La selezione dei destinatari e la fuga dalla realtà
Un elemento tipico dei social, è la possibilità di utilizzarli per evadere dalla realtà in cui siamo immersi. Infatti, le comunità social non devono necessariamente rispecchiare i confini a cui ci ha abituato la vita in presenza. Anzi, il vantaggio dei social è proprio la possibilità di interconnetterci con chi è fisicamente lontano! Con i social le distanze non contano più e i confini geografici e politici non esistono (salvo quando le restrizioni imposte da regimi autoritari ne impediscono l’uso).
E cosa c’è di male – si può pensare – a condividere con chi, lontano da noi, manifesta delle affinità rispetto al nostro pensiero, ai nostri interessi, alle nostre esperienze? Ovviamente c’è del bene e dell’utile in tutto questo. Però, ancora una volta, quella che da un lato rappresenta una possibilità formidabile, diventa una tentazione insidiosa. Il rischio è quello di scegliere di comunicare in via preferenziale, se non esclusiva, con chi la vede come noi e non metterà in discussione le nostre idee; con chi ama i nostri argomenti preferiti; con chi ci farà sentire apprezzati; con chi non chiederà mai un nostro sforzo per rinunciare a qualcosa a cui teniamo. Ovviamente non è sempre così e il mondo dei social è molto variegato, ma il pericolo esiste, eccome.
Esiste la tentazione, per qualcuno, di fuggire da una realtà spiacevole da guardare ogni giorno in faccia, perché la vita sembra troppo dura e le persone vicine non ci offrono una condivisione ed un conforto all’altezza dei nostri bisogni e delle nostre aspettative: in questa prospettiva, i social rappresentano un vero e proprio strumento di evasione.
Per alcuni ragazzi e ragazze, l’evasione viene cercata postando immagini di sé stessi che possano riscuotere apprezzamento. Questo porta alcuni giovani a spingersi oltre il limite del lecito, così da avere del materiale da essere esibito e colpire l’attenzione.
Altre volte si tende all’evasione semplicemente perché non vediamo nel nostro prossimo qualcuno di significativo. Al contrario, lo dovremmo considerare con grande rispetto semplicemente perché è stato creato “a somiglianza di Dio” (Gm 3:9).
A questo proposito, torna quanto mai attuale la domanda rivolta a Gesù dal dottore della legge, domanda posta da questi, “volendo giustificarsi”: “E chi è il mio prossimo” (Lu 10:29)?” La nota parabola con cui Gesù gli rispose, ribaltò il ragionamento di quel dottore della legge, per farlo riflettere, all’epoca – e fa riflettere noi oggi – sulla disponibilità a diventare il prossimo di chiunque ci possa capitare accanto.
Chi è il nostro prossimo nell’era dei social? Anche prima del loro avvento era facile scadere nei comportamenti del sacerdote e del Levita della parabola, cioè non fermarci e non dedicare il nostro tempo al prossimo…e lo diventa ancora di più nell’era dei social. Il rischio è che identifichiamo come “prossimo” i nostri amici distanti del mondo virtuale… ma rimaniamo indifferenti ai nostri vicini del mondo reale.
E parlando di “prossimo” dobbiamo pensare ai nostri familiari, ai fratelli e alle sorelle della nostra chiesa.
I social quindi, possono diventare l’opposto del nome che hanno: strumenti di fuga dalla realtà, piuttosto che strumenti di socializzazione. Possono metterci superficialmente in contatto con qualcuno a grande distanza, ma immergerci in un drammatico isolamento rispetto a chi meriterebbe qualche ora in più della nostra presenza…“in presenza”!
Le nostre relazioni con il prossimo possono risentire di diversi elementi non sani: opportunismo, egoismo, orgoglio, solo per citarne alcuni.
Ma l’esempio ineffabile che ci è stato offerto dal nostro Salvatore non è la ricerca del ricevere, bensì il donare e il donarsi, senza il calcolo e senza la pretesa di un ritorno; bisogna continuamente “… ricordarsi delle parole del Signore Gesù, il quale disse egli stesso: «Vi è più gioia nel dare che nel ricevere»” (At 20:35).
Inoltre, è proprio la conoscenza, il confronto e l’interazione con chi è diverso da noi e poco attrattivo… a formare in noi le qualità più significative: “Il ferro forbisce il ferro; così un uomo ne forbisce un altro” (Pr 27:17).
Avere a che fare con persone “non facili” è una straordinaria palestra che Dio usa per formarci spiritualmente, cioè per renderci uomini di Dio più maturi e, se la evitiamo, ci priviamo di una parte importante dell’opera che Dio vuole compiere in noi. Anche i social possono farci incontrare persone a cui potremmo dare tanto, ma facciamo in modo che questa dimensione non ci faccia trascurare chi è vicino a noi nella dimensione fisico-geografica, e quindi è già il nostro prossimo da amare.
Contesti non adatti e discussioni da evitare
La galassia dei social è multiforme, perciò alcune osservazioni sono vere per alcuni di essi e non per altri. Ricordo però che l’intenzione di queste riflessioni è quella di alzare il velo su pericoli e tendenze fuorvianti: sarà poi l’esercizio del discernimento, che abbiamo già chiamato in causa, a portarci a valutazioni più mirate.
Talvolta assisto a discussioni sui social in cui vorrei intervenire, pensando di avere dei contenuti utili da condividere.
A trattenermi però, è il timore di non trovarmi nella sede opportuna per farlo.
I toni delle condivisioni che leggo, invece di restare sereni e costruttivi, scivolano nella polemica, nella provocazione, nel sarcasmo, nella critica aspra… e, quando i partecipanti alla discussione non sono per niente timorati di Dio, si arriva sino al disprezzo e all’insulto. Qualche volta le incomprensioni sono legate al limite di non poter chiarire in maniera estesa un pensiero, oltre al limite di non potere comunicare attraverso la comunicazione non verbale che, nella realtà, accompagna quella verbale (tono di voce, gestualità, mimica facciale ecc.). La possibilità di alimentare una discussione polemica mi allontana e mi disaffeziona da questi canali comunicativi. Si tratta di timori eccessivi? Può darsi, ma esistono ragioni fondate per non prendere parte a tutti i costi e in qualsiasi contesto ad una conversazione social, anche se siamo convinti di avere le migliori argomentazioni possibili.
Contesti da evitare
Quando si vogliono condividere i contenuti del Vangelo, esistono situazioni in cui mancano i presupposti per farlo. Esiste una dignità del messaggio tale da non poterlo macchiare con il fango miserabile delle chiacchiere “da bar” o “da piazza”. Ciò non significa avere vergogna del Vangelo (Ro 1:16; 2Ti 1:8), ma avere la saggezza del servo del Signore, così descritto nelle parole del profeta: “Egli non griderà, non alzerà la voce, non la farà udire per le strade” (Is 42:2). Laddove vince chi grida più forte, non è un contesto adatto per fare riflettere gli ascoltatori. Laddove si parla tanto per parlare, e dove non c’è alcuna intenzione di imparare, viene il tempo in cui è saggio chi tace.
Dal momento che sui social queste condizioni si presentano frequentemente, dobbiamo prestare molta attenzione. Vale la pena rileggere, a questo proposito, diverse istruzioni che Paolo rivolse a Timoteo, pensando alla loro applicazione in relazione ai social:
“…e di non occuparsi di favole e di genealogie senza fine, le quali suscitano discussioni invece di promuovere l’opera di Dio, che è fondata sulla fede” (1Ti 1:4);
“Ma rifiuta le favole profane e da vecchie” (1Ti 4:7);
“… evita i discorsi vuoti e profani e le obiezioni di quella che falsamente si chiama scienza; alcuni di quelli che la professano si sono allontanati dalla fede” (1Ti 6:20-21);
“Ricorda loro queste cose, scongiurandoli davanti a Dio che non facciano dispute di parole; esse non servono a niente e conducono alla rovina chi le ascolta…ma evita le chiacchiere profane” (2Ti 2:14,16);
La presa di posizione che Timoteo doveva assumere di fronte alle discussioni, alle chiacchiere, alle curiosità, era semplice: evitarle! Questo dobbiamo fare anche noi. E quando abbiamo in cuore di aiutare qualcuno, dobbiamo stare attenti a non trattare delle questioni spirituali con modi carnali:
“Evita inoltre le dispute stolte e insensate, sapendo che generano contese. Il servo del Signore non deve litigare, ma deve essere mite con tutti, capace di insegnare, paziente. Deve istruire con mansuetudine gli oppositori nella speranza che Dio conceda loro di ravvedersi per riconoscere la verità, in modo che, rientrati in se stessi, escano dal laccio del diavolo, che li aveva presi prigionieri perché facessero la sua volontà”. (2Ti 2:23-26).
Ci sia di esempio il modo in cui Aquila e Priscilla aiutarono Apollo a capire meglio “la via di Dio” (At 18:26): con amore, con discrezione, con fiducia.
Tenere conto di chi riceve il messaggio
Può presentarsi la situazione di conversare sui social con un gruppo di persone che dimostrano gradi di maturità molto diversi tra loro. Ed è facile che, proprio in questo contesto, nascano le discussioni di cui sopra: è evidente che non tutti gli argomenti sarebbero alla portata della totalità dei partecipanti, ma sui social tutti vogliono dire la loro, quando ne hanno la possibilità. Ci vuole prudenza e senso di responsabilità evitando, su temi importanti, di coinvolgere chiunque. È inutile suscitare una discussione e dopo lamentare l’immaturità dei partecipanti.
I social, a seconda della loro configurazione, possono essere una stanza, una sala riunioni, o una piazza. Quando i social sono esattamente una piazza, cioè una piattaforma aperta a tanti, dobbiamo capire i limiti ed i pericoli di tale ambiente. Del resto, nella vita reale nessuno di noi comunica allo stesso modo nel segreto di casa propria, quando è con amici fidati, o quando è al mercato.
La Parola ci indica un principio di gradualità, lo stesso principio che sottende all’alimentazione di un essere umano dalla nascita all’età adulta. Si può forse dare una bistecca ad un neonato? Quando l’apostolo Paolo scrisse ai Corinzi, si espresse così:
“Fratelli, io non ho potuto parlarvi come a spirituali, ma ho dovuto parlarvi come a carnali, come a bambini in Cristo. Vi ho nutriti di latte, non di cibo solido, perché non eravate capaci di sopportarlo; anzi, non lo siete neppure adesso, perché siete ancora carnali” (1Co 3:1-2).
Analoga situazione riguardava i destinatari della lettera agli Ebrei (Eb 5:11-14).
Quindi non si tratta di considerare alcuni superiori ad altri, ma di agire con buon senso così da fare ogni cosa “senza mormorii e senza dispute” (Fl 2:14). Dobbiamo discernere qual è la platea dei ricettori dei messaggi che pubblichiamo e tenerne conto.
Dialogo o verità dall’alto?
Uno dei tratti essenziali della nostra società post-moderna è l’affermazione del relativismo, in tutte le sue forme. Il relativismo è il principio secondo il quale nessuno detiene una verità assoluta, perciò nessuno può presentarsi come rappresentante e comunicatore della verità. I social, per loro natura, costituiscono un perfetto veicolo per il relativismo. Essi ci offrono innumerevoli spazi in cui si favoriscono il dibattito e la discussione. Su queste piattaforme tutti hanno voce e generalmente l’unica conclusione possibile è la sintesi delle diverse posizioni. Non è possibile fare riferimento a qualcuno o a qualcosa nella posizione di: “insegnare, riprendere, correggere, educare alla giustizia” (2Ti 3:16)!
Una mentalità di questo tipo determina una confusione completa nei singoli, nelle chiese e nella società. Come stiamo già vedendo, qualsiasi principio sia considerato un punto fermo, soprattutto di ordine morale, viene messo in discussione, così da non risparmiare più alcun fondamento né alcun ordine rispettato in precedenza.
Ora, è necessaria una precisazione: nessuno di noi si può ritenere depositario della verità. Neppure il cristiano più maturo e spirituale, ha finito di imparare (1Co 8:2; 13:9; Fl 3:12). E molte volte impariamo attraverso altri che, come noi, camminano nella stessa direzione, crescono nella conoscenza e ci rendono partecipi di quanto hanno imparato (si veda 1Co 14:29-33). Tuttavia, la rivelazione divina non si presenta mai come un contenitore che può fare coesistere concetti diversi e contrastanti. La verità è univoca ed è identificata in Gesù e nella Parola di Dio (Gv 14:6; 17:17; Ap 19:13). Si tratta di una verità unica, assoluta e autorevole, che costituisce la norma, e automaticamente qualifica come errore ciò che non è ad essa conforme. Quindi, da un lato non possiamo e non dobbiamo presentarci con l’arroganza di chi ritiene di possedere la verità, infatti dobbiamo testimoniare con umiltà, con “mansuetudine e rispetto” (1P 3:16); al tempo stesso non dobbiamo arretrare sul valore unico, insostituibile ed esclusivo della Parola di Dio.
Siamo portavoci di una verità che non può essere definita grazie ad un dibattito; la verità proviene dall’Alto ed è rivelata da Dio per mezzo delle Sacre Scritture.
Il Signore saprà indicarci quando sarà il caso di spenderci per comunicare la verità in un contesto social adatto, potenzialmente ricettivo, o quando ritrarci, come detto in precedenza, da un contesto che promuove polemica e discussione.
Dunque, non cerchiamo di fuggire dalla vita reale attraverso i social; piuttosto, mentre li utilizziamo, fuggiamo dalle discussioni inutili e fuorvianti!