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Nel dicembre 2017 è stata approvata in Senato la legge sul “Testamento biologico”. La legge riconosce la volontà del malato, scritta in un documento, nel quale enuncia, in linea di massima, i propri orientamenti sul “fine vita”, nell’ipotesi in cui sopravvenga una perdita irreversibile della capacità di intendere e volere. Si tratta pertanto di uno strumento importante, che rafforza l’autonomia decisionale del malato. Per il cristiano quindi è certamente un’ottima occasione per trasmettere i valori che vengono dalla fede e per testimoniare della speranza che è in noi e che deriva dalla conoscenza della Parola di Dio. La fiducia in Dio e nelle sue promesse ci porta a considerare le problematiche del “fine vita” nell’ambito della nostra relazione con lui. Recenti casi, molto noti, hanno fatto scalpore.

Eluana Englaro dopo molti anni di vita vegetativa, è deceduta in seguito alla sospensione della nutrizione e dell’idratazione. Piergiorgio Welby, affetto da malattia neuromuscolare, viveva grazie ad un respiratore meccanico; la sua morte è avvenuta dopo che è stata spenta la macchina. Il caso più recente è quello di DJ Fabo, costretto per anni, per le conseguenze di un incidente, ad una vita di sofferenza, deceduto presso una clinica svizzera che pratica il “suicidio assistito”. Tutti questi casi, e molti altri, hanno portato col tempo l’opinione pubblica a chiedersi se tutte queste pratiche possano diventare legali, come già succede in molti altri paesi, evitando battaglie infinite nei tribunali.

La legge sul testamento biologico non parla di eutanasia, anche se molti vedono in essa il primo passo verso quella soluzione, ma piuttosto del diritto del paziente di interrompere una terapia, quando lui non la ritenga utile o efficace. Vale la pena a questo punto riassumere quali sono gli orientamenti del cristiano di fronte alle problematiche di “fine vita” in modo che ognuno di noi possa compilare questo documento con piena consapevolezza.

Principi orientativi

La vita è un dono prezioso che Dio ci ha dato tramite il suo soffio vitale.

È Dio che decide i tempi del nostro vivere e morire. Il valore della vita è ribadito nella Scrittura dal ripetuto comandamento a rispettarla e a non uccidere. Per queste considerazioni il cristiano ama la vita (sua e degli altri) e la rispetta. Il cristiano è contrario alla soppressione deliberata della vita di una persona o anche di se stesso.

Eutanasia e suicidio assistito quindi non sono pratiche che un cristiano possa approvare, in quanto sono disapprovate da Dio.

Tuttavia la vita del corpo non è il bene supremo. Ognuno di noi è destinato a lasciare questa vita, per una vita migliore che avremo dopo la morte. Questa speranza ci porta a non avere un attaccamento morboso alla vita, ma ad accettare che essa debba finire. Di fronte ad una malattia terminale o alla morte il nostro combattimento (cure, terapie varie, interventi ecc.) deve essere adeguato e sostenibile, senza ricorrere a pratiche mediche estreme se non addirittura a pratiche non mediche che propongono risultati improbabili.

Il cristiano pertanto di fronte ad una malattia inguaribile ed all’inevitabilità della morte non si rifugia nell’inutilità dell’accanimento terapeutico, che porta solo ad un prolungamento della morte stessa e spesso a delle sofferenze. (Nota: per approfondimenti biblici su questi punti vedi IL CRISTIANO n. 5/2005 p. 217; n. 3/2006 p. 115 e n. 5/2006 p. 232).

Un lungo dibattito vi è stato sul ruolo della nutrizione e dell’idratazione.

Il pensiero laico ed in genere scientifico ritiene che essi siano da considerare dei “trattamenti sanitari”, in quanto sono trattamenti prescritti dal medico, e che quindi possono essere rifiutati e sospesi. Anche la legge di cui parliamo ha questo orientamento. Tuttavia molti pensano che nutrizione artificiale e idratazione siano “trattamenti vitali”, cioè trattamenti che, se vengono sospesi, portano alla morte del paziente, e quindi inaccettabili, come lo è spegnere il respiratore. La nutrizione artificiale, l’idratazione, così come la respirazione artificiale sono pratiche che derivano spesso da scelte sbagliate, nel senso di un accanimento terapeutico, eseguite molto prima e che non avrebbero mai dovuto essere intraprese. Se è moralmente accettabile non iniziare un trattamento di questo tipo, non lo è più la sua sospensione una volta in atto.

Il testamento biologico prevede la possibilità del rifiuto di un trattamento.

Una terapia che ha quasi nessuna possibilità terapeutica e che invece aggrava la sofferenza del paziente può e deve essere rifiutata. Tuttavia per prendere una decisione in questo senso è necessaria una adeguata informazione. La legge ribadisce l’importanza di una relazione di cura e fiducia con il medico, basata su una adeguata informazione. Devo dire che per anni ho assistito ad una certa reticenza dei familiari ad informare il malato. “Non diciamogli niente…” è spesso la prima reazione. Purtroppo devo constatare che tale atteggiamento è diffuso anche tra i credenti. Penso che per il credente il rapporto con la verità dovrebbe essere fondamentale perché può trasformare il periodo della malattia e della morte in una grande testimonianza e benedizione. Sarebbe di esempio raccontare invece di come alcuni fratelli proprio nella malattia e negli ultimi anni della loro vita abbiano manifestato la gloria di Dio in modo esemplare.

I medici tendono a fare, piuttosto che a “non fare” e quindi ad accanirsi all’infinito.

Il motivo di questo è il fatto che sono più tutelati legalmente. Inoltre la loro deontologia li porta ad avere sempre come meta la guarigione. Ma la guarigione non è sempre un obiettivo raggiungibile. Talvolta ci dobbiamo accontentare di essere curati o semplicemente sostenuti. È importante per ognuno di noi acquisire una cultura delle “cure palliative”, che mirano più ad affrontare bene il nostro fine vita, piuttosto che accanirsi per raggiungere improbabili guarigioni. Oggi ci sono reparti e medici dedicati a questo e dobbiamo imparare a percorrere anche queste strade, che ci aiutano a vivere serenamente il nostro fine vita.

Tuttavia non dimentichiamoci che le migliori “cure palliative” dovrebbero essere quelle dei fratelli della chiesa, che di solito, purtroppo, proprio in queste situazioni, si defilano, lasciando completamente solo il malato e la sua famiglia.

Il testamento prevede la possibilità della nomina di un fiduciario che possa, al bisogno, decidere al posto nostro. Il migliore fiduciario è sicuramente un fratello nella fede, che condivide i nostri valori e con il quale abbiamo ampiamente condiviso i nostri dubbi e le nostre paure.

Ricordiamoci infine che, sebbene il testamento biologico sia comunemente considerato uno strumento che permette al malato di manifestare la propria autonomia decisionale, il credente sa che la sua autonomia è sottomessa alla volontà di Dio. È Dio che condiziona gli eventi e il testamento biologico non deve diventare un sostituto di Dio. Questo pertanto deve essere da noi considerato come uno strumento che ci permette di testimoniare il Vangelo coerentemente, ma non deve diventare uno sterile strumento legale, da impugnare nei tribunali. Negli anni ho imparato che un dialogo chiaro e sincero con il proprio medico è sempre molto più efficace e produttivo di un pezzo di carta.

Eutanasia “spirituale”

Una volta ebbi l’occasione di parlare ad una conferenza sui temi del fine vita. Quando mi presentai dissi che ero un medico che molte volte aveva nella sua vita praticato l’eutanasia. L’uditorio si fece improvvisamente attento e silenzioso. A mano a mano però che sviluppavo gli argomenti, le persone risultavano confuse. Qualcosa non tornava, perché gli argomenti sembravano piuttosto contro tale pratica. Alla fine la curiosità era grande ed allora dovetti spiegare il senso della “eutanasia spirituale”.

Ogni volta che vedevo un paziente in fin di vita, rivolgevo una silenziosa preghiera a Dio, chiedendo a lui di alleviare le sofferenze al morente ed ai familiari e di accorciare quanto possibile l’agonia, ma anche di aprire il cuore a Gesù che può dare pace in questo momento di disperazione. Ricordiamoci sempre di pregare Dio perché dia una “buona morte” a noi e anche a tutti i nostri cari che soffrono. Questa è la migliore garanzia per affrontare il “fine vita” con serenità e fiducia.