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Ultima domenica di giugno: dopo una giornata dal tempo instabile, come lo è stato un po’ per tutto il mese, sul far della sera, proprio all’approssimarsi del tramonto, mia figlia mi chiede di andare a fare una passeggiata in uno dei suoi boschi preferiti a pochi chilometri da casa. È un po’ tardi, ma la giornata è stata lunga e faticosa e non è possibile dire di no, anche se il cielo è scuro e non promette niente di buono. Mentre stiamo raccogliendo un bel mazzo di margherite, all’improvviso ecco il sole fare capolino fra le nuvole. Così istintivamente mi viene da dire: “Sole, grazie che finalmente ti sei fatto vivo e vieni a riscaldarci!”. Non senza stupore vedo mia figlia fare un passo verso di me, poi con evidente tono di rimprovero mi dice: “Babbo (i lettori siciliani mi scuseranno ma non mi ha mai chiamato «papà»!), ma ti sei sbagliato! Non devi ringraziare il sole, perché è Gesù che ha creato il sole: è lui che devi ringraziare!”. Così con mia grande sorpresa mi sono “beccato” una solenne lezione, ho dovuto riconoscere il mio errore e chiedere scusa.

Tornando a casa, ho riflettuto a lungo su quanto accaduto e sulle tante volte in cui come genitori pronunciamo parole senza riflettere o abbiamo atteggiamenti istintivi che indispongono e non educano. Parole e atteggiamenti che non corrispondono spesso a quello che abbiamo insegnato e a quello che diciamo di credere.

In questi mesi estivi molti di noi avranno sicuramente l’opportunità di trascorrere più tempo con i propri figli. Attenzione, perché questo permetterà loro di conoscerci meglio e di studiare meglio cosa diciamo e come ci comportiamo. Non sempre forse ce ne rendiamo conto, ma ogni giorno siamo in qualche modo degli “osservati speciali”, soprattutto nell’intimità delle quattro mura di casa.

Quando lo Spirito Santo, attraverso le parole dell’apostolo Paolo, invita i genitori a non irritare i propri figli (Efesini 6:4), non vuole sicuramente dire che, come genitori, non dobbiamo farli arrabbiare né provocarli fino ad avere reazioni violente nei nostri confronti, ma vuol dire che non dobbiamo metterli interiormente a disagio con parole e comportamenti incoerenti. Se diciamo di amarli, dobbiamo mostrare concretamente le nostre premure, le nostre preoccupazioni, il nostro affetto per loro, certo anche con la fermezza che troviamo “nella disciplina e nell’istruzione del Signore”. Se chiediamo che non si devono dire bugie, non dobbiamo dirle neanche noi magari con le famose frasi che evocano l’intervento impossibile di orchi, lupi e mostri inesistenti. Se diciamo di non sparlare degli altri, non dobbiamo farci sentire (soprattutto a tavola!) mentre esprimiamo sferzanti giudizi su Tizio e su Caio. Quello che diciamo deve essere sempre coerente con ciò che abbiamo insegnato (ed io non ho certo mai insegnato a mia figlia a ringraziare… il sole!). Ecco l’importanza di fare attenzione sempre, quel “sempre” ben ricordato dalle parole di Mosè quando esorta noi genitori ad essere pienamente responsabili come educatori quando ce ne stiamo seduti in casa nostra, così come quando siamo per via e, ancora, quando ci corichiamo e ci alziamo (De 6:6). Diversamente correremo il rischio di essere educatori educati e non educatori educanti.

Sicuramente, come attenuante a nostro “favore”, c’è il fatto che, se i nostri figli ci riprendono, come è accaduto a me, lo fanno sulla base dell’insegnamento che abbiamo loro trasmesso. Ma quella che a noi pare un’attenuante in realtà è un boomerang che ci si ritorce contro, perché ogni insegnamento deve essere accompagnato, sostenuto e reso più efficace dall’esempio. Come ricorda Mosè, le parole di Dio prima di essere trasmesse (“inculcate”) ai nostri figli devono stare nel nostro cuore (Deuteronomio 6:6-7).

E poi dobbiamo essere pronti ad essere educati anche dai figli, se il Signore li usa in tal senso: io, certamente, non mi rivolgerò più al sole per ringraziarlo!!!