La terza fase: l’impero macedone
Quello dei Persiani, dei Macedoni e dei Romani è il periodo che gli storici chiamano “Periodo del secondo Tempio” (ovviamente, il primo Tempio era quello costruito da Salomone, e che Nabucodonosor aveva distrutto). Questo periodo lo suddivido in cinque fasi. La prima è quella della conquista persiana, dell’Editto di Ciro, con il primo rimpatrio e la ricostruzione del Tempio; va dal 538 al 515 a.C. La seconda va dal 514 al 332 a.C. ed è segnata in particolare dalla rinascita della coscienza nazionale, con il “Risorgimento Giudaico”.
In quest’articolo ci occuperemo della terza, della quarta e della quinta fase.
La terza fase ha inizio nel 333 a.C, quando Alessandro Magno sconfìgge i Persiani. Comincia così il Perìodo Ellenistico, con le lotte tra i Tolomei e i Seleucidi seguite alla morte di Alessandro, fino ad arrivare all’episodio della profanazione del Tempio.
Ma andiamo per ordine. Era successo che, scampate al pericolo persiano, le città-Stato greche continuarono a dilaniarsi tra loro, finché, alla metà del IV sec. a.C. salì al potere in Macedonia un giovane capace ed energico, Filippo, che le ridusse tutte sotto il suo dominio. Ma quando, nel 336, si preparava a liberare anche le città della costa anatolica dal dominio persiano, venne assassinato, e gli succedette sul trono il figlio ventenne Alessandro. che passerà alia storia col nome di Alessandro Magno.
A questo punto vediamo quali sono le nostre fonti d’informazione.
Quelle dell’Antico Testamento cessano (ci sono i quattrocento anni di silenzio). L’ultimo libro canonico dell’Antico Testamento infatti è quello del profeta Malachia, circa del 400 a.C, che si conclude con la previsione del ritorno di Elia. (Ecco perché i Farisei, nel Vangelo di Giovanni, chiedono a Giovanni Battista se per caso era lui il profeta Elia tornato in terra).
Perciò, per questo periodo, le nostre fonti d’informazione sono i libri deuterocanonici e apocrifi dei Maccabei, le opere di Giuseppe Flavio e, ovviamente, le scoperte archeologiche.
Parliamo dunque di questo Alessandro: egli aveva ricevuto un’educazione di prim’ordine dal grande filosofo Aristotele, e riassumeva in sé coraggio, astuzia, diplomazia e saggezza. Ma soprattutto, affascinato dall’ignoto, e in preda al desiderio indomabile dell’avventura, nutriva l’ambizione di costruire un mondo nuovo.
In soli tredici anni di regno riuscì a conquistare tutto l’impero persiano e a riunire sotto di sé tutto il mondo conosciuto, escluso il bacino del Mediterraneo centro-occidentale. Ricordiamo le tappe della sua incredibile avventura:
• 333 a.C. – Nella battaglia di Isso (Siria del Nord) sconfigge Dario III che abbandona l’intera famiglia nelle mani dei Greci.
• 332 a.C. – Conquista Tiro costruendo un istmo. Incontra il Sommo Sacerdote di Gerusalemme, e rinuncia a distruggere la città.
• 331 a.C. – Conquista l’Egitto e fonda sul Delta del Nilo la città che porta il suo nome.
• 330 a.C. – Occupa la Persia, e in una notte di follia, in preda alla vendetta, dà alle fiamme lo splendido Palazzo di Persepoli.
• 327 a.C. – Si dirige verso l’India.
• 326 a.C. – Arriva alla foce dell’Indo.
• 324 a.C. – Dopo un lungo e tribolato viaggio, ritorna finalmente a Susa dove, per favorire la fusione tra vincitori e vinti, sposa la figlia di Dario III.
• 323 a.C. – Alessandro trasferisce la corte da Ecbàtana a Babilonia, dove viene colpito da un’infermità e in pochi giorni muore, a soli 32 anni e dopo quasi 13 anni di regno.
Alla sua morte l’enorme impero va in pezzi, spartito con la violenza fra i suoi generali, i Diadochi (= i successori). L’autore del 1° Libro dei Maccabei così riassume la vicenda: “Regnò dunque Alessandro dodici anni e morì. I suoi subalterni assunsero il potere, ognuno nella sua regione… e dopo di loro i loro figli, e per molti anni si moltiplicarono i mali sulla terra” (1Mac 1:1-9).
Come ci dice Giuseppe Flavio, al tempo di Alessandro la comunità di Gerusalemme era governata dal Sommo Sacerdote, la cui autorità era riconosciuta ufficialmente dal potere centrale dell’impero. Quanto ai Samaritani, durante la permanenza di Alessandro in Egitto avevano ucciso il governatore macedone, e Alessandro li punì severamente distruggendo la loro città. Allora i superstiti si rifugiarono a Sichem (= Sicar), ai piedi del Monte Garizim, dove forse già esisteva, se non fu costruito proprio allora, il tempio rivale rispetto a quello di Gerusalemme. (Da qui l’accenno che ne fa la Samaritana nel colloquio con Gesù, riferito in Gv 4:20). A partire da quell’episodio Samaria diventò una città ellenistica e pagana, com’è abbondantemente provato dagli scavi.
Sono ancora visibili oggi molti monumenti di quel periodo (monumenti ellenistici). Quella che a Gerusalemme viene indicata come la Tomba di Absalom nella Valle del Cedron, è proprio un cenotafìo ellenistico del II secolo a.C. Anche la Sala Massonica, situata all’esterno del muro erodiano della Spianata del Tempio e che si riteneva risalire all’epoca di Salomone, in realtà fu realizzata anch’essa nel tardo periodo ellenistico.
Tragiche conseguenze per gli Ebrei
dalla spartizione dell’impero macedone
La spartizione dell’immenso impero macedone comportò una serie di guerre tra i vari luogotenenti di Alessandro, ciascuno dei quali voleva assicurarsene le parti migliori. Nel periodo che ne seguì, chiamato dagli storici“Periodo Ellenistico”, i Diadochi obbligarono tutte le regioni da loro soggiogate a subire l’influenza della cultura ellenica (greca).
Le conseguenze per gli Ebrei furono pesantissime, in quanto si vennero a trovare nella zona di frizione tra il “Regno Tolemaico”, cioè quello dell’Egitto con capitale Alessandria, che era toccato al generale macedone Tolomeo, e il “Regno Seleucide”, fondato dal diadoco Seleuco, con capitale Antiochia di Siria.
Dal 323 al 301, Tolomeo invase per cinque volte la Palestina, deportandone in Egitto un gran numero di abitanti. E questi finirono per imparare la lingua greca e sentirono la necessità, dopo qualche generazione, di tradurre i loro sacri testi in quella lingua, in quanto le lingue ebraica ed aramaica (quella postesilica simile alla ebraica) non le parlavano e non le capivano più. Fu effettuata così la Versione dei Settanta, che è la traduzione in greco dell’Antico Testamento, fatta ad Alessandria d’Egitto nel III sec. a.C. ad opera di settanta sapienti ebrei. Se ne era persa ogni traccia, ma fu ritrovata con la scoperta dei Grandi Codici. Il più famoso dei Grandi Codici è il Codice Sinaitico, scoperto alla metà del 1800 da Tischendorf nel Monastero di Santa Caterina sul Sinai.
La Settanta era di uso corrente al tempo dì Gesù e degli Apostoli; quasi tutte le citazioni fatte dall’apostolo Paolo nelle sue lettere sono tratte da essa. La Settanta quindi fu usata ed adottata dalla chiesa cristiana primitiva come versione riconosciuta della Sacra Scrittura, e per tale motivo fu rigettata dai Giudei.
Sembra che la Giudea, con i successori di Tolomeo, abbia goduto di notevole prosperità, e gli Ebrei vi abbiano potuto mantenere l’orga-
nizzazione politica e religiosa sotto l’autorità dei Sommi Sacerdoti. Tuttavia l’influsso greco si fece sentire sempre di più. Sono stati scoperti molti vasi attici, e scritture e monete greche. E molte città ricevettero un nome nuovo: Acco diventò Tolemaide,e Rabat-Ammon prese il nome di Filadelfia.
Dopo decenni di lotte con i regni circostanti, nel 223 a.C. divenne re dell’enorme regno di Siria un uomo estremamente ambizioso, Antioco III, detto il Grande, il quale tentò subito di sottrarre all’Egitto la Palestina. Ma il re d’Egitto, che era Tolomeo IV, detto Filopatore, si riprese con la forza Gerusalemme e tentò di offrire un sacrificio pagano nel Tempio. Ma gli Ebrei indignati lo respinsero ed allora questo re, incollerito, scatenò una persecuzione feroce contro gli Ebrei di Alessandria, di cui è rimasta traccia nel Terzo Libro dei Maccabei (1:7).
Quando nel 203 a.C. venne a morte Tolomeo IV, Antioco III poté finalmente entrare in Palestina ed annetterla al regno seleucide. Ebbe così fine il dominio egiziano nella terra dei Giudei.
Ma intanto sorgeva all’orizzonte della storia una nuova potenza, quella dei Romani, che avendo sconfitto i Cartaginesi stavano per diventare i padroni del mondo. I Romani infatti nel 174 a.C. pongono sul trono di Siria come loro vassallo il figlio di Antioco III, cioè Antioco IV Epifane. Costui, volendo introdurre in Giudea la cultura greca, si scontra subito con gli Ebrei intransigenti. E allora decide di usare le maniere forti, e colloca nel Luogo Santissimo del Tempio una statua di Giove, forse foggiata a sua immagine. Per gii Ebrei è veramente troppo. Non ricordavano di aver subito affronti simili neanche al tempo degli Assiri e dei Babilonesi. Per un po’ rimangono completamente prostrati, ma poi nel giro di un anno riprendono coraggio e decidono di ribellarsi. Ed è così che ha inizio una delle insurrezioni più grandiose di tutta la storia ebraica: la Rivolta dei Maccabei.
La quarta fase: la rivolta dei Maccabei
Siamo così arrivati a parlare della quarta fase del periodo del secondo Tempio. È la fase dei Maccabei, che durerà poco meno di mezzo secolo.
In realtà i Maccabei si chiamavano Asmonei, perché “Maccabeo” era un soprannome, che significava “martello” (oggi diremmo “dal pugno di ferro”).
Parliamo di qualche personaggio di questa dinastia. Il primo fu Giuda Maccabeo (176-171 a.C.). Fu lui a togliere la statua di Giove dal Tempio e a ristabilire il culto ebraico. Questo evento viene ricordato ogni anno dagli Ebrei con la Festa della Dedicazione (la Hannukkà), citata anche nel Vangelo di Giovanni (10:22).
Si riaccendono le lotte con i Siriani, e così i Maccabei invocano l’aiuto dei Romani.
Un altro personaggio importante è Giònata, che fu ucciso a tradimento dai Siriani.
Ricordiamo poi ancora Simone, che ottiene l’indipendenza dai Siriani, e viene proclamato Sommo Sacerdote.
Con Giovanni Ircano (134-103 a.C.) riprende la lotta coi Siriani, ma poi viene riottenuta l’indipendenza e con lui incomincia la Monarchia Asmonea (dal 128 a.C.). In questo periodo i sovrani asmonei, volendo imporre con la forza le conversioni, diedero addirittura l’ordine agli uomini di circoncidersi, pena la morte.
Se sotto l’aspetto politico quello dei Maccabei-Asmonei fu un periodo importante, sotto l’aspetto etico fu tutt’altro che positivo.
Infatti, per esempio, Alessandro Janneo (103-76 a.C.) fu un sovrano crudelissimo e spietato. Una volta fece crocifiggere 800 Farisei che lo avevano contrastato, e ne fece massacrare mogli e figli mentre banchettava con le sue concubine.
E per ultimi ricordiamo Ircano Il e Arìstobulo (76-63 a.C.), due fratelli in lotta spietata per il potere, sostenuti rispettivamente dai Farisei e dai Sadducei.
I Farisei e i Sadducei erano seguaci di due partiti religiosi sorti proprio in questo periodo. Vediamo brevemente chi erano.
I Farisei, come fazione o setta religiosa, si erano manifestati fin dai tempi di Giovanni Ircano (134-103 a.C.).
“Farisei” deriva da una parola aramaica che significa “separati”. Vennero chiamati così perché si erano separati dal sacerdozio ufficiale e, particolarmente, dalle famiglie ricche ed aristocratiche. Essi insistevano sulla più stretta e puntigliosa osservanza della legge ebraica, e a tal fine elaborarono casistiche estremamente sofisticate.
Al principio essi godettero del favore di Ircano, ma la loro crescente influenza finì per scatenare la reazione dei Sadducei.
Gesù, da loro ripetutamente provocato, li aveva definiti “ipocriti” e “guide cieche” (Mt 23:13-16). E ancora oggi la parola fariseo è usata come sinonimo di ipocrita.
Vediamo ora chi erano i Sadducei. Essi facevano risalire la loro origine al Sommo Sacerdote Sadòk (cfr. Ez 44:15, 16). Al tempo della monarchia asmonea costituivano un gruppo aristocratico, staccato dal popolo. Quando riuscirono a convincere Giovanni Ircano ad appoggiarli, i Farisei caddero in disgrazia.
Contrariamente ai Farisei, i Sadducei negavano la risurrezione e la retribuzione nell’aldilà, dichiarando che l’anima muore insieme al corpo, e negavano anche l’esistenza degli angeli e dei demoni (Mt 22: 23-33; At 23:8).
Quando i Sadducei e i Farisei si avvicinarono a Giovanni Battista che battezzava nel Giordano tutti quelli che confessavano i loro peccati, il profeta li definì con veemenza “razza di vipere” (Mt 3: 7).
La quinta fase: dalla conquista romana
alla distruzione del tempio e della città
Siamo così arrivati alla quinta Fase (l’ultima) del periodo del Secondo Tempio, che comincia con la conquista romana della Palestina da parte di Pompeo nel 63 a.C, e termina con la distruzione del Tempio, nel 70 d.C.
Il generale romano Pompeo, nei 63 a.C., entra a Gerusalemme e profana il Tempio. È ricordato che si stupì di non avervi trovato statue, pronunciando la frase: “Ma qui non c’è nessun dio!”.
Inizia poi la guerra civile fra Pompeo e Cesare. Pompeo fugge in Egitto dove viene assassinato nel 48 a.C. E succede che quando Cesare, nella sua campagna in Egitto, si trova in difficoltà, viene soccorso dal furbo Antìpatro, padre di un certo Erode. Comincia così la parabola ascendente di quello che diventerà Erode il Grande, il quale all’epoca aveva solo 25 anni.
Ed infatti nel 47 a.C. Cesare nomina Erode “Tetrarca di Galilea”, per riconoscenza dell’aiuto che aveva ricevuto da suo padre Antìpatro. Poi nel 44 a.C. Cesare viene ucciso in Senato e il potere passa nelle mani di Antonio ed Ottaviano.
Nel 40 a.C. Erode si reca a Roma dove riceve il titolo di re di Giudea. E allora in segno di devozione verso i potenti di turno, tornato a Gerusalemme costruisce la Fortezza Antonia accanto al Tempio, che era ancora quello che aveva edificato Zorobabel cinque secoli prima al ritorno dall’esilio, e che con tutte le vicende legate alle lotte nel periodo dei Maccabei era ormai semidiroccato.
Erode fu un grande costruttore. Morto Antonio, e divenuto imperatore Ottaviano col nome di Augusto (= eccelso, sublime) nel 27 a.C., Erode restaura l’antica Samaria chiamandola Sebaste (= Città di Augusto), e poi costruisce sulla costa la città e il porto di Cesarea (= Città di Cesare Augusto). Nel 20 a.C. inizia poi il restauro o, meglio, il rifacimento del Tempio di Gerusalemme. Quella fu un’impresa colossale, che alla sua morte, nel 4 a.C. non era ancora completamente terminata.
Erode fu un personaggio ambiguo ed opportunista. Ancora oggi è visibile tra le rovine di Samaria-Sebaste la gradinata del Tempio di Augusto, fatto costruire da lui in onore dell’imperatore, considerato un dio. Incredibile: un re degli Ebrei che costruisce un tempio in onore di un imperatore pagano, considerandolo una divinità!
Gli archeologi, nelle loro ricostruzioni, sono riusciti a riprodurre l’aspetto che doveva avere il famoso Tempio di Gerusalemme rifatto da Erode, col porticato tutt’attorno, e l’Atrio dei Gentili. Al centro della Spianata si trovava il Tempio vero e proprio, circondato da una balaustra che solo i Giudei potevano varcare.
Il cosidetto “Quarto Problema”
Ora, come sappiamo, nell’anno 30 a Gerusalemme era nata la Chiesa, la Chiesa cristiana, che era comunque afflitta da vari problemi. Accenniamo qui a quello che gli studiosi definiscono “II Quarto Problema”.
Quei giudeo-cristiani, i soli a far parte di quella comunità, dicevano:
“I Giudei convertiti, pur essendo diventati cristiani, rimangono ancora Giudei, e dovranno continuare a sottoporre se stessi e i loro discendenti alla circoncisione e a tutti gli altri riti giudaici”.
E questo “Quarto Problema” causò la cosiddetta sfida del Tempio, a cui fu sottoposto l’apostolo Paolo al ritorno dal suo terzo viaggio missionario. Era arrivato a Gerusalemme portando aiuti ai poveri di quella comunità, ma alcuni membri influenti della chiesa lo affrontarono dicendogli: “Fratello, alcuni ci hanno detto che tu vai predicando di abbandonare la legge di Mosè, e di non osservare più i riti. Perciò fa vedere che non è vero, prendi quattro uomini e va con loro al Tempio…”.
Paolo, per amor di pace, ci andò, ma alcuni Giudei cercarono di ucciderlo con l’accusa di aver portato dei Greci oltre la balaustra.
La questione di questa balaustra è spiegata da una Lastra di Pietra che è una delle poche testimonianze archeologiche che ci siano rimaste del secondo Tempio. Si trova nel Museo di Istanbul, ma ce n’è anche un calco al Museo della Civiltà Romana all’EUR (Roma). Il testo, in greco, impone ai non Ebrei di non superare il recinto (la balaustra) del Tempio, pena la morte. Si notino le parole alloghené, cioè stranieri, nella prima riga, e tànaton, cioè morte, nella settima riga.
Con l’accusa, certamente falsa, di aver condotto dei Gentili oltre la balaustra, fu quindi arrestato Paolo, e per poco non venne ucciso dagli Ebrei più fanatici.
E anche per il Tempio arrivò poi la fine. Nell’anno 70 Gerusalemme cadde sotto l’assalto dei Romani, il Tempio fu completamente distrutto e i suoi arredi furono portati a Roma per il trionfo del generale Tito, il futuro imperatore. In un bassorilievo che decora l’Arco a lui dedicato nel Foro Romano, si vedono i legionari con gli arredi del Tempio, fra cui il famoso Candelabro a sette bracci, cioè la Menorah, che sfilano dietro al carro del vincitore.
Ma le ricchezze che i Romani trafugarono a Gerusalemme erano veramente enormi. Gli archeologi, decifrando alcune iscrizioni, hanno scoperto di recente che il Tesoro del Tempio di Gerusalemme servì addirittura per finanziare la costruzione del Colosseo.
Oggi sulla Spianata dove sorgeva il Tempio si trova l’imponente Cupola della Roccia, ed essendo la zona sacra all’Islam vi è proibito qualsiasi scavo. Perciò quanto siamo riusciti a conoscere del famoso secondo Tempio deriva quasi soltanto dalle descrizioni della Bibbia e di qualche altra opera letteraria antica.
Però nella fine del secondo Tempio che abbiamo raccontato, c’è forse una lezione per noi. Infatti per quei Cristiani di Gerusalemme, il Tempio (insieme alla Legge) aveva finito per costituire “una pietra d’intoppo, un sasso d’inciampo” (Is 8:14), “una pietra d’inciampo e un sasso di ostacolo” (1P 2:8).
Quale potrebbe essere dunque la lezione per noi? “Attenti a non inciampare!”
Ora che siamo arrivati alla fine, vorrei trarre qualche conclusione.
Questo lungo percorso, iniziato con IL CRISTIANO n. 5/maggio 2014 pagg. 219 e seguenti, ci ha fatto attraversare due millenni di storia e ci ha consentito di esplorare in dettaglio le caratteristiche di una decina di popoli antichi coi quali gli Ebrei hanno avuto a che fare, dai Sumeri agli Egizi, dai Filistei ai Cananei, e poi agli Assiri ai Babilonesi e ai Persiani, per arrivare infine ai Macedoni e ai Romani.
È vero che alcuni di questi popoli “tennero schiavo” il popolo di Dio, ma non è questo il punto. Vorrei sottolineare invece il fatto che gli Ebrei furono costretti per lunghi periodi a vivere fianco a fianco con genti all’avanguardia, dalle quali dovettero subire una chiara “schiavitù tecnologica”, finendo poi per assimilarne anche i costumi pagani e idolatri. Il popolo d’Israele ha fallito più volte davanti alla “prova” di conservare intatta la sua identità morale e spirituale.
Questa è la “prova” a cui siamo sottoposti oggi anche noi, nella società in cui siamo costretti a vivere, e che di cristiano ha conservato talora solo il nome.
Che il Signore ci aiuti!