente ubbidisca alle autorità costituite (1P 2:13):

 

“…siate sottomessi, per amore del Signore…”.

 

Se non è l’amore che nutriamo per Gesù a spingerci all’ubbidienza, la nostra motivazione sarà fragile e scomparirà alle prime prove, come neve al sole.

Viceversa, se avremo amore sincero per il nostro grande Dio e #332971;entore, non sarà difficile mostrare una reale e profonda sottomissione, forte e stabile, per cui riusciremo senz’altro a mettere in pratica anche il passo di Ecclesiasta 10:20 dove sta scritto:

 

“Non maledire il re, neppure con il pensiero…”.

Chi potrebbe leggere il nostro pensiero se non Dio stesso? Coltivare pensieri negativi, lo sappiamo bene, porta prima o poi ad azioni altrettanto negative e, quelle sì, visibili a chi ci sta intorno. Così, ancora una volta, sono le motivazioni di fondo quelle che fanno la differenza e rendono palesemente diverso dagli altri ogni uomo timorato di Dio e ubbidiente a lui!

 

 

Un esempio pratico

 

Facciamo ora un esempio pratico, citato espressamente nella Bibbia, di ubbidienza alle autorità costituite da Dio: parliamo del pagamento dei tributi.

Nota dolente. A chi di voi piace pagare le tasse? Chi di voi si reca volentieri all’ufficio postale per pagare l’ICI oppure versa, col sorriso sulla bocca e la gioia nel cuore, il secondo conguaglio IRPEF? Eppure, nella Parola di Dio troviamo dei chiari ed univoci comandamenti, secondo cui il c#332971;ente è chiamato da Dio a pagare interamente tutte le tasse e, di conseguenza, dovrebbe fare questo con gioia, nella consapevolezza di ubbidire al suo Signore.

Un giorno Gesù ordinò perentoriamente:

 

“Rendete a Cesare quello che è di Cesare!” (Mt 22:21).

 

Il Messia d’Israele stava rispondendo ad una maliziosa domanda dei Farisei e degli Erodiani, che cercavano di coglierlo in fallo chiedendogli se fosse o meno lecito pagare i tributi a Cesare (vv. 15, 17). Conoscendo i loro cuori ipocriti, il Signore si fece mostrare una moneta e chiese di chi fosse l’effigie e l’iscrizione poste su di essa (vv. 18-20). Alla – ovvia! – risposta che si trattava dell’imperatore Cesare, Gesù rispose con le parole che abbiamo menzionato poc’anzi le quali, nella loro disarmante semplicità, mostrano l’obbligo per tutti gli uomini di riconoscere le autorità costituite e di restituire loro ciò che ad esse spetta di diritto. Cesare aveva coniato quella moneta e all’imperatore essa doveva essere restituita a titolo di pagamento dei tributi.

Di conseguenza, allora, le parole di Gesù potrebbero sottintendere anche la necessità di ringraziare Dio per l’ordine sociale esistente e per la possibilità di non ridare allo Stato tutto ciò che guadagniamo, ma solo quella parte che ci viene richiesta come pagamento delle varie tasse.

In quest’ottica, non paiono strane o fuori dal tempo le parole dell’apostolo Paolo, ispirate dallo Spirito di Dio, quand’egli ordinò (Ro 13:7)…

 

“Rendete a ciascuno quel che gli è dovuto: l’imposta a chi è dovuta l’imposta, la tassa a chi la tassa…” (Ro 13:7).

 

In conclusione possiamo affermare che, nella mente di Dio, gli uomini (e specialmente i suoi figli!) devono restituire alle autorità da lui costituite quanto spetta loro di diritto: le leggi tributarie, sotto questo profilo, sono da intendersi nel senso di previsione di misure di restituzione di somme di denaro ai legittimi proprietari, prima ancora che di #332971;istribuzione delle ricchezze…

 

 

Esistono dei limiti?

 

Alla conclusione di questo capitolo vogliamo porci un’ultima domanda: ci sono, nella Scrittura, dei limiti previsti da Dio per l’esercizio dell’ubbidienza alle autorità costituite?

La risposta è , ma in realtà esiste un solo limite, ben preciso e circoscritto. In Atti 5:29, esso è chiaramente enunciato in questi termini lapidari:

“Bisogna ubbidire a Dio anziché agli uomini!”!

La fattispecie è nota: gli apostoli, ricevuto lo Spirito Santo, misero “a ferro e fuoco” tutta Gerusalemme con la p#332971;icazione del Vangelo, sino ad attirarsi le comprensibili ire dei capi religiosi di quel tempo. Diversi apostoli furono imprigionati e fu loro espressamente e ripetutamente vietato di annunciare la salvezza in Cristo, ma tale ordine, in palese e stridente contrasto con l’opposto ordine di Gesù in Marco 16:15, non fu eseguito dagli apostoli, che scelsero di ubbidire a Dio anziché agli uomini!

Ecco qual è il punto cruciale: noi cristiani non possiamo disubbidire alle autorità costituite, tranne i casi in cui esse ci ordinano di fare cose vietate da Dio oppure ci vietano di fare cose comandateci da Dio. In questi casi noi dobbiamo disubbidire alle autorità ed ubbidire alla Parola del nostro Signore.

Deve trattarsi, però, di espliciti ed univoci casi di contrasto fra la legge degli uomini e la legge di Dio, nei quali appareevidente che le autorità umane non hanno, esse stesse, ubbidito al Signore.

In tal senso abbiamo almeno un esempio biblico assai illuminante. Ci riferiamo all’episodio in cui le guardie di Saul rifiutarono di eseguire l’ordine del loro sovrano che le aveva obbligate ad uccidere ottantacinque sacerdoti del Signore, solo perché essi erano ritenuti complici del fuggiasco Davide (1Sa 22:17). Alla fine, purtroppo l’eccidio fu perpetrato ugualmente, per mano del perfido Doeg (v. 18) ma ciò non toglie nulla al comandamento dell’Eterno: “Non uccidere” (Es 20:13) e pertanto, in quel caso, le guardie avevano giustamente fatto obiezione di coscienza e ubbidito a Dio anziché al re d’Israele.

 

Cercando di tracciare note conclusive su quest’aspetto del tema al nostro esame, possiamo affermare senz’altro che nella Bibbia non sono consentiti spazi di interpretazione, variopinta e magari interessata, alle leggi degli uomini, allo scopo di decidere autonomamente se ubbidirvi o meno. Se il contrasto fra la legge di Dio e quella umana è evidente ed obiettivo, i cristiani sono chiamati a disubbidire – costi quel che costi! – alle autorità costituite dall’Eterno, mentre in tutti gli altri casi noi dobbiamo ubbidire. Senza “se” e senza “ma”.