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La tragedia accaduta alla fine di febbraio sulle coste calabresi, con il naufragio a pochi metri dalla riva di un barcone proveniente dalla Turchia e la conseguente morte per annegamento di decine di persone scappate da condizioni di vita impossibili, ha suscitato commenti a non finire, la cui eco ci accompagnerà prevedibilmente per mesi.

Fra le immagini che mi hanno colpito c’è la solenne postura del Presidente Mattarella, solo e in tutta evidenza molto scosso e commosso davanti a lunghe file di bare, fra le quali alcune bianche: l’unico rappresentante dello Stato a non essersi vergognato di essere lì. Ma ad avermi toccato nel profondo ci sono anche gli occhi lucidi e la voce strozzata di un pescatore che raccontava di essersi gettato in mare per soccorrere i naufraghi e di aver afferrato nel tentativo di salvarla una piccola bambina che è morta fra le sue braccia. Non possiamo negare che siamo stati tutti travolti dalla frenetica voglia di commentare per giudicare e di ricercare possibili colpevoli per denunciare responsabilità per il soccorso mancato. Ma abbiamo davvero provato tutti dolore oppure ci siamo ormai abituati ad assistere a simili tragedie, così tanto che la loro notizia ci scivola via sulla pelle? E che dire dei tanti commenti vergognosi che abbiamo ascoltato? “Se la sono cercata… sono irresponsabili i genitori che caricano i figli su una barca del genere…chi scappa in questo modo finanzia il traffico criminale di esseri umani…” per non citare l’orribile frase con la quale nell’aula del Senato quei terribili viaggi sono stati paragonati a “minicrociere”.

In questi giorni sono stati citati spesso i versi di una poetessa somala, Warsan Shire: “Nessuno mette i figli su una barca a meno che l’acqua non sia più sicura delle terra”. Sono parole che descrivono meglio di ogni altro discorso la disperazione di persone che scappano dalla guerra, dalla fame, dalla violenza, da contesti sociali nei quali non possono più vivere con i loro figli e la cui prospettiva di vita è racchiusa nella parola “morte”. Persone che non hanno più una terra per vivere ma solo una terra per morire. Persone che sono costrette a ricorrere ai trafficanti perché è stato loro impedito di rifugiarsi legalmente in altri Paesi. Non posso che condividere la frase di chi ha affermato che “sono i muri che creano i trafficanti e non il contrario”.

In questi giorni, rileggendo il libro dei Salmi, mi sono imbattuto in una frase straordinariamente eloquente, come lo è sempre la Parola del Signore. L’autore del Salmo 106 ricorda il dibattito (forse non dissimile da quelli ai quali noi assistiamo oggi!) scoppiato in mezzo al popolo d’Israele che si era ritrovato nel deserto senza più acqua. Mosè si lasciò trascinare in questo dibattito e si rese colpevole davanti al Signore, perché “parlò senza riflettere” (Sl 106:33), cioè, prima di aprire bocca, non valutò gli effetti che le sue parole avrebbero avuto in chi era davanti a lui per ascoltarle.Parlare senza riflettere può provocare spesso guasti devastanti. In uno dei suoi tanti proverbi Salomone ricorda che “c’è chi, parlando senza riflettere, trafigge come una spada” (Pr 12:18). Quanti cuori sono stati trafitti in questi giorni da parole pronunciate senza ponderarne il significato e, soprattutto, non valutando le conseguenze emozionali e soprattutto culturali che essere avrebbero avuto? Non dobbiamo però dimenticare che ci sono persone in Calabria le quali hanno riflettuto prima di parlare, così nella cittadina di Cutro sono apparsi cartelli con frasi toccanti, come: “La nostra spiaggia non ha accolto i vostri figli per la vita, ma per la morte, perdonateci!” e “Non finiremo all’inferno per il male che abbiamo fatto, ma per il bene che avremmo potuto fare e non abbiamo fatto. Nessuno si senta innocente!”.

Questa storia può servirmi da lezione se imparerò, prima di aprire bocca, a pensare alle conseguenze che le mie parole potranno avere su chi le ascolterà. Le mie parole rivelano la mia identità di cristiano oppure la nascondono? Contribuiscono a saldare relazioni oppure a sfilacciarle fino a spezzarle?  Gettano acqua sul fuoco oppure benzina? So che il Signore desidera una sola cosa da me: che le mie parole conferiscano grazia a chi le ascolta!