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Al filosofo statunitense, di origine ebraica, Noam Chomsky viene attribuita la paternità della storiella della rana bollita che, immersa in un pentolone di acqua fredda, non si accorge che qualcuno ha acceso il fuoco sotto. Anzi l’acqua tiepida le dà un piacevole senso di benessere, poi però, quando l’acqua si riscalda ancora di più e cerca di scappare, non ha – ahimè – più forze per reagire e finisce per morire bollita. Quella stessa rana – scrive Chomsky – “se fosse stata immersa direttamente nell’acqua a 50° avrebbe dato un forte colpo di zampe e sarebbe balzata subito fuori dal pentolone”.

Chomsky utilizza metaforicamente questa storiella “per descrivere una pessima capacità dell’essere umano moderno: ovvero la capacità di adattarsi a situazioni spiacevoli e deleterie senza reagire, se non quando ormai è troppo tardi. Viviamo, infatti, in una società nella quale il popolo è letteralmente schiacciato dall’economia, dalla politica, dai media, e accetta passivamente il degrado, le vessazioni, la scomparsa dei valori e dell’etica che derivano da questo continuo subire, in silenzio, senza mai reagire”.

Sono parole queste che ci offrono un’allarmante descrizione della situazione che da qualche tempo stiamo vivendo nel nostro Paese, diventato un enorme pentolone dove milioni di rane stanno scambiando per “benessere” l’acqua tiepida che si va riscaldando o forse già surriscaldando. È già accaduto nel secolo scorso in Germania e anche nella nostra Italia. Infatti la metafora della rana illustra assai bene l’ascesa al potere del nazismo e del fascismo e la fine dei milioni di “rane” che, “schiacciate dall’economia, dalla politica” sono drammaticamente morte bollite. Non hanno visto il fuoco acceso sotto il pentolone o, forse, non hanno compreso il pericolo che rappresentava per la loro vita. Da qualche anno ormai un fuoco si è acceso anche sotto il pentolone-Italia, un fuoco dalle lingue multiformi. Si è cominciato con la volgarità e la violenza del linguaggio, basando le relazioni fra diversi sull’insulto e sull’offesa e non sul rispetto e sull’ascolto. In questo modo non si è incoraggiata una seria e pacata riflessione sui veri valori di cui ogni persona e l’intera società hanno bisogno, ma piuttosto si sono eccitate le folle alla ricerca di consensi e di interessi personali, utilizzando tutti gli strumenti possibili: dalle piazze ai social. Purtroppo, come già accaduto in passato pur in contesti storici diversi, le parti “migliori” della società sembrano subire e soffrire la violenza di autorevoli personaggi sempre più beceri e urlanti. È il momento di pregare perché non debba giungere il momento in cui essere costretti a porsi la sconsolata domanda del re Davide: “Quando le fondamenta sono rovinate, cosa può fare il giusto?” (Sl 11:3). Contestualmente alla preghiera per le autorità e per ogni uomo, sarà importante portare avanti con fedeltà la nostra testimonianza dell’Evangelo, anche se questo clima avvelenato ci creerà sempre più difficoltà, come quelle affrontate da alcuni nostri cari fratelli “Gedeoni” di Modena che, a Mirandola, hanno visto due insegnanti chiamare la forza pubblica per bloccare la loro distribuzione di copie del Nuovo Testamento davanti alle scuole (vedi “Il Resto del Carlino-Modena” di mercoledì 8 maggio).

Dobbiamo forse prepararci a soffrire come cristiani? È possibile e non dovremo esserne né sorpresi né stupiti né preoccupati. Ma, ricordando l’esortazione di Paolo a “non conformarsi a questo mondo” (Ro 12:2) e a non seguirne più “l’andazzo” (Ef 2:2), cioè a non subirne più i modi di fare e le tendenze, dovremmo piuttosto preoccuparci di non finire come le altre rane dentro il pentolone, distinguendoci (fuori dal pentolone!) con una vita improntata ai valori del Vangelo, con una vita che, nei fatti e nelle parole,  non assecondi in alcun modo quindi quei mediatici imbonitori di piazza che con i loro proclami e le loro strategie contraddicono quei valori!