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Dalla disubbidienza al giudizio

Desidero condividere una delle più avvincenti storie contenute nel primo libro dei Re. Vedremo insieme il ministero del primo grande profeta, Elia, il quale compare improvvisamente nel capitolo precedente a quello della nostra lettura, senza che Dio ci riveli le sue origini; ma fin dal primo momento, è chiaro che si tratta di un uomo afflitto dal dilagare dell’idolatria in Israele. 

È interessante osservare che questo allontanamento del popolo dal suo Signore, per deviare nell’idolatria, ebbe una significativa espansione, con una infinità di ricadute storiche. Fra queste ricadute considereremo quella avvenuta al tempo del re Acab, provocata soprattutto per l’influenza che ebbe su di lui la sua malvagia moglie, Izebel, di origini pagane, la quale sosteneva spiritualmente ed economicamente 850 profeti di Baal e di Astarte: divinità fenicie più volte nominate, ma sulle quali non ci soffermeremo.

Rivelando l’imminente giudizio punitivo del Signore, Elia annunciò una siccità che sarebbe durata in tutto il paese per tre anni a mezzo (1Re 17:1; Gm 5:17) e che avrebbe provocato una grave carestia, con lo scopo di sensibilizzare il popolo al ravvedimento. Ma anziché sortire questo effetto, Elia attirò su di sé soltanto il feroce odio del re.

Durante il terzo anno di siccità, quando tutta la popolazione era allo stremo delle forze, Dio ordinò ad Elia di presentarsi davanti al re Acab, ma Abdia, un uomo timorato di Dio, lo sconsigliò di incontrarlo a causa della sua nota pericolosità. Elia vi andò ugualmente.

Ma leggiamo il racconto biblico:

“Appena Acab vide Elia, gli disse: «Sei tu colui che mette scompiglio in Israele?» Elia rispose: «Non sono io che metto scompiglio in Israele, ma tu e la casa di tuo padre, perché avete abbandonato i comandamenti del SIGNORE, e tu sei andato dietro ai Baali. Adesso, fa’ radunare tutto Israele presso di me sul monte Carmelo, insieme ai quattrocentocinquanta profeti di Baal e ai quattrocento profeti di Astarte che mangiano alla mensa di Izebel». Acab mandò a chiamare tutti i figli d’Israele, e radunò quei profeti sul monte Carmelo. Allora Elia si avvicinò a tutto il popolo, e disse: «Fino a quando zoppicherete dai due lati? Se il SIGNORE è Dio, seguitelo; se invece lo è Baal, seguite lui». Il popolo non gli rispose nulla. Allora Elia disse al popolo: «Sono rimasto io solo dei profeti del SIGNORE, mentre i profeti di Baal sono in quattrocentocinquanta. Dateci dunque due tori; quelli ne scelgano uno per loro, lo facciano a pezzi e lo mettano sulla legna, senz’appiccarvi il fuoco; io pure preparerò l’altro toro, lo metterò sulla legna, e non vi appiccherò il fuoco. Quindi invocate voi il nome del vostro dio, e io invocherò il nome del SIGNORE; il dio che risponderà mediante il fuoco, lui è Dio». Tutto il popolo rispose dicendo: «Ben detto!» Allora Elia disse ai profeti di Baal: «Sceglietevi uno dei tori; preparatelo per primi, poiché siete i più numerosi; e invocate il nome del vostro dio, ma non appiccate il fuoco. Quelli presero il loro toro, e lo prepararono; poi invocarono il nome di Baal dalla mattina fino a mezzogiorno, dicendo: «Baal, rispondici!» Ma non si udì né voce né risposta; e saltavano intorno all’altare che avevano fatto. A mezzogiorno, Elia cominciò a beffarsi di loro dicendo: «Gridate forte; poich’egli è dio, ma sta meditando, oppure è indaffarato, o è in viaggio; può anche darsi che si è addormentato, e si risveglierà». E quelli si misero a gridare più forte, e a farsi delle incisioni addosso, secondo il loro costume, con spade e lance, finché grondavano di sangue. E passato che fu il mezzogiorno, quelli profetizzarono fino all’ora in cui si offriva l’offerta. Ma non si udì voce o risposta, e nessuno diede loro retta. Allora Elia disse a tutto il popolo: «Avvicinatevi a me!» Tutto il popolo si avvicinò a lui; ed Elia riparò l’altare del SIGNORE che era stato demolito. Prese dodici pietre, secondo il numero delle tribù dei figli di Giacobbe, al quale il SIGNORE aveva detto: «Il tuo nome sarà Israele». Con quelle pietre costruì un altare al nome del SIGNORE, e fece intorno all’altare un fosso, della capacità di due misure di grano. Poi vi sistemò la legna, fece a pezzi il toro e lo pose sopra la legna. E disse: «Riempite quattro vasi d’acqua, e versatela sull’olocausto e sulla legna». Poi disse: «Fatelo una seconda volta». E quelli lo fecero una seconda volta. E disse ancora: «Fatelo per la terza volta». E quelli lo fecero per la terza volta. L’acqua correva attorno all’altare, ed egli riempì d’acqua anche il fosso. All’ora in cui si offriva l’offerta, il profeta Elia si avvicinò e disse: «SIGNORE, Dio d’Abraamo, d’Isacco e d’Israele, fa’ che oggi si conosca che tu sei Dio in Israele, che io sono tuo servo, e che ho fatto tutte queste cose per ordine tuo. Rispondimi, SIGNORE, rispondimi, affinché questo popolo riconosca che tu, o SIGNORE, sei Dio, e che tu sei colui che converte il loro cuore!» Allora cadde il fuoco del SIGNORE, e consumò l’olocausto, la legna, le pietre e la polvere, e prosciugò l’acqua che era nel fosso. Tutto il popolo, veduto ciò, si gettò con la faccia a terra, e disse: «Il SIGNORE è Dio! Il SIGNORE è Dio!» Elia disse loro: «Prendete i profeti di Baal; neppure uno ne scampi!» Quelli li presero, ed Elia li fece scendere al torrente Chison, e laggiù li sgozzò” (1Re 18:17-40). 

Senza avere la pretesa di commentare questo brano come meriterebbe, vediamo che la storia finisce in modo piuttosto raccapricciante, con la morte dei falsi profeti. Purtroppo quando gli scettici e gli increduli si avvicinano alla lettura di brani come questo, si accaniscono ulteriormente contro Dio, perché si rifiutano (e non possono altrimenti, per mancanza della guida dello Spirito Santo) di cogliere l’aspetto spirituale dell’amore di Dio, fortemente presente anche in tutto l’Antico Testamento.

La storia biblica insegna che l’uomo cede facilmente alla disubbidienza, pur di poter fare quello che meglio crede, perché è ribelle e orgoglioso, ma in tal modo costringe Dio ad allontanarsi da lui, e talvolta anche a manifestare la sua santa ira. 

Anche il re Acab era un uomo che desiderava fare quello che voleva: il suo orgoglio e il pubblico potere glielo imponevano, ma Dio volle dargli una lezione che non avrebbe dimenticato facilmente e lo fece tramite Elia, che divenne per lui come una spina nel fianco: uno di quelli che – per la fede e serietà nel servire Dio – tolgono il sonno… 

Proviamo a immaginare un re così crudele che si sottomise all’ordine di Elia di radunare tutti gli Israeliti intorno a lui (è quasi impensabile, perché si trattava di milioni di persone). In fondo, la proposta di questo profeta era alquanto stuzzicante per lui e si presentava ai suoi occhi in modo molto spettacolare! Ogni popolo ha bisogno di tanto in tanto di qualche intrattenimento fuori programma. In fondo è ciò che più tardi avrebbe fatto l’Impero Romano, offrendo spettacoli sanguinari nelle arene e per le strade di Roma, per “tranquillizzare” le sommosse dei popolani che non avevano da mangiare. Da qui nacque il detto: “Panem et circenses” (letteralmente “pane e giochi del circo”).

Una sfida umanamente improponibile

Da parte di Elia ci volle un grande coraggio e una fede in un Dio ancora più grande, per affrontare quella marea di gente: tutto il popolo! Elia era infatti un uomo rimasto solo, ma l’audacia di comunicare col Dio d’Israele lo portò a sfidare ben 850 falsi profeti, che non avevano mai avuto un segno dal loro dio: un dio costruito dalle loro stesse mani! Fino a quel momento avevano fatto una bella vita, saziandosi alla mensa di una regina malvagia che aveva fatto ammazzare tutti i profeti d’Israele (1Re 18:4), con lo scopo di abolire il culto all’unico e vero Signore. La stessa strategia è perseguita oggi da coloro che rifiutano di credere in Dio. Penso in particolare ai nostri fratelli della Chiesa perseguitata. Attualmente milioni di cristiani subiscono varie forme di persecuzioni e molti sono quelli che passano per il martirio. Si contano 4761 vittime dal 1° ottobre 2019 al 30 settembre 2020.

Ma ritorniamo al profeta Elia, il quale si espose ad affrontare una impari lotta alquanto folle per la mente dell’uomo razionale. Questa storia ci ricorda, per alcuni aspetti, la sfida di un ragazzo senza esperienza, Davide, contro un gigante alto tre metri, Golia, che egli sconfisse, pur davanti ad un popolo impaurito, perché la sua mano era guidata dalla fede nel vero grande Dio!

Non riesco a capire il modo di procedere dei falsi profeti di Baal: quale fede li stava guidando a fare qualcosa che non conoscevano e che, soprattutto, non avevano mai personalmente sperimentato?

“Quelli presero il loro toro, e lo prepararono; poi invocarono il nome di Baal dalla mattina fino a mezzogiorno, dicendo: «Baal, rispondici!» Ma non si udì né voce né risposta; e saltavano intorno all’altare che avevano fatto. A mezzogiorno, Elia cominciò a beffarsi di loro dicendo: «Gridate forte; poich’egli è dio, ma sta meditando, oppure è indaffarato, o è in viaggio; può anche darsi che si è addormentato, e si risveglierà». E quelli si misero a gridare più forte, e a farsi delle incisioni addosso, secondo il loro costume, con spade e lance, finché grondavano di sangue” (vv. 26-28).

Si tratta di un comportamento che risale a circa 2900 anni fa. L’aspetto tragicomico, per noi oggi, è che molti lo considererebbero normalissimo. Se guardiamo infatti qualche documentario su alcune feste religiose, scopriamo che i seguaci di un credo assurdo e antibiblico si autocastigano flagellandosi il corpo con strumenti di tortura, fino a sanguinare copiosamente. Ai più non viene neanche in mente di fare un accostamento a ciò che dice la Bibbia, perché non la leggono e non la conoscono! Così molti restano impassibili e ignari, ma inconsapevolmente succubi di un paganesimo rivestito della croce di Cristo, un paganesimo che Dio ci ordina di rigettare. 

Non è forse vero che si compiono queste atrocità masochistiche, sperando di conquistare il favore di Dio? Ma, di quale Dio? Il Signore non ha mai chiesto pratiche del genere, anzi, le ha sempre proibite e respinte, perché sono usanze tipiche dei pagani i quali non sanno che devono rendere conto a un Dio vivente e non ad uno morto come i loro idoli! 

Cosa dicono le Scritture, riguardo a questi adoratori pagani di un dio che non esiste? 

“Hanno bocca e non parlano; hanno occhi e non vedono; hanno orecchi e non odono e non hanno respiro alcuno nella loro bocca. Siano simili a loro quelli che li fanno, tutti quelli che in essi confidano” (Sl 135:16-18).

Questa “maledizione” è più che mai attuale, anche nel terzo millennio. E il salmista ci va qui molto pesante, ma perché lo fa? Perché come Elia, crede in un Dio vivente, un Dio che, nel suo Figlio, ha dato la sua propria vita per ottenere una relazione personale con la sua creatura; un Dio che risponde, sempre, a chi si rivolge a lui con un cuore puro, sincero e con fede.

Nella storia di Elia, i falsi profeti furono costretti a ritirarsi sanguinanti e pieni di vergogna. Fu a quel punto che Elia chiamò a raccolta il popolo: Avvicinatevi a me!” (v. 30). Tutti gli ubbidirono. Cerchiamo di immaginare questo battaglione di 850 profeti che si spostano di lato per lasciar passare il popolo di Dio: si tratta di una scena apocalittica sulla quale si potrebbe girare un grande film, certo non paragonabile ai grandi e blasfemi colossal cinematografici di oggi!

Elia non si lasciò condizionare dalle emozioni – come sarebbe anche stato logico – non diede in escandescenze, come avevano fatto i falsi profeti, né si lasciò a andare a manifestazioni entusiastiche davanti al loro fallimento. Con tutta calma riparò l’altare, prendendo dodici pietre (una per ogni tribù d’Israele), a dimostrazione che stava facendo tutto questo nel nome di Dio, perché ritornasse a benedire quel popolo che egli aveva fatto suo. Poi rese ancora più difficile questa prova, bagnando l’altare e il fossato con una quantità d’acqua inverosimile (vista la siccità che durava già da tre anni), ma questo era più che mai necessario, per dimostrare in modo inequivocabile la superiorità di Dio sulle forze occulte che stavano operando attraverso l’idolatria.

“E disse: «Riempite quattro vasi d’acqua, e versatela sull’olocausto e sulla legna». Poi disse: «Fatelo una seconda volta». E quelli lo fecero una seconda volta. E disse ancora: «Fatelo per la terza volta». E quelli lo fecero per la terza volta. L’acqua correva attorno all’altare, ed egli riempì d’acqua anche il fosso” (vv. 34, 35).

Umanamente parlando, potremmo dire che, con tutta l’acqua usata, non sarebbe stato possibile compiere l’olocausto: non è affatto logico. Ma qui si tratta di chiedere l’impossibile al Dio della Bibbia che è ben in grado di farlo!

Ben quattro vasi d’acqua furono versati sull’olocausto e sulla legna. Quest’operazione fu ripetuta tre volte e fu anche riempito il fossato intorno all’altare. Eppure tutto fu arso in un istante, nel momento stesso in cui Elia invocò il nome del Signore: tutto fu consumato, perfino le pietre! Per vedere l’intervento di Dio, non occorse tutta la giornata, ma un solo istante. Ed ecco che, a quel punto, tutto il popolo si prostrò con la faccia a terra, gridando:

“Il SIGNORE è Dio! Il SIGNORE è Dio!” (v. 39).

Questa espressione mi ricorda un altro personaggio che ebbe bisogno di vedere e toccare con mano la potenza di Dio: Tommaso, il quale, quando gli parlarono della risurrezione di Gesù, non ci credette. Solo quando il Signore apparve all’improvviso e solo quando si trovò di fronte all’evidenza della risurrezione, disse a Gesù: “Signore mio e Dio mio!” (Gv 20:28).

Gesù rimproverò questo atteggiamento di incredulità: “Perché mi hai visto, tu hai creduto; beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!” (Gv 20:29).

Con queste parole il Signore stava parlando anche a noi, donne e uomini viventi nel terzo millennio! La fede ha forse bisogno di un appiglio visibile? Ma, se così fosse, non sarebbe affatto fede! L’apostolo Paolo scrisse: “… Poiché siamo stati salvati in speranza. Or la speranza di ciò che si vede, non è speranza; difatti, quello che uno vede, perché lo spererebbe ancora? Ma se speriamo ciò che non vediamo, l’aspettiamo con pazienza» (Ro 8:24,25).

Conclusione

Che cosa ci insegna il racconto della vicenda che ebbe Elia come protagonista? Qual è il messaggio immediato di questa storia?

Dobbiamo avere una grande fede in un Dio ancora più grande, una fede nel Dio dell’impossibile che testimoni chi egli è veramente! 

Se crediamo nel Dio che professiamo e non lo vediamo agire potentemente nelle nostre vite, significa che nella nostra fede c’è qualcosa che non va. Elia lanciò una sfida ai falsi profeti; ma poté farlo, perché conosceva bene il Dio nel quale credeva incondizionatamente, e che con la sua vita stava annunciando. 

Dio si aspetta da noi un minimo di fede: quando gli parliamo, dobbiamo credere che egli ci ascolta! Se non partiamo da questo presupposto, stiamo perdendo del tempo prezioso e costringiamo Dio a dispiacersi di noi, come ricordare l’autore della lettera gli Ebrei: “… senza fede è impossibile piacergli; poiché chi si accosta a Dio deve credere che egli è, e che ricompensa tutti quelli che lo cercano” (Eb 11:6). 

La Bibbia è piena di frasi che parlano del tipo di fede che Dio gradisce da noi; non troviamo mai scritto che bisogna avere una fede “mostruosa” come quella di Elia, ma una fede scevra da tentennamenti e da sbavature, verso il Dio dell’impossibile, come disse Gesù: “… in verità io vi dico: se avete fede quanto un granello di senape, potrete dire a questo monte: «Passa da qui a là», e passerà; e niente vi sarà impossibile” (Mt 17:20).

Gesù desidera da noi una fede piccola, ma genuina; una fede che ci costringa ad abbandonare le “divinità” che condizionano la nostra vita, perché queste non permettono al Signore di starci più vicino: anzi, si allontanerebbe. Rivolgiamoci di cuore all’unica persona in grado di rispondere ai nostri bisogni, qualsiasi essi siano.

In piena pandemia da Covid 19, è stato detto ormai in tutte le salse che la vera pandemia che affligge il mondo intero non è il Coronavirus, ma il peccato che si annida nell’uomo. Penso con riconoscenza alle tante persone già salvate attraverso il sangue di Gesù e, con spirito di preghiera, alle altre che si sono avvicinate in qualche modo al Signore, anche se questo fosse avvenuto casualmente, come a tastoni (At 17:27). Soprattutto prego per le altre che stanno ancora tentando un avvicinamento a Dio con un cuore sincero: Dio lo sa e tende loro la sua mano piena d’amore, con il desiderio che esse si lascino prendere da lui.

Concludo raccontandovi un episodio accadutomi qualche tempo fa.

Una volta, mentre avevamo a cena un vietnamita e gli raccontavo dell’atteggiamento di amore di Dio nei nostri confronti, lui mi sedeva di fronte completamente assorto dalla dottrina di Dio, e io gli raccontavo che il Signore ha sempre le mani tese verso i peccatori per invitarli alla salvezza e, senza che me ne avvedessi – dicendo quelle parole – allungai la mia mano verso di lui, il quale la prese, chiedendo perdono a Gesù e dandogli la sua vita. Io, ovviamente non fui altro che un mezzo per la sua salvezza. Questa è la fede in quel grande Dio che ci dà il privilegio di parlare di lui.