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Un ordigno pronto ad esplodere

Siamo in una scuola a Graz, città austriaca. Un giovane di 22 anni, ex allievo, spara: muoiono numerose persone, quasi tutte di età compresa tra i 14 e i 18 anni; una trentina tra ragazzi e insegnanti feriti, alcuni in gravi condizioni. Braccato dalla polizia il giovane si è chiuso nel bagno della scuola e ha rivolto l’arma contro sé stesso. Perché lo ha fatto?

Nella camera del giovane la polizia ha trovato una lettera nella quale il giovane avrebbe spiegato che la sua era una vendetta contro la scuola, contro gli studenti per il bullismo che aveva subìto prima di abbandonare gli studi. Non so per quanto tempo l’odio, il rancore e il desiderio di vendetta è stato covato nel cuore del giovane: il rancore covato è come una mina vangante, per questo motivo la Parola di Dio ci esorta a non dargli spazio: “Adiratevi e non peccate; il sole non tramonti sopra la vostra ira” (Ef 4:26; il termine usato da Paolo è traducibile anche con sdegno, collera, cruccio, vedi 4:31). L’ira (o i suoi molteplici sinonimi) non è ancora peccato (è un sentimento che anche Dio prova) ma se covata nel cuore, se diventa un sentimento condizionante, se nutrita con pensieri negativi può generare un devastante ordigno pronto per nuocere.

Bullismo: orgoglio e pregiudizio

Il termine bullismo appare spesso nelle pagine di cronaca e sempre come qualcosa di negativo. Il termine deriva dall’inglese bullyng e la sua caratteristica principale è quella di nuocere alle persone più fragili e indifese tramite parole o azioni lesive ripetute nel tempo; è generalmente attuato nell’ambiente scolastico.

Nel nostro tempo si è “evoluto” tramite l’uso della tecnologia (cyberbullismo) che gli ha dato una dimensione molto più ampia e per questo più nociva. Il bullismo si mette in atto mediante molestie verbali, aggressioni fisiche, persecuzioni soprattutto psicologiche. Queste molestie protratte nel tempo sono per la persona fragile come la goccia che buca la roccia e che diventa così veramente devastante. Il bullismo e il cyberbullismo rappresentano due tra le principali problematiche con le quali bambini e ragazzi si trovano a far fronte nei loro contesti di vita quotidiana. Ricerche compiute negli Stati Uniti indicano la preoccupante diffusione di questa “malattia sociale”: circa il 20% dei giovani ha subito atti di bullismo, mentre il 16% di cyberbullismo.

Perché il bullo si comporta in questo modo? Perché prova piacere nel procurare sofferenza e disagio nelle persone più fragili? Non credo di sbagliare dicendo egli sia spinto da un sentimento di superiorità nei confronti di chi presenta aspetti che il bullo vede come debolezza: il soggetto è un perdente e come tale non ha diritto di esistere. Nel cuore del bullo dominano due sentimenti che insieme avvelenano la coscienza. “Orgoglio e pregiudizio” è senza dubbio il più famoso romanzo della scrittrice inglese Jane Austen. L’opera narrativa è ambientata nella provincia inglese del Settecento ed è una aperta condanna di questi due sentimenti che insieme formano un serio ostacolo allo sviluppo di impulsi positivi nella sfera affettiva. Il bullo è senza dubbio un orgoglioso che si crede superiore alla sua “vittima” e ha nei suoi confronti dei radicati pregiudizi. 

Lutero disse: “Non si può impedire agli uccelli di volare sopra la nostra testa, ma si può impedire loro di fare il nido tra i capelli”, in altre parole non possiamo impedire a certi sentimenti di “volare” su di noi, ma possiamo impedire (dobbiamo impedire!) a questi sentimenti di fare il nido nel nostro cuore, dobbiamo impedire di covarli nella nostra coscienza.

Un po’ d’orgoglio è connaturato in noi e i pregiudizi di varia natura svolazzano tranquillamente tra le pieghe del nostro modo di pensare: “Può forse venire qualcosa di buono da Nazaret?” (Gv 1:46). Se il pregiudizio campanilista avesse prevalso nella sua mente, Natanaele non sarebbe mai diventato un discepolo di chi proveniva da questa città della Galilea. Quante volte dei radicati pregiudizi offuscano la nostra mente e ci spingono a dei comportamenti poco in linea con l’insegnamento che riceviamo dal nostro Maestro!

Saulo, un bullo domato

Ricordando sé stesso nel passato, Paolo ha scritto: “Mi distinguevo nel giudaismo più di molti coetanei tra i miei connazionali, perché ero estremamente zelante nelle tradizioni dei miei padri”  (Ga 1:14). Orgoglioso del suo essere Ebreo, “estremamente zelante” (un’altra versione traduce “difensore fanatico”) di una tradizione creduta come assoluta verità divina, nato a Tarso, educato ai piedi di Gamaliele nella rigida osservanza della legge dei padri, ebreo di Ebrei, fariseo, irreprensibile osservante della Legge per difendere ciò che riteneva la volontà divina, è stato feroce persecutore di quelli che erano definiti della “nuova via”. Dal fanatismo alla violenza il passo è breve, in particolare quando lo zelo che muove i nostri sentimenti e la volontà non è guidato dalla conoscenza divina (Ro 10:2). Credo che dobbiamo imparare a distinguere ciò è conoscenza divina da ciò che crediamo lo sia: la Parola del Signore è da ritenere ispirata, ma è necessaria una buona dose di umiltà per accettare il fatto che non sempre la nostra comprensione lo è. Lutero ha accettato questa verità dicendo che la teologia (ossia la nostra comprensione della verità scritta) è viatorum, in cammino.

Osservando da vicino la storia della Chiesa, notiamo che troppo spesso ha mosso i suoi passi spinta da uno zelo privato della giusta conoscenza: zelo che si è trasformato in un fanatismo seminatore di sofferenza e morte.

Orgoglioso e con radicati pregiudizi verso coloro che non erano come lui: è il ritratto di un bullo che gode della sofferenza causata a chi vedeva diversi: “Saulo, sempre spirante minacce e stragi contro i discepoli del Signore, si presentò al sommo sacerdote…” (At 9:1).

Ma Saulo da Tarso si è scontrato con una luce e con una voce che lo hanno atterrato come se avesse ricevuto un pugno nello stomaco (At 9:3-4) e riconobbe che questa luce e questa voce appartenevano a qualcuno ben più forte di lui; non sapeva bene ancora chi fosse ma era consapevole della sua grandezza: “Chi sei, Signore?”. L’atterramento subìto e la conseguente cecità diventarono una porta aperta per un radicale cambiamento: “Saulo si fortificava sempre più e confondeva i Giudei… dimostrando che Gesù è il Cristo” (v. 22).

Cosa è avvenuto nel cuore di Paolo?

Paolo, prima dell’incontro sulla via di Damasco, era convinto di essere un uomo forte con una carica interiore che lo costringeva a percorrere le strade della Giudea e oltre alla furiosa caccia di chi pensava fosse contrario alla verità da lui creduta: lui pensava di possedere la verità in senso assoluto. La sua radicale trasformazione avvenne dopo che il castello sul quale fondava la sua esistenza fu stato abbattuto. Solo dopo la costatazione della sua ignoranza (1Ti 1:13) Paolo cessò di essere un orgoglioso bullo “spirante minacce e stragi” (At 9:1). Anche se consapevole di avere ricevuto particolari rivelazioni da parte di Dio, egli ammise di avere solo una conoscenza parziale della verità: “Conosciamo in parte” (1Co 13:9). Una solida dose di umiltà è il migliore antidoto contro la superbia e contro ogni forma di bullismo, anche quello che si attua nell’ambito ecclesiale. 

Quando sono debole allora sono forte”: questa frase dell’apostolo è stata come la stella polare nel mio cammino di fede. La consapevolezza della mia fragilità (che è il contrario di ciò che anima il bullismo) mi ha aiutato a indirizzare i miei passi verso la direzione voluta dal Signore, è questo sentimento che ha abbattuto gli ostacoli che in modo naturale si erigono nei rapporti affettivi, familiari, amicali ed ecclesiali. Il riconoscermi fragile e incompleto mi ha permesso di essere consapevole del mio bisogno e di accettare l’aiuto fraterno di chi il Signore mi ha messo accanto (1Co 12:21). 

La Chiesa ha bisogno di persone che sono capaci di accettare la loro debolezza e la loro finitezza.