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Dai figli non si può solo pretendere; ai figli bisogna soprattutto dare, ovviamente non “dare tutto quello che vogliono” ma è bene trascorrere del tempo con loro ed assecondarli in ciò che può essere positivo ed istruttivo per loro, per la loro crescita. Forte di questo principio, mi sono ritrovato a trascorrere un’intera giornata con mio figlio, appassionato di ciclismo, per assistere alla tappa a cronometro, conclusiva di una nota gara che unisce idealmente i due mari che bagnano il nostro Paese. È stato interessante anche per me vedere da vicino la impressionante organizzazione che c’è dietro ogni squadra e dietro ogni gara. Ma quello che mi ha maggiormente colpito è scoprire che, per una breve corsa di dieci chilometri, tutti i corridori, gregari e campioni senza distinzione, si preparavano alla partenza pedalando sui rulli per almeno un’ora. Un’ora di “allenamento” per correre poi non più di undici/dodici minuti! L’allenamento mi è sembrato essere più impegnativo e faticoso della gara stessa e sicuramente anche meno gratificante: sempre fermi sullo stesso posto, nessuno ai lati della strada ad incoraggiare e ad esultare… Eppure, senza quell’allenamento il rendimento durante la corsa sarebbe stato sicuramente assai ridotto ed anche rischioso perché si sarebbe richiesto al proprio corpo una prestazione che non sarebbe stato in grado di dare.

Mentre guidavo, tornando a casa, ho ripensato a lungo alle parole rivolte da Paolo, come metafora della vita cristiana, al giovane Timoteo: “…quando uno lotta come atleta, non riceve la corona, se non ha lottato secondo le regole” (2Ti 2:5). Ogni atleta ha ricevuto da Dio il dono di un corpo con ossa, nervi e muscoli in grado di permettergli prestazioni a volte impensabili (e veder sfrecciare davanti ai propri occhi bici lanciate da quel corpo a oltre 60 km l’ora era quasi incredibile!). Ma nessuna prestazione è possibile, nessuna “corona” è raggiungibile se questo corpo non viene allenato ed adeguatamente preparato. Non erano forse proprio “le regole” di un buon allenamento quelle verso le quali Paolo voleva attirare l’attenzione di Timoteo? Se scorriamo tutta la seconda lettera a lui indirizzata non possiamo che rispondere di sì. Dio non ci ha donato solo un corpo da curare e da allenare, ma un’anima ed uno spirito in cui ha collocato per grazia, “per mezzo dello Spirito Santo che abita in noi”, quello che Paolo definisce “un buon deposito” (2Ti 1:14). Da questo “buon deposito” devono uscire le risorse per ottenere buone “prestazioni” nella nostra vita cristiana e nel nostro servizio. Ma dobbiamo seguire “le regole”. Quali?

Scriveva il fratello Gian Nunzio Artini: “Studia, mio caro, studia. Prega e studia. Prega, studia, conosci bene il dono affidatoti dal Signore. E, conosciutolo, non trascurarlo… è bello mettere la nostra intelligenza in grado di acquisire una buona conoscenza della Parola. È come chi possiede una spada e per meglio usarla voglia forbirla, affilarla e meglio conoscere l’uso di essa… le cose di Dio esigono un santo timore e tremore. L’esercizio del ministerio esige una preparazione a ginocchio ed in meditazione, consultazione, studio indefesso” (da “Sulle ginocchia del cuore”, UCEB Fondi 1985; pagg. 68, 134). Studio della Parola e preghiera devono caratterizzare il nostro allenamento. Un allenamento che deve, come nel caso dei ciclisti in vista della cronometro, essere sempre più lungo e più impegnativo del servizio. Un allenamento che riguarda tutti, “gregari e campioni”, perché tutti abbiamo una vita da vivere per Cristo e tutti abbiamo un servizio da svolgere e, se vissuti senza allenamento, non solo saremo personalmente inariditi, ma saremo inefficaci e inadeguati, perché impreparati, nel servizio per gli altri. Non è forse vero che tante realtà di chiese locali languono perché vi sono membri che vivono la loro corsa ed il loro servizio senza allenamento?