“Operazione speciale”?!?
La Russia non è in guerra contro l’Ucraina, sta solo compiendo una “operazione speciale”. Quanta ipocrisia c’è dietro a questa frase! È il classico tentativo di nascondersi dietro a un dito. I numeri parlano, e faremmo bene ascoltarli! Circa 12 mila soldati Ucraini hanno perso la vita e tra i soldati russi, tra morti e feriti, le cifre sono molto più alte: circa 200 mila perdite. Quante sono le vittime civili? È un conteggio molto difficile da fare. Tutto questo per una “operazione speciale”! Un’operazione voluta e caparbiamente portata avanti da persone che hanno un ego abnorme e un cervello ridotto ai minimi termini. Anche in questi giorni è stato detto esplicitamente che la guerra finirà solo quando questa “operazione speciale” sarà conclusa. È trascorso già più di un anno, per quanto tempo ancora continuerà?
Un peccato… onorevole?!
John Ernest Steinbeck, Jr. è stato tra i più noti e prolifici scrittori statunitensi del XX secolo. Autore di numerosi romanzi, racconti e novelle è stato insignito con il Nobel per la letteratura nel 1962. Il suo romanzo più conosciuto è probabilmente La valle dell’Eden; dal romanzo venne tratto da Elia Kazan, nel 1955, un famoso film dal titolo omonimo interpretato da James Dean e Julie Harris, che ottenne quattro nomination al premio Oscar. Nel romanzo c’è un dialogo tra il protagonista e suo figlio che mi ha particolarmente colpito: ne trascrivo una parte.
“Una volta, sul far della sera, Cyrus portò con sé Adam per una passeggiata e le nere conclusioni di tutto il suo studiare si riversarono sul figlio come un fiume denso di terrore. «Voglio che tu sappia – gli disse – che un soldato è il più santo tra gli umani perché è quello che più viene messo alla prova, viene messo alla prova più di tutti. Tenterò di spiegartelo. Stammi a sentire: in tutta la storia agli uomini è stato insegnato che uccidere un altro uomo è male, è cosa intollerabile. Chiunque uccida dev’essere eliminato perché l’omicidio è un peccato grave, forse il più grave che ci sia. E poi prendiamo un soldato e gli diamo la facoltà di uccidere. Usala bene, usala saggiamente gli diciamo. Non gli mettiamo limiti. Vai e uccidi il maggior numero possibile dei tuoi fratelli di un certo tipo o di una certa categoria. E per questo sarai premiato, perché è una violazione di quello che ti è stato insegnato»”.
Ciò che è normalmente considerato un grave peccato, punito dalla legge con il massimo della pena, in tempo di guerra diventa onorevole.
Ogni nazione ha i suoi eroi e quasi tutti si sono fatti onore combattendo in guerre che hanno lasciato sul terreno migliaia di vittime.
L’apostolo Paolo, lucido testimone della storia, scrisse qualcosa che rispecchia il pensiero esposto: “Essi, pur conoscendo che secondo i decreti di Dio quelli che fanno tali cose sono degni di morte, non soltanto le fanno, ma anche approvano chi le commette” (Ro 1:32). Il peccato assurge, in alcune specifiche occasioni, a elemento da approvare, da applaudire, da onorare. Desidero precisare che senz’altro c’è differenza tra guerra di aggressione e quella di difesa; anche se Gesù ci ha insegnato di “porgere l’altra guancia”, possibile a livello personale ma molto più complicato quando è coinvolta la comunità.
Non c’è dubbio che il conflitto armato, che ha accompagnato l’uomo fin dall’inizio della sua storia, sia figlio di una buona dose di follia; d’altronde sappiamo che la follia è profondamente radicata nell’animo umano, da quando l’uomo ha lasciato il giardino dell’Eden. Non possiamo non essere d’accordo con Erasmo da Rotterdam, che di follia se ne intendeva, quando afferma: “La maggior parte degli uomini indulge alla Follia e quindi le cose peggiori incontrano sempre il massimo successo” (Erasmo da Rotterdam, “Elogio alla follia”). Questa follia è figlia della scelta costante e sconsiderata di seguire la sapienza “terrena” che è “naturale e diabolica” (Gm 3:13-18).
Che cos’è una guerra?
È un conflitto giunto alla sua più tragica conclusione, è una contesa che non si è fermata alle parole. Dal vocabolo latino conflictus emergono i significati di urto, scontro. Spesso la nostra vita, vissuta per lo più freneticamente, assomiglia un po’ al circuito degli autoscontri che troviamo nei parchi di divertimento. In quel vorticoso andare è impossibile non urtarsi.
In alcune circostante questi urti, specie se sono ripetuti e volontari, provocano scintille che accendono la miccia che porta alla deflagrazione, dove l’ira diventa protagonista.
Sappiamo per esperienza che i conflitti, le contese non possiamo evitarli nella nostra vita fatta di continui rapporti interpersonali, a causa delle differenze esistenti tra noi; la differenza, spesso, è considerata un fastidioso peso che non siamo in grado o non vogliamo sopportare e questo fa della differenza un elemento in grado di scatenare un conflitto. Lo scontro prima di arrivare alla conclusione che causa danni, compie un tragitto ed è durante questo percorso che possiamo “spegnere la miccia” togliendogli la capacità di innescare la carica esplosiva. La via d’uscita offerta nella prova offre l’occasione per fermare il processo da tentazione a peccato, è presente anche in questo caso (1Co 10:13). Lo so, occorre una massiccia dose di tolleranza e umiltà per compiere questa assennata azione: merce rara che non sempre troviamo nella stanza del nostro cuore.
Possiamo farlo? Dobbiamo farlo! Non dimentichiamo la risposta che Giacomo dà alla sua stessa domanda: “Da dove vengono le guerre e le contese tra di voi? Non derivano forse dalle passioni che si agitano nelle vostre membra? Voi bramate e non avete; voi uccidete e invidiate e non potete ottenere; voi litigate e fate la guerra” (Gm4:1-2). “Passioni che si agitano”: letteralmente “piaceri che combattono [tra loro]”. Non è solo una “agitazione” inoffensiva, ma un conflitto che ha luogo dentro il nostro animo. È da questa guerra interiore che nasce la guerra fisica ed è qui che dobbiamo iniziare la nostra opera di spegnimento. La bramosia di qualcosa che non possediamo può, se non controllata, diventare così forte da trascinare i nostri sentimenti e la nostra volontà verso il litigio, verso la guerra.
La parola guerra (dal greco polemos, che nella mitologia ellenica indicava il demone della guerra) conduce quasi sempre la nostra mente ai grandi conflitti, passati e presenti; ma forse dobbiamo anche pensare ai mille conflitti presenti nel quotidiano che rendono la nostra vita sicuramente meno serena: conflitti famigliari, ecclesiali, sociali. Dobbiamo ricordarci che il termine polemica ha la stessa radice: chi ama polemizzare su tutto e su tutti, chi fa della polemica un modo di rapportarsi al mondo, è una persona predisposta alla guerra, forse fatta solo di parole, non cruenta, ma sempre conflitto è. Anche la passione per la polemica nasce dal desiderio di essere protagonista, dall’idea di essere su un gradino superiore agli altri, dalla presunzione di essere migliore.
Un cannibalismo spirituale
Nella severa lettera ai credenti della Galazia (5:15), Paolo scrive queste dure parole: “Ma se vi mordete e divorate gli uni gli altri, guardate di non essere consumati gli uni dagli altri”. Ricordo che è una lettera destinata a una chiesa che come sappiamo è composta da cristiani, credenti in Cristo. Mi pare fin troppo evidente che il discorso non sia da prendere alla lettera ma in senso metaforico. Ma in quale modo i credenti possono “divorarsi gli uni gli altri”?
Osserviamo da vicino la lettera. Sappiamo che è una delle lettere più severe scritte dall’apostolo: perché? La sua severità è senza dubbio commisurata al problema che serpeggiava nelle chiese della provincia romana della Galazia. Paolo aveva predicato il Vangelo in questa regione durante il suo primo viaggio missionario (alcuni propendono per il secondo viaggio). Comunque questa è probabile che sia stata la prima delle lettere da lui inviate (in essa troviamo abbozzato il grande tema sviluppato poi nella lettera ai Romani: il valore della grazia). Le parole che precedono il versetto citato sono queste: “Perché, fratelli, voi siete stati chiamati a libertà; soltanto non fate della libertà un’occasione per vivere secondo la carne, ma per mezzo dell’amore servite gli uni agli altri; poiché tutta la legge è adempiuta in quest’unica parola: Ama il tuo prossimo come te stesso”. La Legge e la grazia s’incontrano sul terreno dell’amore.
La libertà e l’amore sono chiamati in causa e ritengo siano l’antidoto contro il “cannibalismo” accennato. Quando la libertà diventa pretesto per fare ciò che si vuole, ciò che fa piacere al proprio ego; quando l’idea di libertà soffoca quella del servizio e ci fa dimenticare quello che può definirsi il centro nevralgico del comportamento cristiano – l’amore per il prossimo – siamo nella situazione ideale per scatenare un conflitto. Se il prossimo non è amato, siamo predisposti a “divorarlo” con le parole e con atteggiamenti ostili.
“Guardate di non essere consumati gli uni dagli altri”: il verbo consumare ci offre un’indicazione più precisa su quanto è scritto. Il verbo consumare (che può essere tradotto anche con “distruggere”) evoca scene di guerra dove, per la follia degli uomini, al posto di una città troviamo solo rovine fumanti. Lo sappiamo, ne abbiamo esperienza, dei danni provocati da parole e atteggiamenti non edificanti, parole e atteggiamenti che si pongono agli antipodi dell’edificazione. Demolire invece di edificare è un modo di distruggere un fratello, una chiesa o un movimento ecclesiale che non troviamo allineato al nostro pensiero.
Un giusto senso della libertà e un autentico amore sono una efficace lima per smussare gli angoli che feriscono. Se desidero la libertà per il mio benessere con la stessa intensità devo desiderarla per il prossimo. Se situo l’amore tra me e chi mi è vicino questo ha la stessa funzione dei respingenti posti tra una carrozza ferroviaria e un’altra: attutire gli inevitabili urti.
L’uomo, da Caino in poi, ha dimenticato l’autentico senso della libertà, ha dimenticato l’inebriante aroma emanato dall’amore: per questo le guerre ci sono e continueranno a esserci lungo tutto il tragitto della storia. In questo tragitto, disgraziatamente, troveremo sempre qualcuno che cerca di convincere altri sulla necessità e il valore della guerra e troveremo sempre qualcuno (più di uno, purtroppo) disposto a crederci; troveremo sempre un eminente capo religioso che benedice chi va a combattere promettendogli il Paradiso.
Gesù ci chiama a essere “operatori di pace”, ma per essere tali occorre prima di tutto mettere pace dentro di noi e spegnere le “micce accese” prima che l’ira prevalga sugli altri sentimenti: questo è ciò che è definito “autocontrollo” che è frutto dello Spirito.