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Comunicare attraverso la parola

Uno dei più grandi doni che Dio ha fatto all’uomo è sicuramente la parola. Provate a pensare che cosa succederebbe se Dio ci togliesse la capacità di comunicare con le parole, come ha fatto nel passato a chi stava costruendo la Torre di Babele. La nostra società, che ha fatto della rapida comunicazione uno dei pilastri del suo esistere, piomberebbe nel caos più totale. L’episodio della vita di Gesù che prenderemo in esame ha a che fare, come vedremo, con le parole soprattutto in relazione all’importanza che esse hanno nella vita degli uomini.

“Dopo che egli ebbe terminato tutti questi discorsi davanti al popolo che l’ascoltava, entrò in Capernaum. Un centurione aveva un servo, molto stimato, che era infermo e stava per morire; avendo udito parlare di Gesù, gli mandò degli anziani dei Giudei per pregarlo che venisse a guarire il suo servo. Essi, presentatisi a Gesù, lo pregavano con insistenza, dicendo: «Egli merita che tu gli conceda questo; perché ama la nostra nazione ed è lui che ci ha costruito la sinagoga». Gesù s’incamminò con loro; ormai non si trovava più molto lontano dalla casa, quando il centurione mandò degli amici a dirgli: «Signore, non darti quest’incomodo, perché io non sono degno che tu entri sotto il mio tetto; perciò non mi sono neppure ritenuto degno di venire da te; ma di’ una parola e il mio servo sarà guarito. Perché anch’io sono uomo sottoposto all’autorità altrui, e ho sotto di me dei soldati; e dico a uno: “Vai”, ed egli va; a un altro: “Vieni”, ed egli viene; e al mio servo: “Fa’ questo”, ed egli lo fa». Udito questo, Gesù restò meravigliato di lui; e, rivolgendosi alla folla che lo seguiva, disse: «Io vi dico che neppure in Israele ho trovato una così gran fede!» E quando gli inviati furono tornati a casa, trovarono il servo guarito” (Luca 7:1-10).

Un centurione a Capernaum

Siamo a Capernaum (o Cafarnao), una cittadina posta sulla riva del lago di Galilea e citata molto spesso nei Vangeli; essa era considerata la città di residenza del Maestro (Mt 4:13; 9:1; Mr 2:1) perché lì aveva preso dimora e ne aveva fatto, in un certo senso, il quartier generale, durante la sua attività pubblica. Capernaum, il Villaggio di Naum, era situata nella regione di Zabulon e Neftali e Matteo, attento a rilevare tutto ciò che era stato predetto dai profeti, scrive nel suo vangelo: 

“Affinché si adempisse quello che era stato detto dal profeta Isaia: «Il paese di Zabulon e il paese di Neftali, sulla via del mare, di là dal Giordano, la Galilea dei pagani, il popolo che stava nelle tenebre, ha visto una gran luce; su quelli che erano nella contrada e nell’ombra della morte una luce si è levata»” (Mt 4:14-16).

Il profeta che aveva previsto e predetto, non per una sua particolare virtù ma per rivelazione divina, era Isaia. Quasi ogni aspetto della vita di Gesù, anche quelli secondari, furono previsti dagli antichi profeti; questo ci offre una duplice garanzia:

  1. Gesù era veramente il Messia che il popolo attendeva.
  2. La Bibbia è la Parola di Dio, perché nessun altro poteva sapere ciò che sarebbe successo a distanza di secoli, se non Dio stesso.  

In questa cittadina Gesù aveva compiuto molti miracoli: oltre la guarigione del servo del centurione di cui ci stiamo occupando, aveva guarito la suocera di Pietro, un indemoniato, un paralitico, il figlio di un ufficiale, e un gran numero di infermi e di indemoniati (Mt 8:14-17; Mr 1:21-28; 2:1-13; Gv 4:46-54). Inoltre, Gesù, in questo paese aveva tenuto molti discorsi (Mr 9:33-50).
La sua luce ha veramente illuminato questa zona della Palestina.
Quale fu la reazione dei cittadini, di fronte alla profusione di tanta grazia?

“«E tu, Capernaum, sarai forse innalzata fino al cielo? No, tu scenderai fino all’Ades. Perché se in Sodoma fossero state fatte le opere potenti compiute in te, essa sarebbe durate fino a oggi. Perciò, vi dichiaro, nel giorno del giudizio la sorte del paese di Sodomia sarà più tollerabile della tua»” (Mt 11;23-24).

Un giudizio severo, quello del Maestro, che ebbe un primo adempimento nella distruzione della cittadina: essa fu rasa al suolo, tanto che fu molto difficile per gli archeologi dell’Ottocento individuare il luogo preciso del suo sito. La sinagoga, dove Gesù parlò, è stata parzialmente ricostruita dagli archeologi.

Il Nuovo Testamento nomina quattro centurioni e di due di questi ci dà anche il nome: Cornelio e Giulio (At 10:1; 27:1). Oltre il personaggio di cui ci stiamo occupando, c’era anche un centurione ai piedi della croce che assistette a tutto ciò che accadde e alla fine esclamò: “Veramente costui era il figlio di Dio” (Mt 27:54). Quattro capitani di una centuria (una guarnigione composta da cento soldati), rudi soldati avvezzi alla guerra: tre di questi manifestarono la loro fede e sono da considerarsi tra i primi cristiani non Ebrei. Uno manifestò tanta gentilezza nei confronti di Paolo, prigioniero a causa della sua fede. Mentre gli abitanti di Capernaum testimoni di tanti miracoli, sono additati da Gesù come persone che con difficoltà accettavano di credere.

Una raccomandazione meritata

“Mandò degli anziani dei Giudei per pregarlo che venisse a guarire il suo servo”.

A nome dell’ufficiale si presenta una delegazione di anziani della sinagoga. Il termine presbiteros (anziano) indicava non tanto l’età, ma la loro funzione sociale: essi erano dei responsabili della vita religiosa che si svolgeva nell’ambito della sinagoga. Nei confronti dell’ufficiale essi avevano un debito di riconoscenza; era stato lui, infatti, ad aver “costruito la sinagoga”, secondo ciò che essi stessi dichiararono. 

Il centurione, quindi, si fece raccomandare da questa delegazione di personaggi importanti. Si potrebbe pensare che egli fosse un approfittatore, un uomo con pochi scrupoli che sapeva gestire bene la sua posizione sociale: il mondo è ed è stato sempre pieno di questi individui. Leggendo bene il racconto, però, così come gli evangelisti lo hanno trasmesso, ci troviamo di fronte a un personaggio di tutt’altra natura. Definirei la raccomandazione degli anziani doverosa e ben meritata, considerata la sua generosità.

Questo è il profilo del centurione che emerge dal racconto:

  1. Tolleranza e rispetto per la popolazione a lui sottoposta. Considerato come venivano trattati i popoli vinti, anche se i Romani sono stati sicuramente migliori di altri popoli, l’atteggiamento del centurione verso gli abitanti della cittadina della Galilea non è cosa da poco. Egli si era preso cura di un aspetto estremamente importante della vita sociale-religiosa delle persone a lui sottoposte. 
  2. Affetto e cura per un suo servo. Il termine usato, tradotto nella nostra versione con servo, è doulos, cioè schiavo. Il testo ci dice che il centurione stimava molto questo suo schiavo. Ci sembra cosa comune questa stima e affetto per uno schiavo? Non dimentichiamo che gli schiavi si compravano, come qualsiasi altra merce o animale ed erano valutati come tali. La morte di uno schiavo era, di solito, considerata meno della morte di un cavallo, ma non per questo centurione.
  3. Umiltà verso Gesù: “Io non sono degno che tu entri sotto il mio tetto”. Lui, simbolo dell’Impero, uomo che nella cittadina aveva un enorme potere, sicuramente benestante, se non ricco, almeno nei confronti della popolazione media, di fronte a un Rabbi che non aveva né potere né denaro, che apparteneva alla popolazione sottoposta, si sente indegno. Questo sentimento d’indegnità, che è ripetuto due volte nel testo, è sicuramente il frutto di un carattere umile. C’è da chiedersi come quest’uomo abbia potuto fare carriera nell’ambiente militare!
  4. Infine è da sottolineare la fede non comune di quest’uomo: una fede che fece meravigliare lo stesso Gesù. 

La fede del centurione

Della straordinaria fede del centurione, vorrei spendere qualche parola in più.

“Ma di’ una sola parola”: la fede non comune dell’ufficiale romano è racchiusa in questa frase. La sua è una fiducia che nasce dalla convinzione che Gesù aveva una parola creatrice. Nel racconto della creazione, per otto volte risuona la voce del Signore (“Dio disse”) e ogni volta che la parola è pronunciata, la cosa o l’essere nominato vengono all’esistenza. Quale bisogno aveva il Creatore di parlare prima di creare? Doveva forse farsi ascoltare da qualcuno? È evidente che l’autore biblico ha una importante verità da comunicarci: il Signore ha una parola creatrice.

Abbiamo l’abitudine di dare poco peso alle parole, forse perché di solito ne facciamo cattivo uso. Le parole sono così importanti che Gesù stesso pronuncia a riguardo un severo monito:

“Or io vi dico che d’ogni parola oziosa che avranno detta, gli uomini renderanno conto nel giorno del giudizio” (Mt 12:36).

Come abbiamo accennato all’inizio, però, alla base del nostro agire ci sono le parole e, se ci fosse tolta la possibilità di comunicare, le nostre azioni precipiterebbero nel caos. In modo senz’altro molto diverso dal Creatore, anche le nostre parole “creano”: possono creare tensioni o dare la felicità; possono edificare o distruggere, unire o dividere, esprimere e creare odio o amore. Attraverso le parole, possiamo comunicare la salvezza operata da Cristo, oppure – sempre attraverso le stesse parole – possiamo ostacolare il cammino verso la salvezza. Le parole liberano o schiavizzano, uccidono o danno vita. Le parole hanno un grande potere: per questo motivo Giacomo, nella sua lettera, raccomanda di farne buon uso (Gm 3:1-12). 

Il centurione conosceva l’importanza della parola: “Ho sotto di me dei soldati; e dico a uno: «Vai», ed egli va; a un altro: «Vieni», ed egli viene; e al mio servo: «Fai questo», ed egli lo fa”. La sua parola di ufficiale metteva in azione almeno cento soldati, più tutta la servitù alla quale l’ammalato apparteneva. Se diceva a un soldato: “Uccidi!”, egli uccideva; se gli diceva: “Proteggi!”, egli proteggeva. Morte e vita stavano nelle sue parole. Se questo era vero per lui, come non poteva essere vero per il Rabbi Gesù? Certo è diverso dire a un soldato di andare o dire alla malattia di lasciare il suo servo; questo lui non poteva farlo. Ma egli riconosce in Gesù il potere di quel Dio che, all’inizio dei tempi, parlò e la cosa fu. Per questo motivo Gesù si meravigliò di tanta fede.

Noi e la Parola

La Bibbia, questa strana biblioteca che ci è stata data in eredità, da noi amata e che è l’oggetto della nostra riflessione, è definita Parola di Dio. Tramite essa Dio parla. Sono convinto che lo stesso potere delle parole che hanno creato l’universo sia presente anche nel suo Libro, anche se in forma diversa. Paolo ci ricorda che è tramite la predicazione della Parola che la salvezza può arrivare al cuore dell’uomo (Ro 10:17). È sempre per mezzo della Parola ispirata da Dio che il credente può arrivare alla maturità spirituale e può essere uomo secondo i canoni divini (2Ti 3:16-17). La Parola è come quel seme che quando trova il terreno adatto può dare dei frutti che onorano Dio (Mt 13). 

Nell’incontro di Gesù con il centurione sono le parole pronunciate dalla Parola che hanno il potere di guarire. La Bibbia, Parola di Dio scritta, è in perfetta simbiosi con la Parola incarnata, Gesù. Come nel principio le parole del Creatore avevano in sé il potere di porre in essere ciò che prima non era, così le parole di Cristo, l’eterna Parola, coesistente con Dio (Gv 1:1-2) intervengono nel creato, dominano il mare, modificano l’acqua in vino, moltiplicano pani e pesci, ridonano la vita a chi la vita non l’aveva più ecc… Fede nella Parola, questo ci è richiesto: nella Parola incarnata e nella Parola scritta. Una fede che ha in sé la caratteristica di fiducia, ossia che ci permette di prendere per vero anche ciò che sembra non coerente con la realtà, con la nostra esperienza. 

La funzione principale della Parola scritta

Ai dubbiosi farisei Gesù rimprovera di non aver compreso quale sia la principale funzione delle Scritture, la Parola di Dio scritta: “Voi investigate le Scritture, perché pensate d’aver per mezzo di esse vita eterna, ed esse sono quelle che rendono testimonianza di me; eppure non volete venire a me per aver la vita!” (Gv 5:39-40). La lettura della Bibbia deve condurci a Cristo perché è in lui che noi possiamo essere salvati, è in lui che possiamo avere tutte le benedizioni divine di cui necessitiamo (Ef 1: 3-14). C’è il reale pericolo che anche noi ci fermiamo alla Parola scritta senza andare alla Parola incarnata. John Stott nel suo libro “La Bibbia, libro per oggi” afferma:

“Le Scritture ci indicano il Cristo come colui che ci dà la vita, e incitano i lettori perché vadano a lui per trovarla. Eppure i farisei credevano di poter trovare la vita nella Scrittura di per sé. È un po’ come ricevere la prescrizione del dottore e inghiottire la prescrizione anziché inghiottire la medicina! (…) la Parola scritta ci indica la Parola vivente e ci dice: «Va’ a Gesù!». Se non andiamo al Gesù che ci viene indicato dalla Bibbia, abbiamo frainteso completamente lo scopo della lettura”.